venerdì 22 febbraio 2013

Ecco il prezzo dei nostri votidi Roberto Saviano


Un lavoro a termine. Una lavatrice. Una ricarica da 50 euro per il cellulare. Nell'Italia in crisi, anche il mercato dei voti si adegua: ora comprarsi le preferenze costa poco, anzi pochissimo. Una pratica che parte dal 'voto di scambio' criminale ma è molto più pervasiva. E racconta di un Paese corrotto e disperato
(21 febbraio 2013)
Comizio di Beppe Grillo a Napoli. Foto di Gianni Cipriano per L EspressoComizio di Beppe Grillo a Napoli. Foto di Gianni Cipriano per L'EspressoUn voto cinquanta euro. Sei voti per quella determinata parte politica: una lavatrice o un frigorifero a scelta. Un voto familiare per una Tac. Un gruppo di voti e la banca eroga ancora soldi niente voti niente credito. Un voto per un paio di scarpe da ginnastica, un lampione nel cortile, biglietti per una partita di calcio. Un tempo lontano dalla crisi votava la famiglia e il primogenito otteneva un posto di lavoro oppure una casa. Oggi, a quanto pare, ci si accontenta anche di molto meno. Come nel dopoguerra, di pacchi di pasta e beni alimentari: siamo in difficoltà e anche chi acquista voti può farlo a buon mercato.

Tra poche ore - domenica 24 e lunedì 25 febbraio - saremo chiamati al voto per il rinnovo dei due rami del Parlamento con una legge elettorale antidemocratica che l'Assemblea uscente non è stata in grado di cambiare. Insieme alle politiche, in Lombardia, Lazio e Molise i cittadini andranno alle urne anche per il rinnovo anticipato dei consigli regionali e per l'elezione diretta dei presidenti delle giunte. Tre regioni simbolo dove il Pdl, i suoi alleati e in molti casi l'opposizione hanno dato il loro peggio, fornendo un quadro di degrado politico e a volte umano che, come spesso mi è capitato di dire riferendomi alle stravaganze e all'efferatezza delle organizzazioni criminali, se un romanziere avesse voluto inventarlo, non sarebbe riuscito ad arrivare a tanto.

Le elezioni non si vincono a Roma, a Milano, a Torino come erroneamente si crede, solo perché le grandi città sembrano terreno di lotta tra idee e programmi. Le elezioni si vincono nei paesi, nelle provincie, porta a porta, favore per favore, promessa per promessa, cinquanta euro per cinquanta euro. Tra le elezioni politiche e il territorio esiste un legame fortissimo, direi indissolubile. Se televisioni e carta stampata ci abituano - o forse ci distraggono - con un dibattito che sembra giocarsi tra i candidati alla presidenza del Consiglio, è sul piano locale che tutto viene definito attraverso un uso del voto che non rispetta il sillogismo ti scelgo perché condivido il tuo programma. 

Quanto piuttosto ti voto perché mi hai fatto un favore, perché me lo farai, perché sei in grado di farmelo. O perché mi paghi per eleggerti. Oltre al voto di scambio criminale, quindi oltre alla sistematica truffa ordita in danno della nostra democrazia, truffa che se smascherata può essere sanzionata dalla legge (in verità attualmente le maglie sono piuttosto larghe da garantire impunità in molti casi in cui manifestamente vengono acquistati pacchetti di preferenze), esiste un voto di scambio che definirei "acceleratore di diritti", qualcosa di "fisiologico" in una democrazia malfunzionante come è quella italiana. Come ho fatto altre volte, ho deciso di aprire una discussione su Facebook. Ho chiesto a chi mi segue di portare le proprie testimonianze sul voto di scambio. Ho chiesto di raccontare quel che hanno vissuto direttamente o che gli è stato raccontato. Il quadro che emerge è drammatico e invito - certo che la sollecitazione cadrà nel vuoto - i partiti politici e il prossimo governo a prenderne atto. E a porvi rimedio, se non fosse che in tanti anni di denunce una cosa l'ho capita: il voto di scambio per molti, per troppi, non è un terribile nemico ma un portentoso alleato, se non addirittura una condizione irrinunciabile.

Le testimonianze raccolte su Facebook mi hanno colpito perché spesso è più comodo un generico: "Si sa come funziona", senza mai fare luce sui singoli meccanismi, che soli consentono di cogliere la cifra del fenomeno. E invece in molti hanno descritto le loro esperienze, talvolta anche di connivenza. Fabiana ha rifiutato un lavoro in cambio del voto che avrebbe dovuto dare. A Paolo è stato chiesto di sostenere un candidato perché gli fosse confermato il posto. Anna Maria racconta che a Civitavecchia un voto valeva cinquanta euro.

Antonio ricorda che nel suo territorio offrivano in cambio del voto di tutto il nucleo familiare, un lavoro al primogenito. Paola riporta il caso di un amico in Molise: in cambio di un voto gli hanno dato un contratto a tempo determinato durato pochi mesi. Eva dice che a Scandicci molti ragazzi hanno venduto il voto per una ricarica al cellulare da cinquanta euro. Serafina rievoca come negli anni Sessanta avevano chiesto a suo nonno (che non ha ceduto) un voto in cambio di un lampione in cortile che, per inciso, sarebbe stato un suo diritto avere. Pino racconta di un meccanismo scoperto dalla Guardia di Finanza: venti euro prima di andare in cabina e venti dopo aver mostrato con il cellulare la foto della scheda completa. Rosalba per voti comunali ha visto regalare buste della spesa, lavatrici, frigo. Maurizio riporta una storia inquietante dall'Abruzzo: sette voti per una Tac urgente. Federica parla di pieni benzina in cambio di voti. Anche a Lipari, informa Matteo, voti venivano comprati a cinquanta euro. Marù, con molto coraggio, racconta che tutta la sua famiglia ha scelto un candidato in cambio di un'occupazione per il fratello. C'è poi chi ha ricevuto la richiesta di un voto in cambio di un mutuo agevolato: niente voto, niente mutuo. Giorgio racconta di come a Milano a giovani precari, prima delle elezioni, sia arrivata una lettera di "indicazione elettorale" come a dire o eleggete questo candidato o è difficile che sarete riconfermati.

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