mercoledì 11 luglio 2012

Al cittadino non far sapere di Marco Travaglio

Ue’ gua glio’!”. “Scusi, con chi parlo?”. “So’
Nicola, Nicola Mancino: l’amico D’A m b ro s i o
m’ha detto di chiamarti per fare qualcosa
contro ‘sti malamente dei piemme di Palermo
che si so’ fissati co’ ’sta pinzillacchera della trattativa”.
“Guarda, Mancino, con tutto il bene che ti voglio, hai
sbagliato indirizzo. Anzitutto non sono un ‘gua gliò’,
ma il presidente della Repubblica. E, come capo del
Csm, non solo non ho alcun potere di interferire in
un’inchiesta in corso, ma ho pure il dovere di
difendere l’indipendenza dei magistrati. Dovresti
saperlo bene, visto che del Csm eri il
v i c e p re s i d e n t e . . .”. “Ma guagliò, cioè presidè, chisti
piemme insistono, dicono che so’ bug iardo,
organizzano confronti co’ Mar telli...”. “E io che ci
posso fare? Se non hai nulla da rimproverarti, vedrai
che la tua innocenza alla fine verrà fuori. Noi siamo i
primi a doverci fidare della magistratura perché
apparteniamo a una categoria privilegiata: sennò con
che faccia diciamo a un cittadino qualunque che deve
aver fiducia nella Giustizia?”. “Presidè, è ‘na parola,
chilli vogliono incriminarmi pe’ falsa testimonianza!
Ammè, capito, a Nicola Mancino!”. “Guarda, caro, se
hai qualche lagnanza nei confronti di un pm, manda
un esposto al procuratore, al gip, al presidente della
Corte d’appello, al procuratore generale, al Csm, alle
Nazioni Unite, a chi pare a te, ma lasciami fuori. Tutti i
cittadini sono uguali davanti alla legge, ricordi? Lo dice
la nostra Costituzione, su cui hai giurato un’infinità di
vo l t e . . .”. “Ma presidè, siamo amici, m’hanno rimasto
solo, non mi parla cchiù nisciuno...”. “E pazienza,
prenditi una badante, gioca a bocce, fai come ti pare,
ma non permetterti più di disturbare il Quirinale. E
lascia in pace il povero D’Ambrosio che non ce la fa
più. Sennò ti denunciamo per stalking ai sensi della
legge Carfagna...”. Sarebbe bello se, per troncare le
polemiche e i sospetti seguiti alla notizia che due sue
telefonate sono state intercettate sull’utenza di
Mancino, il Capo dello Stato chiedesse ufficialmente
alla Procura di non farle distruggere e di
trasmettergliele. Per renderle pubbliche e dimostrare
agli italiani che davvero le illazioni sul suo conto sono
“costruite sul nulla”. Che possiamo fidarci della sua
correttezza e imparzialità. E che le condotte border
line che gli attribuisce D’Ambrosio al telefono con
Mancino sono solo millanterie per levarselo di torno.
Insomma che non è vero che Napolitano parlava con
Grasso e col Pg della Cassazione per mettere in riga i
pm di Palermo con la scusa di “c o o rd i n a r l i ” con i
colleghi di Firenze e Caltanissetta. Non è vero che
Napolitano suggeriva a Mancino di concordare una
versione di comodo (cioè falsa: la verità non si
concorda) con Martelli che lo contraddice. Anzi, si
atteneva scrupolosamente al protocollo di
coordinamento varato l’estate scorsa dal Csm (da lui
presieduto) con Grasso e le tre Procure. E non lo
sfiorava neppure la tentazione di favorire Mancino,
avendo come unico obiettivo la ricerca della verità
sull’indegna trattativa Stato-mafia. Purtroppo, almeno
finora, il capo dello Stato non ha voluto raccogliere il
consiglio che, per il bene dell’alta istituzione che
rappresenta, gli ha rivolto il Fatto. Anzi, ci risulta che ha
mandato avanti l’Avvocatura dello Stato per contestare
la mossa assolutamente legittima e doverosa dei
magistrati: quella di intercettare tutte le conversazioni
di Mancino, comprese le sue. E non gli giova l’incauto
prodigarsi di uomini a lui vicini, come Scalfari, che
ancora ieri, in una selva di supercàzzole giuridiche,
intimava ai pm di Palermo di fare subito ciò che non
possono: “Avviare la procedura di distruzione” delle
telefonate Mancino-Napolitano. La domanda sorge
spontanea: perché tanta fretta? Forse che, nelle due
bobine, c’è ben più del “nu l l a ” che lui ha
solennemente garantito? Presidente, ci illumini: in
quei nastri c’è qualcosa che non sappiamo e
soprattutto non dobbiamo sapere?

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