Ma guarda che sorpresona: la Corte dei conti riconosce che sarà difficile anzi pressoché impossibile raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013 perché le stangate affossano l’economia e quindi il gettito tende a diminuire nonostante l’aumento delle tassazioni. Anzi proprio quest’ultimo funziona come ulteriore fattore depressivo. E’ quello che è successo in Asia negli anni ’90, in Sudamerica all’alba del secolo ed ciò che succcede in Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo, ma anche, sia pure a un diverso livello, nei Paesi più ricchi. Ormai è un fatto empiricamente dimostrato che la sottrazione di diritti del lavoro e dunque la diminuzione dei salari e/o la precarizzazione unita all’attacco del welfare peggiora i conti invece di migliorarli.
Tuttavia come se il capitalismo finanziario soffrisse di autismo continua a ripetere le medesime frasi, a dare le medesime ricette, estraniato dalla realtà o calato solo in quella dei centri bancari e dei potentati economici. I sintomi della malattia ci sono tutti dalla coazione a ripetere, alla mancanza di condivisione, ai rituali rigidi, all’ assenza di socialità per finire all’incapacità di rinunciare a paradigmi ormai falsificati e tuttavia divenuti col tempo delle reazioni pavloviane. Lo dimostra il ministro Grilli che di fronte al ragionamento della corte replica: “Non c’è un corto circuito tra rigore e crescita. Ci deve per forza essere una compatibilità”. Già ma chi lo dice? Perché dovrebbe esserci per forza? Esiste forse una legge, un teorema o una dimostrazione? Certo che no e - a parte il fatto che esiste un’enorme differenza tra rigore e massacro sociale che Grilli non è evidentemente in grado di cogliere – anche un bambino capirebbe che la “crescita” nella concreta ‘accezione neo liberista è l’esatto contrario di qualsiasi razionale sobrietà e somiglia a quella dei vitelli gonfiati a forza di ormoni: c’è stata anzi una spinta nevrotica all’indebitamento per comprare e comprare e comprare, sulla quale poi si sono costruiti dei prodotti finanziari fasulli per guadagnarci anche quando i debiti erano inesigibili. Quindi all’interno di questo sistema di pensieri e di incubi, rigore e crescita sono incompatibili.
Se si trattasse di un ministro, di un governo o di un certo numero di persone occorrerebbe un ricovero caoatto, ma visto che si tratta di un sistema l’unica cura è quello di ritrovare una politica che spazzi via questo ciarpame destinato ormai – come del resto ammettono apertamente anche fior di economisti liberisti, persino insigniti dal nobel, vedi Robert Mundell – a sostenere solo l’obiettivo politico di “ridurre” la democrazia e relegare lo stato a una pura difesa della proprietà di rapina.
Ma queste cose le abbiamo dette mille volte e altrettante abbiamo messo il dito nella piaga del governo tecnico che gira a vuoto come un sonnambulo: però questa uscita della corte dei conti non solo ufficializza il fallimento dell’agenda Monti, ma anticipa in modo ufficioso ciò che era ovvio e che invece è stato oggetto di una patetico tentativo di nascondimento: il fatto che si dovrà chiedere l’aiuto al Mes e alla Ue ottemperando a tutte le richieste che verranno fatte: cioè licenziamenti nel settore pubblico e tagli di stipendio. Con l’unico risultato di approfondire ancora di più la crisi. Ma sapete quando si ha a che fare con gente che a Bruxelles ha salutato come una grande vittoria delle proprie dottrine l’aumento dell’export del Portogallo, senza pensare che questo fuoco di paglia era dovuto solo all’esportazione dell’oro che i portoghesi hanno dovuto vendersi per sopravvivere, c’è poco da stare allegri. C’è solo da salutare la compagnia.
Tuttavia come se il capitalismo finanziario soffrisse di autismo continua a ripetere le medesime frasi, a dare le medesime ricette, estraniato dalla realtà o calato solo in quella dei centri bancari e dei potentati economici. I sintomi della malattia ci sono tutti dalla coazione a ripetere, alla mancanza di condivisione, ai rituali rigidi, all’ assenza di socialità per finire all’incapacità di rinunciare a paradigmi ormai falsificati e tuttavia divenuti col tempo delle reazioni pavloviane. Lo dimostra il ministro Grilli che di fronte al ragionamento della corte replica: “Non c’è un corto circuito tra rigore e crescita. Ci deve per forza essere una compatibilità”. Già ma chi lo dice? Perché dovrebbe esserci per forza? Esiste forse una legge, un teorema o una dimostrazione? Certo che no e - a parte il fatto che esiste un’enorme differenza tra rigore e massacro sociale che Grilli non è evidentemente in grado di cogliere – anche un bambino capirebbe che la “crescita” nella concreta ‘accezione neo liberista è l’esatto contrario di qualsiasi razionale sobrietà e somiglia a quella dei vitelli gonfiati a forza di ormoni: c’è stata anzi una spinta nevrotica all’indebitamento per comprare e comprare e comprare, sulla quale poi si sono costruiti dei prodotti finanziari fasulli per guadagnarci anche quando i debiti erano inesigibili. Quindi all’interno di questo sistema di pensieri e di incubi, rigore e crescita sono incompatibili.
Se si trattasse di un ministro, di un governo o di un certo numero di persone occorrerebbe un ricovero caoatto, ma visto che si tratta di un sistema l’unica cura è quello di ritrovare una politica che spazzi via questo ciarpame destinato ormai – come del resto ammettono apertamente anche fior di economisti liberisti, persino insigniti dal nobel, vedi Robert Mundell – a sostenere solo l’obiettivo politico di “ridurre” la democrazia e relegare lo stato a una pura difesa della proprietà di rapina.
Ma queste cose le abbiamo dette mille volte e altrettante abbiamo messo il dito nella piaga del governo tecnico che gira a vuoto come un sonnambulo: però questa uscita della corte dei conti non solo ufficializza il fallimento dell’agenda Monti, ma anticipa in modo ufficioso ciò che era ovvio e che invece è stato oggetto di una patetico tentativo di nascondimento: il fatto che si dovrà chiedere l’aiuto al Mes e alla Ue ottemperando a tutte le richieste che verranno fatte: cioè licenziamenti nel settore pubblico e tagli di stipendio. Con l’unico risultato di approfondire ancora di più la crisi. Ma sapete quando si ha a che fare con gente che a Bruxelles ha salutato come una grande vittoria delle proprie dottrine l’aumento dell’export del Portogallo, senza pensare che questo fuoco di paglia era dovuto solo all’esportazione dell’oro che i portoghesi hanno dovuto vendersi per sopravvivere, c’è poco da stare allegri. C’è solo da salutare la compagnia.
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