martedì 2 ottobre 2012

Italia, centrale nucleare del Garigliano. di Gianni Lannes

Italia, centrale nucleare del Garigliano.

di Gianni Lannes

Benvenuti nella centrale atomica di Sessa Aurunca in provincia di Caserta, a cavallo tra Lazio e Campania, in un ansa dell’omonimo fiume in riva al Mar Tirreno. Uno dei cinque impianti nello Stivale (compreso quello militare di San Piero a Grado in Toscana), collocato in un’area alluvionale particolarmente sismica - ai piedi del vulcano di Roccamonfina - tra Roma e Napoli, ad un alito dal Circeo e da Gaeta. Il 17 marzo dell’anno scorso il fiume Garigliano ancora una volta ha invaso l’impianto nucleare. Diciotto mesi fa l’indomito corso d’acqua ha rotto nuovamente gli argini, allagando la pianura - coltivata a vigneti e frutteti - che lo accompagna al mare. Come da prassi, a distanza di tempo per le conseguenze non sono state adottate contromisure dalle autorità sanitarie, statali e regionali. Dopo soli 14 anni di funzionamento - i primi 3 dei quali addirittura abusivi - rispetto ai 40 previsti, la centrale nucleare ha smesso di produrre energia nel 1978. Il I 9 luglio 1981, Enel ha chiuso l’impianto. L’11 marzo 1982 la centrale è stata disattivata. Da allora ha iniziato a manifestarsi un progressivo incremento di cancro e mutagenesi nella popolazione residente, compresi gli animali e le piante. Oggi, a 30 anni dalla chiusura non è stata ancora smantellata dalla Sogin. In compenso il golfo di Gaetaè gravemente inquinato dalle scorie nucleari. E spicca perfino il plutonio nei sedimenti marini. Ma questo è un segreto di Stato (anche se non apposto formalmente): la gente non deve sapere nulla dei segni indelebili che deteriorano la vita. Un esperimento per il governo Usa, un affare di mazzette per i governanti italioti. Attualmente ci si ammala e si muore nell'indifferenza generale delle istituzioni.

Garigliano, centrale nucleare.

Malformazioni - Vi dice niente una lucertola a due teste? Esatto: una lucertola con due teste. L'hanno immortalata gli abitanti del piccolo borgo del casertano di Tora e Piccilli, nel cuore del Parco Regionale del vulcano di Roccamonfina, mentre attraversava la piazza principale. Il ritrovamento ha destato molta preoccupazione ed è tornato ad accendere i riflettori sui danni derivanti dall'inquinamento prodotto dalla centrale elettronucleare di Garigliano, a Sessa Aurunca. Nel corso degli anni, infatti, nella zona sono nati animali, soprattutto vitelli e agnelli, con due teste o con altre gravi malformazioni, dall'ermafroditismo all'anchilosi, come aveva incessantemente denunciato negli anni '80 l'avvocato Marcantonio Tibaldi. «Ciò cui abbiamo assistito in questi anni è spaventoso - spiegava l'avvocato in un articolo apparso sul numero 6 di Modus Vivendi - La mortalità per leucemia e per cancro è aumentata in modo esponenziale in tutte e tre le regioni esposte alle radiazioni della centrale del Garigliano: in provincia di Latina, nel basso Lazio e in Abruzzo». Nel 1981 fu condotta un’indagine di tipo statistico, dal professor Alfredo Petteruti, poi pubblicata nel libro La mostruosità nucleare: indagine sulla centrale del Garigliano (La Poligrafica, Gaeta, 1981). Si trattava di una campionatura statistica tra mucche frisone nel periodo 1979-1980. I risultati furono terrificanti. L’indagine rilevò che “il numero delle nascite con mostruosità nelle zone A e B, prossime alla centrale era 33 e 9 volte maggiore rispetto alla zona c. In termini percentuali significa raggiungere il 3200 per cento in più”. Un’indagine dell’Enea del 1980 rilevò una contaminazione radioattiva non solo nella zona in prossimità della centrale, ma anche in una vasta porzione di mare. Fu scoperto che il cobalto 60 e il cesio 137, rispetto agli anni ’70 avevano raddoppiato i valori. Naturalmente prima dell’incidente di Chernobyl del 26 aprile 1986. Le autorità, tuttavia, si girarono dall’altra parte. E chiusero gli occhi anche quando fu verificato, sempre dall’avvocato Tibaldi, che dal 1972 fino al 1978 l’incidenza di tumori e leucemie nell’area del Garigliano - che comprende il Basso Lazio come le province di Frosinone e Latina e 1700 chilometri quadrati di costa balneabile risalendo dal Volturno al Circeo - era del “44 per cento contro una media nazionale del 7 per cento”. Nei comuni di Formia, Minturno, Sessa Aurunca, San Cosma e Damiano, Roccamonfina e Castelforte ci furono novanta casi di neonati malformati tra il 1971 e il 1980. Solo nel 1984 l’Usl Latina 6 di Formia ne registrava il 19,57 per cento. Agli ospedali di Minturno e Gaeta furono numerosi quelli di encefalici, e si verificò anche un caso di ciclopismo. A tutt’oggi non è mai stata realizzata un’indagine epidemiologica. Chissà perché.

