lunedì 2 luglio 2012
CALABRIA RADIOATTIVA DA 40 A 100 LE NAVI CON RIFIUTI TOSSICI AFFONDATE NEL MARE DI CALABRIA
Un sondar cerca i resti del mezzo con 120 fusti di scorie affondato dalla n'drangheta La pista aperta da un pentito, ma anni sono trascorsi prima che iniziassero i sopralluoghi Caccia al relitto dei rifiuti radioattivi
La verità è sui fondali del Mar Tirreno
PAOLA (COSENZA) - Sta in "mano" al sondar che da questa mattina sta lavorando nei fondali del Tirreno cosentino la verità sulla nave affondata nelle acque di Cetraro. Una verità avvolta da anni nel mistero, sepolta dalle acque. E' quella la nave a perdere con 120 fusti di scorie radioattive affondata dalla n'drangheta?
La pista è stata aperta dalle dichiarazioni di un pentito, ma anni e anni sono trascorsi prima che si potessero iniziare i sopralluoghi. Il Procuratore Capo della Repubblica di Paola, Bruno Giordano, non si è arreso. E' una pista difficile, e tanti sono gli interessi politici in gioco che nel corso degli anni hanno cercato di far depistare le attenzioni. E' la pista di Ilaria Alpi.
Come smaltire i rifiuti radioattivi? Una delle soluzioni praticate nel corso degli anni sembra proprio quella di caricarli sulle navi. E farle colare a picco. Una soluzione che evidentemente coinvolge livelli politici e malavitosi. Ma quante navi di questo tipo abbiamo nei nostri mari? Per anni si è tentato persino di negare che quella di Cetraro fosse una nave. Ma la Procura di Paola ora ne è certa, ha tutti i dati dei rilievi che lo confermano: è'una nave, adagiata sul fianco. Il che conferma le rivelazioni del pentito di mafia. Una nave non segnalata. La Marina militare ha inoltre confermato che in quella zona non ci sono mai stati affondamenti, neanche durante la guerra. Ora bisogna stabilire da quanto tempo questa nave si trova sui fondali di Cetraro. E se i materiali che contiene sono, come si sospetta, radioattivi.
E'una tesi che fa quadrato non solo con le dichiarazioni dei pentiti ma anche con altri ritrovamenti nella zona: a pochi chilometri di distanza c'è un'altra nave affondata, la Jolly Rosso, denominata la nave dei veleni. (vedi Espresso). E pochi giorni fa una collina di rifiuti radioattivi è stata scoperta nella vicina Serra d'Aiello. La Procura sta inoltre indagando sull'aumento dei tumori nel Tirreno cosentino e sul possibile collegamento tra le malattie e la radioattività certificata in alcuni punti della zona.
di ANNA MARIA DE LUCA fonte: www.repubblica.it
Dopo il relitto in Calabria, inchiesta di Legambiente sulle ecomafie Sarebbero da 40 a oltre 100 i cargo affondati nel Mediterraneo Dal plutonio alle polveri di marmo il "cimitero" delle navi radioattive
"Basta essere furbi, aspettare delle giornate di mare giusto, e chi vuoi che se ne accorga?". "E il mare? Che ne sarà del mare della zona se l'ammorbiamo?". "Ma sai quanto ce ne fottiamo del mare? Pensa ai soldi che con quelli, il mare andiamo a trovarcelo da un'altra parte...". Questo dialogo tra due boss della 'ndrangheta, agli atti delle indagini coordinate da Alberto Cisterna, magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, basta per comprendere quale logica abbia mosso le navi dei veleni.
Navi che dagli anni Ottanta hanno seminato lungo le coste del Mediterraneo e dell'Africa i loro carichi di rifiuti tossici e radioattivi Meno facile è capire perché si sia dovuto aspettare vent'anni per seguire una pista che era stata indicata con chiarezza da tante inchieste e tanti pentiti. Nel 2000 l'indagine iniziata dalla magistratura di Reggio Calabria nel 1994, dopo una denuncia della Legambiente sulla Rigel, un'altra nave a perdere affondata per disfarsi di un carico radioattivo che non riusciva a trovare destinazioni lecite, fu archiviata, nonostante la gran mole di indizi, perché "mancava il corpo del reato". Difficile del resto che le prove potessero emergere da sole visto che erano state seppellite con cura in una fossa del Mediterraneo.
Ora però, grazie all'ostinazione della procura di Paola e dell'assessorato all'Ambiente della Regione, la "pistola fumante" è stata trovata: un piccolo robot è riuscito a fotografare il delitto sepolto a 487 metri di profondità, i bidoni della vergogna che spuntano dalla falla nella prua della Cunsky. Il teorema della prova irraggiungibile è crollato.
"Per troppi anni i magistrati sono stati lasciati soli mentre i processi venivano insabbiati: a questo punto tutte le inchieste vanno riaperte", chiedono Enrico Fontana e Nuccio Barillà, i dirigenti della Legambiente che hanno denunciato molte sparizioni sospette di navi. "Devono intervenire la procura nazionale antimafia e il ministero dell'Ambiente, bisogna formare un'unità di crisi per il monitoraggio delle zone in cui all'aumento della radioattività corrisponde un picco di tumori. Vogliamo sapere la verità sui legami tra il traffico di rifiuti e il traffico di armi, le connessioni con il caso Ilaria Alpi e il trafugamento di plutonio e rifiuti radioattivi".
Buona parte del lavoro è già fatto: mettendo assieme le informazioni raccolte pazientemente dai magistrati di mezza Italia è possibile costruire la mappa dei cimiteri radioattivi dei nostri mari. Un elenco di affondamenti volontari, navi che spariscono nel nulla senza lanciare il may day, troppo lungo per essere citato in versione integrale, ma basta ricordare alcuni casi per avere un'idea di quello che è successo in questi anni.
Nel 1985, durante il viaggio da La Spezia a Lomè (Togo), sparisce la motonave Nikos I, probabilmente tra il Libano e Grecia. Sempre nel 1985 s'inabissa a largo di Ustica la nave tedesca Koraline. Nel 1986 è il turno della Mikigan, partita dal porto di Marina di Carrara e affondata nel Tirreno Calabrese con il suo carico sospetto. Nel 1987 a 20 miglia da Capo Spartivento, in Calabria, naufraga la Rigel. Nel 1989 la motonave maltese Anni affonda a largo di Ravenna in acque internazionali. Nel 1990 è il turno della Jolly Rosso a spiaggiarsi lungo la costa tirrenica in provincia di Cosenza. Nel 1993 la Marco Polo sparisce nel Canale di Sicilia.
Del resto fino agli anni Novanta c'era addirittura chi teorizzava pubblicamente la sepoltura in mare dei rifiuti radioattivi. La Odm (Oceanic Disposal Management) di Giorgio Comerio si presentava su Internet offrendo i suoi servigi di affondamento su commissione. Era già in vigore la Convenzione di Londra che vieta espressamente lo scarico in mare di rifiuti radioattivi, ma la Odm, che operava dal 1987, sosteneva che non si trattava di scarico "in" mare ma "sotto" il mare perché la tecnica proposta consisteva nell'uso di una sorta di siluri d'acciaio di profondità che, grazie al loro peso e alla velocità acquisita durante la discesa, s'inabissano all'interno degli strati argillosi del fondo marino penetrando a una profondità di 40-50 metri.
di ANTONIO CIANCIULLO www.repubblica.it
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