venerdì 22 giugno 2012

L’euro è nudo, tutti tacciono e Berlusconi ci guadagna


Molte volte, inutilmente, proprio su questo blog si è detto che il tema dell’Euro è colpevolmente assente dal dibattito pubblico, vittima del coma della politica che peraltro riflette quello dell’intera classe dirigente italiana. Il problema di questo denaro che non è del tutto moneta, che non ha uno Stato, né una banca di ultima istanza , che è facilmente aggredibile dalla speculazione e dagli egoismi degli stati forti, è cruciale per il Paese: si può difenderlo o esecrarlo, ma non è più consentito farne un feticcio da agitare senza discuterne. Tanto poco consentito che ora rischia di rimettere al centro della scena Berlusconi che sta individuando proprio nella moneta unica il sentiero di un possibile ritorno al potere.
Nessuno nega che la moneta comune sia stata una grande speranza e che per 8 anni abbia tenuto bassi gli interessi, anche se il suo progressivo rafforzamento ha dato slancio alle delocalizzazioni e ha contribuito a deindustrializzare il Paese. Ma quello era il passato, oggi la moneta si è girata ed è comparsa un’altra faccia che rischia,   in assenza di una revisione dei trattati, di uccidere la nostra economia,. Possibilità peraltro prevedibile e prevista che avrebbe richiesto di mettere mano ai nodi della società italiana e alla sua fragilità strutturale assai prima  dell’entrata in vigore della nuova divisa. Invece non si è fatto nulla perché Berlusconi ha congelato il Paese dentro il suo progetto di potere personale, dentro le cricche degli squali e perché i centro sinistra che si sono succeduti, in mancanza di una coerente idea di società alternativa a quella che “aveva vinto”, si sono abbandonati all’Euro come se fosse esso stesso tutta la politica possibile.
La novità è che oggi la moneta comune, divenuta di nessuno se non dei centri finanziari, aggredisce anche la nostra democrazia, permettendo al populismo di sempre di impadronirsi di un tema che è dentro la testa e il risentimento degli italiani. Per questo non posso fare a meno di seguire con vero orrore e direi disgusto, la selva di predizioni catastrofiche, tutte accuratamente non argomentate o pessimamente argomentate, con cui ad ogni apostasia che metta in pericolo l’ortodossia del culto, il centro sinistra, il partito di Repubblica, i galli cedroni dell’economia e tutto ci che gira attorno a interessi ben individuabili, gridano all’eresia e alla fine del mondo. Qualcosa che ci potrebbe regalare il vero disastro dentro il dramma, la beffa finale, quello di ritrovarci Silvio Babà e i suoi ladroni di nuovo al comando o comunque in grado di esercitare ricatti.
E’ un atteggiamento irresponsabile, contiguo all’aborrita antipolitica, che ha pochissimo senso anche perché non è detto che un’uscita dall’euro debba essere frutto di una precisa volontà, ma può verificarsi ugualmente per l’insostenibilità dei presupposti  sui quali è nato e dei meccanismi con i quali funziona, anzi è assai probabile che  avvenga proprio questo. Dunque discuterne, per mettere a punto tecniche, salvagenti e prospettive sarebbe doveroso, il minimo sindacale per una politica che voglia meritarsi questo nome. La catastrofe peggiore che ci possa capitare è proprio quella di essere colti di sorpresa da un evento dopo essere stati capaci solo di esorcizzarlo. Tanto più che la preoccupazione dovrebbe essere semmai quella di mantenere in piedi la costruzione europea senza mandarla alle ortiche assieme alla moneta.
In realtà la mia sensazione è che si sia fin troppo coscienti dell’incombere degli eventi e che la consegna del silenzio o l’esecrazione  nascondono in realtà l’uso dell’euro in emergenza e delle operazioni demenziali a cui ci costringe, per annullare le conquiste del lavoro, distorcere la Costituzione, svendere i beni pubblici. Insomma un grimaldello per scardinare ciò che si oppone alla formazione di uno stato oligarchico e il banchetto sui rimasugli dello stato. Si tratta di un’opinione personale, ma certo alcune cose sono inquietanti: l’unico vero sindacato rimasto rinuncia allo sciopero contro una riforma del lavoro che è solo una mattanza di diritti, la Confindustria che la considera schifosa, ma da attuare comunque, l’alzata di scudi furibonda contro il disvelamento di una doppia scorrettezza di Napolitano , sia come presidente della Repubblica che come capo del Csm, il rapido sfruttamento  della gaffe per annunciare un giro di vite mortale sulle intercettazioni, una sorta di unanimismo “responsabile” che sta facendo diventare il Paese una camera a gas impedendogli di discutere sul suo futuro, tutti appesi a un governo forse sobrio, ma non meno cialtrone dei precedenti. Così ci sono sempre meno euro da spendere, ma ce n’è sempre  in abbondanza per fare paura.
La gente con qualunque numero di g la si voglia chiamare, avverte che qualcosa non funziona, che la salvezza invocata per tramite di un governo di palazzo – e che palazzo – riguarda le classi dirigenti, i ricchi, il sistema bancario, è disorientata e accorre dove giungono dei segnali invece del silenzio. Non c’è bisogno che essi siano coerenti o che vengano proprio da coloro che hanno lasciato incancrenire le piaghe, basta il fatto che un esperimento “tecnico” largamente fallimentare, debolissimo all’interno e  senza alcuna forza all’esterno e dunque disponibile a qualsiasi ricatto, venga tenuto artificiosamente in piedi per dar modo al mondo politico di risolvere le sue questioni interne, lasciando via libera ad ogni diktat, avidità, disegno occulto, interesse di bottega.
Il rifiuto di parlare di qualcosa, le violente reazioni quando vi si fa cenno, sono segni certi di nevrosi. E in effetti l’Italia soffre di una rimozione della politica, di un conflitto tra le pulsioni di una classe dirigente invecchiata con o senza anagrafe e una realtà che si è rimessa in moto, che non si può più nemmeno alterare. Che si può solo tacere.

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