Dismissione al rallentatore - Dal 1999 questa scoria gigantesca è gestita dalla Sogin (azienda tricolore ) che ha il compito ben remunerato con denaro pubblico di bonificare. Il cosiddetto “decommissioning”, però procede a rilento. Almeno ufficialmente i materiali da mettere in sicurezza sono circa 2.600 metri cubi raccolti in quasi 3.500 fusti, oltre a 1200 metri cubi di rifiuti a bassa radioattività, chiusi in buste di plastica e sepolti attorno alla centrale (dati Sogin anno 2008). Nel 2006 si decide di costruire un deposito, chiamato D1, per accogliere le scorie. La decisione ha saltato ogni controllo da parte delle amministrazioni locali, grazie ai poteri straordinari concessi da Berlusconi al capo della Sogin. Il generale Carlo Jean (affiliato Aspen) durante il suo pontificato in questa società ne ha combinate di tutti i colori ed impunemente. Certo che mettere le scorie in un posto a rischio sismico e di inondazioni non denota un particolare acume. Nel D1 tuttavia andranno i rifiuti di media attività (1100 metri cubi); altri 600 in un edificio recuperato sempre nell’area della centrale. Restano 2100 metri cubi: dove verranno piazzati? Probabilmente nel deposito di Avogadro, presso il centro di Saluggia in Piemonte dove nel passato nucleare italiano venivano riprocessate le barre esauste fino al 1984. Ma tutte le scorie - assicurano a Sogin - andranno poi a finire nel deposito nazionale che ne accoglierà 80 mila metri cubi: ma dove e come questo deposito sarà realizzato non si sa, semplicemente perché nessuno sa come farlo. E così i tempi si allungano e la data di fine lavori prevista per il 2016 è già stata spostata da Sogin al 2022. Il mantenimento di questa società che ha fatto pochissimo per non dire nulla fino al 2008, grazie ad una gestione poco chiara, costa tanti soldoni. Solo per Sessa Aurunca sono stati spesi finora 450 milioni di euro. Li abbiamo pagati tutti noi, grazie a quella voce, A2, che trovate nella bolletta elettrica. Con essa finanziamo gli sperperi della Sogin, i petrolieri e gli inceneritori (A 3).

La Sogin dichiara: "Nel 2010 è stato pubblicato il decreto di compatibilità ambientale per il rilascio incondizionato del sito. La valutazione di impatto ambientale prevede che le attività di smantellamento non riguardino gli edifici reattore e turbina, progettati dall’architetto Riccardo Morandi, dichiarati patrimonio architettonico del nostro Paese come stabilito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali".

Incidenti e disinformazione - Il mostro è una palla bianca unica al mondo da 160 megawat di potenza elettrica. È un reattore che la General Electric ha venduto all’Italia nei primi anni ‘60, ma che poi non ha avuto il coraggio di replicare negli Usa.

Il progetto infatti viene finanziato dalla Banca Mondiale (allora BIRS: banca per la ricostruzione e lo sviluppo) con 40 milioni di dollari. Siamo nel 1959. Questi soldi sono un prestito erogato alla Cassa del Mezzogiorno, una specie di antro senza fondo dentro il quale è stata inghiottita una quantità spaventosa di denaro pubblico, del quale solo una infinitesima parte è stato speso per le popolazioni del Sud mentre la maggior parte è finito nel calderone di una corruzione dilagante a favore dei governanti, mai volutamente arrestata.
I lavori partono nel 1959 con la previsione di terminare tre anni più tardi, ma le continue piene del Garigliano li rallentano e si arriva alla prima produzione di energia solo nel 1964. L’autorizzazione a funzionare, cioè la “licenza di esercizio” fu data nel 1967. Per tre anni abbiamo avuto nel paese una centrale nucleare clandestina. Da un punto di vista tecnico e produttivo questo impianto è stato un totale fallimento. In quindici anni ha prodotto appena lo 0,3 per cento del fabbisogno nazionale e, cosa assai più grave, ha subito una serie di incidenti ben documentati.

