giovedì 14 giugno 2012

Pesaro, armi belliche: 4300 bombe all’iprite e 84 tonnellate di testate arsenico in mare




Silenziosi e letali. Sono oltre 30mila gli ordigni inabissati nel sud del mare Adriatico, di cui 4300 bombe all’iprite e 84 tonnellate di testate all’arsenico nel mare antistante Pesaro. Questi arsenali, prodotti dall’industria bellica italiana dagli anni ‘20 fino alla seconda guerra mondiale e coperti per anni dal Segreto di Stato, continuano a rilasciare pericolose sostante tossiche che da più di ottant’anni causano gravi danni all’ecosistema della Penisola e alla salute delle popolazioni locali.
“Un’eredità che nessuno vorrebbe trovarsi in dote – commentano Luigino Quarchioni e Enzo Frulla, rispettivamente presidente di Legambiente Marche e presidente del circolo Legambiente di Pesaro -. Una ferita aperta per tutto il territorio, non solo per l’impatto ambientale ma anche per il turismo e l’economia del pesarese e dell’intera Regione. Ci appelliamo quindi a tutte le istituzioni che hanno competenze in questo argomento affinché si proceda con la bonifica e il risanamento di quest’area”.
Legambiente, insieme al Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche, ha fatto il punto della situazione con il dossier “Armi chimiche: Un’eredità ancora pericolosa”, presentato questa mattina a Roma. Nel corso del convegno è stata presentata una mappatura dei siti inquinati dagli ordigni della seconda guerra.
“Si tratta di cimiteri chimici che rilasciano sostanze killer dannosissime come arsenico, iprite, lewsite, fosgene e difosgene, acido cloro solfonico e cloropicerina – ha spiegato Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente – Per richiedere la bonifica di questi siti e per denunciare queste situazioni, è nato il Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche, al quale ha aderito l’associazione. L’obiettivo – aggiunge – è di promuovere azioni per la difesa dell’ambiente e la protezione contro i rischi derivanti dall’esposizione a sostanze tossiche provenienti dalle armi chimiche e dalla mancata bonifica dei siti civili e militari a terra, nei laghi, nei fiumi e nel mare, in cui queste armi sono state fabbricate o abbandonate. Su questo ci aspettiamo un cambio di passo e un segnale di protagonismo e trasparenza da parte delle istituzioni, a partire dal Ministero della Difesa e dal Parlamento ”.
Il dossier di Legambiente e del Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche, oltre a riportare le storie del Lago di Vico, Molfetta, Golfo di Napoli, Colleferro e basso Adriatico, racconta anche la condizione del mare antistante Pesaro.
Nell’Adriatico ci sono siti, individuati da diversi documenti militari, su cui fino ad ora non è stata fatta nessuna indagine accurata per certificarne la presenza, localizzare e quantificare il materiale presente, come l’area marina di Pesaro dove, nel 2010, un gruppo di cittadini ha iniziato a chiedere notizie certe sugli ordigni all’iprite e all’arsenico abbandonati dai tedeschi in mare marchigiano nel 1944 durante la loro ritirata.Nel luglio scorso l’Arpa Marche ha dato il via alla prima campagna di monitoraggio sui sedimenti marini senza riscontrare valori al di sopra delle soglie stabilite.Legambiente e il Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche auspicano che venga costituita una Commissione permanente d’indagine composta da Arpam e Università di Urbino, per compiere un monitoraggio costante nel tempo e quindi intraprendere le eventuali azioni di bonifica.
“Il Coordinamento – ha detto Alessandro Lelli, presidente Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche (C.N.B.A.C.) – riunisce associazioni e comitati locali di alcune delle zone più interessate dall’inquinamento causato dalla presenza di armi chimiche. L’obiettivo è di rafforzare la richiesta di un attento monitoraggio e successiva bonifica dei siti, costituendo un interlocutore nazionale che rappresenti le singole realtà locali. Tra le proposte presentate nell’iniziativa di oggi c’è l’istituzione di una commissione straordinaria che vigili sulle azioni di monitoraggio e bonifica dei siti contaminati da armi chimiche e che fornisca informazioni chiare ed esaustive ai cittadini che vivono nei luoghi interessati dal problema. Solo in questo modo si può avviare il percorso virtuoso che metta fine alla pericolosa eredità delle armi chimiche in Italia”.
Quello che emerge è dunque un quadro complesso, dove è in gioco la salute di tutti: dell’ecosistema e dell’ambiente. I conflitti bellici hanno lasciato una pesante eredità che deve essere affrontata seriamente attraverso l’impegno di tutti senza nascondere o coprire più nulla.

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