martedì 5 giugno 2012

Ci vorrebbe un tecnico di Marco Travaglio


Non manca molto al giorno in cui la parola
“tecnico”, da positiva e rassicurante che era,
diventerà un insulto. I “tecnici” del governo
Monti ce la stanno mettendo tutta perché ci
si arrivi nel minor tempo possibile. Non passa
giorno senza che uno di loro, a turno, dia aria alla
bocca con esternazioni estemporanee, annunci
mirabolanti, proposte irrealizzabili, gaffe e cazzate.
Dalle sparate delle allegre comari Fornero,
Martone, Mazzamuto e Polillo alle dimissioni di
Malinconico e Zoppini alle non dimissioni di
Patroni Griffi, dall’inutile indultino svuota-carceri
che le ha riempite vieppiù all’acquisto subito
ritirato di 400 auto blu, dalle boutade sul tassare gli
sms, i cani e i gatti alle promesse mancate sulla
riforma Rai, dalla controriforma del Csm subito
revocata ai pasticci sull’anticorruzione, dai conti
sbagliati sul numero degli esodati a quelli
impossibili sul calcolo dell’Imu giù giù fino
all’appello agli italiani perché segnalino via mail gli
sprechi da tagliare. Ora ci si mette pure la ministra
Paola Severino con un’idea bislacca da film di
Stanlio e Ollio: utilizzare i detenuti “non pericolosi”
e “in regime di semilibertà” per ricostruire l’Emilia
terremotata. Naturalmente non se ne farà nulla
neanche stavolta, ma la trovata un risultato l’ha già
sortito: quello di trasformare Calderoli in un genio,
con la sua proposta di ovvio buonsenso di “u s a re
invece i nostri militari ritirandoli dall’Afghanistan”.
La ministra Severino deve aver visto troppi film
americani sulle ferrovie della Nuova Frontiera del
Far West o sui galeotti con la palla al piede nelle
piantagioni di cotone. Alle popolazioni colpite dal
sisma non serve manodopera purchessia, visto che
c’è poco da scavare. Servono operai e muratori
altamente specializzati per ricostruire edifici e
centri storici e riedificare case e fabbriche sicure da
rischio sismico. Una manodopera che non si trova
nelle carceri, ma nelle aziende, a cominciare da
quelle emiliane, che sarebbero prontissime a
ripartire e a ricostruire se avessero il denaro per
farlo. Se c’è una cosa che in Italia non manca sono i
volontari della Protezione civile e di altre
organizzazioni laiche e religiose, collaudatissime sul
fronte delle catastrofi naturali. Occorrono soldi,
non braccia. E poi chi sarebbero i detenuti “non
per icolosi”? Quelli in semilibertà un lavoro già ce
l’hanno, visto che la condizione per accedere a quel
beneficio è, appunto, l’esperienza lavorativa fuori
dal carcere. Restano quelli in cella. Ma in Italia,
com’è noto, scontano la pena in cella solo i
condannati a pene superiori a 3 anni, che tra
l’indulto del 2006 e l’indultino del 2012 superano
addirittura la soglia altissima di 7-8 anni. Quindi in
media i detenuti in espiazione pena sono tutti
pericolosi. Per trasferirli nelle zone terremotate
occorrerebbe uno spiegamento straordinario di
forze dell’ordine (già oggi sotto organico) per
controllare che non si diano alla fuga o magari allo
sciacallaggio (attività diffusissima anche tra gli
insospettabili): almeno un agente di guardia – anzi,
almeno due, con i turni – per ogni detenuto. Se è
giusto che i reclusi lavorino in carcere, per
garantirsi un’occupazione qualificata in vista del
reinserimento nella società, sarebbe assurdo
mandarli a fare esperienza in Emilia, trasformando i
terremotati in cavie. E poi, finita la giornata di
lavoro, essendo impossibile riportarli nei
penitenziari di appartenenza, si porrebbe il
problema dell’alloggio. Dove andrebbero a
dormire? Nelle tende o nelle case sfitte che non
bastano nemmeno per gli sfollati? In hotel? E a
spese di chi? Un governo decente la pianterebbe
con le sparate demagogiche e inventerebbe
soluzioni un po’ più serie del solito aumento della
benzina. Tipo farla finita con le cattedrali nel
deserto tipo Tav in Valsusa, per recuperare 15-20
miliardi da destinare al riassetto idrogeologico e alla
messa in sicurezza degli edifici pubblici e storici.
Ma, per questo, ci vorrebbero dei tecnici. Veri,
però

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