Nel 1970 si rischia il "botto". Accade quello che è avvenuto l’anno scorso a Fukushima. A causa delle piene e quindi delle inondazioni del fiume Garigliano i motori elettrici che regolano il sistema di raffreddamento si spengono: quello principale e anche quello secondario. Anche il terzo impianto, di riserva, non parte. Il rischio di una fusione delle barre viene scongiurato per puro caso perché si riesce all’ultimo momento a recuperare energia dalle linee esterne.

Nei successivi otto anni ci sono altri quattro incidenti importanti. In due di questi (1972 e 1976) dalla centrale fuoriescono sostanze radioattive che si mescolano all’aria, all’acqua e alla terra. Poi nel 1978 un altro guasto e la chiusura. Bene così? Neppure per sogno: un reattore non si spegne come un’automobile. Ci vogliono decenni perché smetta di pulsare, perché le barre possano essere trattate. Le scorie radioattive sono sempre là e un aumento di temperatura può provocare guasti inimmaginabili. Per questo il sistema di raffreddamento dell’impianto dev’essere sempre attivo e ben controllato. Così altri incidenti si verificano nel 1979 . Nel novembre 1980 il Garigliano esonda ancora e invade i locali della centrale. La drammaticità dell’incidente è nel telegramma che arriva al sindaco di Castelforte, comune confinante col sito. Lo spedisce l’ingegner Sennis del Cnen, la vecchia sigla dell’Enea. Lo avverte che l’acqua che è entrata nella centrale è anche uscita tornando nel fiume, solo che si è portata dietro una quantità imprecisata di materiali radioattivi. Soprattutto Cesio 137, radioattivo con una emivita di 30 anni. Ergo: ci vogliono 300 anni per tornare in condizioni “normali”.

Sono fatti gravissimi perché influiscono sulla vita delle persone: le sostanze radioattive entrano nel ciclo alimentare. Le specie viventi che pascolano nei campi circostanti (la zona è quella della mozzarella di bufala) o che nuotano nel fiume e nel mare (alla foce del Garigliano) sono in pericolo. Scatta un’inchiesta giudiziaria locale e si individua il responsabile. E’ un ingegnere, direttore della centrale, Tommaso Vitiello, che ha usato i serbatoi senza alcun collaudo. Viene ritenuto colpevole, ma la pena è prescritta per amnistia.
Si tratta di fatti gravissimi eppure nessuno ne parla. Chi apre bocca narra storie allucinanti. Racconta di colleghi morti di cancro a causa delle radiazioni. Rivela di esperimenti fatti nella centrale. Come quello di rivestire di plutonio le barre di uranio per aumentare il rendimento dell’impianto.

E poi c’era la questione del reattore, costruito dalla General Electric. I tecnici dell’azienda, davanti al Congresso americano nel 1975, dichiarano che quella macchina è pericolosa e offre scarse garanzie di sicurezza. Per questo ne era stata abbandonata la produzione, per i troppi rischi e di conseguenza i troppi incidenti. Ma in Italia nessuno tiene conto di queste informazioni e anzi fa ben di peggio. Dal momento che fino ad allora la resa in termini di energia prodotta era stata bassa, fanno di tutto per aumentarla. Dal 1976 al 1978 il reattore funziona a pieno regime che è come guidare un’auto con l’acceleratore sempre premuto al massimo. E, senza avvertire nessuno, si decide di aggiungere il plutonio come materiale di fissione.

Non servono incidenti per avere elementi radioattivi che possono provocare gravi danni alla salute degli abitanti della zona. Le sostanze che fuoriescono nell’aria sono trizio, carbonio 14, cesio 137, cesio 134, cobalto 60 e iodio 131. E sono sostanze che bene non fanno: il trizio si sostituisce all’idrogeno dell’acqua; il cesio si concentra nei muscoli; lo stronzio si sostituisce al calcio nelle ossa e nel midollo; il cobalto tende ad accumularsi nell’intestino e lo iodio nella tiroide. E la loro attività danneggia le cellule, modifica il DNA procurando danni irreversibili e portando alla morte.

