L’altro giorno abbiamo pubblicato una
telefonata fra i generali dei Carabinieri Mario
Mori e Mario Redditi, intercettata il
29.1.2012. I due commentano la
presentazione a Roma del libro di Mori, dov’è
intervenuto Emanuele Macaluso, direttore del
R i fo r m i s t a poi defunto, che ha difeso
appassionatamente Mori dall’“accanimento della
Procura di Palermo”. Redditi: “Macaluso è il più
grande amico del presidente Napolitano, col quale
ha condiviso il suo intervento, quindi... è un po’ il
ventriloquo di altri, non so se mi spiego...”. Mori: “Sì,
ma questo l’avevo intuìto, poi magari a voce
parliamo”. Macaluso prende cappello e scrive
sull’Unità che quel generale è un “c re t i n o
disinfor mato”: lui è, sì, amico di Napolitano, ma
“non il ventricolo del Quirinale” (era ventriloquo,
ma fa lo stesso). Dunque siamo tutti più tranquilli: gli
attacchi di Macaluso alla Procura di Palermo, dai
tempi del processo Andreotti a quello sulla trattativa,
che lui addirittura nega sia mai esistita, non
coinvolgono il Capo dello Stato. Poi però saltano
fuori – maledetti gli archivi – un articolo e due
interviste di Macaluso che dice le stesse cose del trio
Napolitano-D’Ambrosio-Mancino. Occhio alle date.
Il 25.2, il 5.3 e il 7.3 Mancino chiama D’A m b ro s i o ,
temendo il confronto con Martelli al processo Mori.
Si cerca il modo di scippare l’indagine ai pm di
Palermo con l’avocazione o il coordinamento del
Procuratore nazionale antimafia. D’A m b ro s i o :
“Intervenire su Grasso”, con cui Mancino vorrebbe
un incontro “in maniera riservatissima, che nessuno
sappia niente”. D’Ambrosio rassicura: “Lo vedo
domani”. Il Pg della Cassazione, opportunamente
sensibilizzato, chiede gli atti al gip di Caltanissetta
che ha osato criticare le reticenze di Mancino. L’8.3,
mentre il Quirinale progetta queste belle cosette,
Macaluso verga un editoriale per il R i fo r m i s t a del 9, in
cui nega la trattativa Stato-mafia, critica il “processo a
Palermo che vede imputati il generale Mori e il
colonnello De Donno” (falso: gli imputati sono Mori
e Obinu) e butta lì: “Con l’aiuto della Procura
nazionale antimafia occorre arrivare rapidamente a
una conclusione”. Lo stesso giorno, nel timore più
che fondato che il R i fo r m i s t a non lo legga nessuno, si
fa intervistare dal Corr iere: “C’è una guerriglia tra
poteri dello Stato, apparati investigativi e pezzi di
magistratura. Guerriglia che continua e che fa delle
vittime tra le quali non ho alcuna difficoltà a inserire
Mori. La procura nazionale antimafia, guidata da un
magistrato di valore come Grasso, dovrebbe
prendere in mano questa situazione. Qui si
chiamano in causa Scalfaro, Amato, Martelli,
Mancino e ora anche Mannino, mentre a Palermo
sono sotto processo Mori e De Donno (ri-falso,
ndr)... Ci vorrebbe un punto di chiarezza e solo la
procura nazionale può farlo”. E due. Ma non basta:
“Ci vorrebbe un procuratore nazionale per fare un
punto di sintesi”. E tre. Non contento, Macaluso si fa
intervistare pure dalla rivistina ciellina Tempi , in
edicola il 15.3: “Non è possibile che un paese viva
chiedendosi per anni se c’è stata o no una trattativa,
se Borsellino è morto per questo o no... Chiederei
che si mettesse un punto. La procura nazionale
antimafia, che ha tutti gli strumenti necessari per
approfondire, perché non interviene per fare un po’
di chiarezza?... Mancino ha ribadito... che lui non
sapeva nulla su una trattativa...”. Ma allora è proprio
fissato. Strano che, proprio nei giorni in cui il
Quirinale si agita per convincere Grasso a prendere
in mano l’inchiesta di Palermo nel senso auspicato
da Mancino con la scusa di un “c o o rd i n a m e n t o ” g ià
deliberato dal Csm otto mesi prima, anche Macaluso
si agiti sui giornali con lo stesso obiettivo. Ma a che
titolo chiedere l’intervento di Grasso? Ma chi si
crede di essere: il presidente della Repubblica? Per
carità, noi non diremo mai che egli sia il ventriloquo
né tantomeno il ventricolo di Napolitano. Diciamo
che i due hanno lo stesso rapporto di certi gemelli
siamesi: di telepatia ventricolare.
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