Il laureato. di Marco Travaglio
Dopo anni di calunnie e facili ironie,
finalmente trionfa la verità: Renzo Bossi s’è
laureato davvero. Il rampollo dell’ampolla,
matricola accademica 482, è stato promosso
“dottore in gestione aziendale” al prestigioso ateneo
Kristal di Tirana il 29 settembre 2010, quando
secondo il suo autista si trovava regolarmente in
Italia. Insieme con lui s’è laureato in Sociologia il
bodyguard canterino di Rosi Mauro, Pier
Moscagiuro. Paghi uno, prendi due. E pare di vederli,
Trota e Pier, in viaggio sul gommone da Otranto a
Tirana, che ripassano le lezioni in albanese stretto.
Non è stata una passeggiata, per l’enfant prodige del
Senatur: ha dovuto superare ben 29 esami, tutti in
lingua albanese e con voti altissimi (dall’8 al 10), in
un corso di laurea che gli studenti normali
completano in tre anni e lui invece ha bruciato in un
solo anno (la maturità scientifica l’ha conseguita nel
luglio 2009). E un simile genio vuole lasciare la
politica per fare “il contadino o il muratore?”. Ma via,
un po’ di autostima, che diamine. Anche perché
ormai alla cultura il Dottor Trota ci ha preso gusto:
punta alla seconda laurea in un’università privata di
Londra dove – come ha giurato telefonicamente al
padre Umberto la sera delle dimissioni, appena
esplose lo scandalo – si sta laureando un’altra volta a
tempo di record. Alla fine impiegherà meno per due
lauree che per il diploma, conseguito solo al terzo
tentativo dopo due mortificanti trombature. A conti
fatti, l’investimento sostenuto a suo tempo da The
Family, anzi da Belsito, anzi dai contribuenti per
maturarlo si rivela azzeccato e a prezzi piuttosto
modici: appena 99 mila euro e 69 centesimi,
secondo i carabinieri del Noe (cui vanno aggiunti i
12 mila per la laurea albanese e i 130 mila euro per
quella inglese). Ormai la maturità del Trota
travalicava la dimensione scolastica per diventare un
fatto squisitamente politico, anzi razziale. L’erede al
trono padano, al secondo tentativo da privatista al
collegio Bentivoglio di Varese, aveva presentato una
dotta tesina su Carlo Cattaneo, l’incolpe vole
pensatore federalista usato dalla Lega per dare una
pennellata di cultura alla secessione e alla devolution.
Ma il corpo docente, insensibile alle istanze
indipendentiste, lo bocciò con la banale motivazione
che “ha mostrato gravi lacune di preparazione in
quasi tutte le materie”. Parola del rettore don
Gaetano Caracciolo. Ma il Senatur, impegnato nel
governo B. a ripristinare la meritocrazia, spiegò che
dietro quel giudizio impietoso c’era ben altro: i
professori terroni. Invano il rettore fece osservare
che, a parte lui, la commissione era composta da
nove insegnanti del Nord e “la maturità è il risultato
aritmetico di una serie di prove: purtroppo la somma
di tutte non ha raggiunto i 60 punti, il minimo per la
p ro m o z i o n e ”. Di fronte a quegli aridi calcoli da
bottegaio, il papà ministro delle Riforme istituzionali
non batté ciglio e ordinò su due piedi una nuova
riforma istituzionale: “Dopo il federalismo, bisogna
riformare la scuola. Non possiamo lasciare
martoriare i nostri figli da gente che non viene dal
Nord. Il problema della scuola è molto sentito
perché tocca tutta la famiglia. È la verità, un nostro
ragazzo (uno a caso, ndr) è stato bastonato agli esami
perché ha presentato una tesina su Cattaneo. Questi
sono crimini contro il nostro popolo e devono finire:
noi padani non siamo mai stati schiavi”. Nemmeno la
circostanza che la sua signora Manuela Marrone fa
l’insegnante ed è siciliana lo smosse di un millimetro.
Anche lui, ai suoi tempi, dopo il diploma per
corrispondenza alla scuola Radio Elettra, subì le
angherie dei prufesùr terùn dell’università. Per far
credere alla prima moglie di essere dottore in
medicina anche se aveva dato solo qualche esame,
dovette inscenare ben due feste di laurea e uscire
ogni mattina di casa con la valigetta da medico
condotto, salvo poi fermarsi al bar dietro l’angolo per
giocare al biliardo. Altri tempi, quando ancora il
Kristal era una marca di champagne.
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