Carte roventi - C’è un documento del Comitato nazionale per l'energia nucleare (prot. n. 24771-p. 5 del 4.11.77) in cui si parla delle barre di plutonio e si scopre così che il vizietto è vecchio perché tentativi erano stati fatti già nel ‘68, nel ‘70 e nel ‘75. E il numero di queste barre non era così piccolo: 72 su 208, ossia il 35 per cento.

In tutto 1164 parole ufficiali per un disastro annunciato 32 anni fa. «Nei giorni precedenti presso la centrale elettronucleare del Garigliano a seguito abbondanti piogge il livello di falda acquifera della zona si era notevolmente alzato. In conseguenza si erano avute infiltrazioni di acqua in un sotterraneo di un edificio di centrale contenente le vasche che ospitano i contenitori di stoccaggio delle resine provenienti dal sistema di purificazione delle acque del reattore della centrale. Tali infiltrazioni di acqua avevano riportato in soluzione la contaminazione radioattiva esistente sulla superficie interna delle vasche. Al cessare del maltempo e con il conseguente abbassamento della falda acqua infiltratasi nella vasca è defluita verso falda e probabilmente in parte verso il fiume trascinando con sé parte della contaminazione». Questo telegramma giunse al Comune di Castelforte il 19 novembre 1980 e per la prima volta rendeva noto un incidente avvenuto all’impianto. «Essenzialmente Cesio 137» afferma il telex del Cnen, ma nei giorni successivi si è riscontrata la presenza di almeno altre due sostanze: il Cesio 134 ed il Cobalto 60. Seguono le solite rassicurazioni per mantenere buona la popolazione, Ma qualche giorno dopo si registrano degli episodi significativi: la morte di 25 bufale che avevano pascolato in aree sommerse dal fiume e la moria di grossi pesci lungo il tratto di mare dove sfocia il Garigliano. Ma solo dopo l’intervento del pretore locale si viene a sapere di altri incidenti. Nel dicembre 1976 l’acqua del Garigliano, in fase di piena, è penetrata nel locale sotterraneo della centrale, ove sono stoccate le scorie radioattive e, ritirandosi, si è trascinata dietro nel fiume, nella campagna e nel mare più di un milione di litri d’acqua contaminata da radionuclidi presenti nel locale e provenienti dal sistema di purificazione delle acque del rattore. Nel novembre 1979 si verifica un incidente analogo a quello del 1976. Il Garigliano per effetto delle piogge abbondanti straripa, invadendo l’area della centrale che sommerge. Ma la serie di incidenti è una litania funebre. Nel rapporto del Cnen (Disp 80 (3) Bozza) “Centrale del Garigliano situazione 30 novembre 1980” è riportato l’elenco dei principali inconvenienti ed incidenti verificatesi durante la vita dell’impianto. In alcuni casi, come nel 1972 e nel 1976 ci furono alcune esplosioni e la popolazione locale fuggì terrorizzata e disordinatamente nelle campagne. Nel Rapporto Cnen del 1980 si fa menzione di una catastrofe sfiorata nel 1970: «In occasione di una mancanza totale di tensione … Per effetto di tale sequenza di eventi si verificava sull’impianto transitorio con diminuzione di livello dell’acqua del circuito primario … Durante il transitorio di perdita di livello non risultavano, comunque, mai scoperti gli elementi di combustibile». Se ciò fosse accaduto si sarebbe verificato il più grave degli incidenti: la fusione del nocciolo.

Plutonio bellico - Nel 1963 Giuseppe Saragat, poco prima di divenire presidente della Repubblica, pubblica un libro intitolato Mettere ordine nella politica nucleare.Il leader socialdemocratico definisce il nucleare «dal punto di vista economico un disastro»Saragat scrive: «Le centrali nucleari italiane sono utili solo per produrre plutonio come prodotto principale ed energia elettrica come sottoprodotto, per cui costruire tali centrali per produrre solo energia elettrica, come si è fatto in Italia, significa credo, comportarsi come chi costruisse una segheria per produrre soltanto segatura».

Nonostante le discussioni dell’epoca tendessero a negare che il plutonio prodotto dalle centrali nucleari potesse essere riutilizzato per fini bellici, ormai la pratica anche a livelli industriali del ritrattamento del combustibile esaurito delle centrali nucleari ci ha dimostrato il contrario. Fondati erano i timori di Saragat che il plutonio da noi prodotto «acquistato - secondo lo stesso Saragat - dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna a prezzi vili, irrisori» sarebbe stato utilizzato per costruire ordigni nucleari. Già nel 1968 sotto la direzione di tecnici americani venivano effettuati esperimenti con elementi transuranici, fra cui il plutonio. Tra gli scopi vi sarebbe stato quello di misurare i livelli di radioattività nei pesci, nelle alghe, nelle acque marine. L’effetto è stato l’inquinamento permanente ed irreversibile di centinaia di chilometri dello splendido golfo di Gaeta e del Circeo, e la sua gravità è tale da essere paragonata a quella dell’incidente avvenuto nel 1966 a Palomares, a sud est della Spagna, dove la caduta di un aereo provocò il rilascio di materiale altamente radioattivo.

Inquinamento irreversibile - In due relazioni ufficiali dell’Enea (“Influenza dei fattori geomorfologici sulla distribuzione dei radionuclidi. Un esempio: dal M. Circeo al Volturno” nonché in “Studio preliminare dei sedimenti sulla piattaforma costiera della zona della foce del Garigliano”) risulta che: «le attività del Cesio 137, nei primi due centimetri dei fondali antistanti il golfo di Gaeta, nelle aree di maggiore concentrazione, corrispondono a 7 millicurie/kmq (259 Mbq/kmq)». In particolare nella relazione di Brondi, Ferretti e Papucci rileviamo che «complessivamente la zona interessata dalla contaminazione da Cobalto 60 nei supera i 1700 kmq». Come se non bastasse, qualche anno dopo ecco apparire fra gli addetti ai lavori i dati sulla contaminazione da plutonio. In una ricerca effettuata per la Cee di Delfanti e Papucci (Il comportamento dei transuranici nell’ambiente marino costiero) viene tracciata una mappa della contaminazione da plutonio nel golfo di Gaeta da 2 a 4 volte la deposizione da fall-out. Il plutonio non esiste in natura: è una sostanza altamente tossica dal punto di vista chimico, è pericolosamente radiotossica e di elevata rilevanza strategico-militare. La radioattività del plutonio si dimezza dopo 24 mila anni ed esso rimane pericoloso per oltre 400 mila anni. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità. “0,25 milionesimi di grammo sono il massimo carico ammissibile di plutonio in tutta la vita per un lavoratore professionalmente esposto”. Bastano infatti pochi microgrammi di plutonio immersi nel condizionamento di un grattacielo per condannare alla morte rapida tutti coloro che si trovano al suo interno».

Sull’aumento della radioattività nei sedimenti marini del golfo di Gaeta ha scritto il 4 agosto 1984 anche l’Istituto Superiore di Sanità: «Per una serie di ragioni descritte in notevole dettaglio nella letteratura tecnica, si sono prodotti fenomeni di accumulo del Cobalto e del cesio, scaricati nel fiume Garigliano, all’interno del golfo di Gaeta. Ciò è indubbiamente legato all’insediamento della centrale».

La grande biologa marina Rachel Carson nel saggio IL MARE INTORNO A NOI ha così argomentato: «La concentrazione e la distribuzione di radioisotopi ad opera degli organismi marini può forse avere un’importanza ancora maggiore dal punto di vista del rischio umano (…) gli elementi radioattivi depositati nel mare non sono più recuperabili. Gli errori che vengono compiuti ora sono compiuti per sempre».

Quale limite? - Attenzione, non è un limite biologico, bensì economico: 20 millisievert all’anno per i lavoratori ed 1 millisievert per la popolazione. Gianni Mattioli, docente di Fisica alla Sapienza non ha dubbi: «Il danno sanitario da radiazioni è un danno senza soglia. Dosi anche infinitesimali di radioattività innescano processi di mutagenesi e patologie tumorali tant’è che la definizione di dose massima ammissibile fornita dalla Commissione internazionale per la radioprotezione, invece di essere “quella particolare dose al di sotto della quale non esiste rischio”, è invece quella dose cui sono associati effetti somatici, tumori e leucemie, che si considerano accettabili a fronte dei benefici economici associati a tali attività o radiazioni». Dopo l’euforia del secondo referendum che ha sancito un rifiuto popolare, nel Belpaese in declino i cimiteri atomici - civili e militari - sono già stati sepolti, ma soltanto nell’immaginario collettivo. Eppure l’inquinamento radioattivo - mai preso in considerazione dallo Stato italiano - rappresenta un’emergenza da non sottovalutare, anzi prioritaria. La letteratura scientifica attesta che le centrali nucleari, in condizione di normale funzionamento rilasciano radioattività, la quale entra nella catena alimentare, quindi nell’organismo umano provocando cancro e leucemia. E ciò a prescindere dalla quantità di radionuclidi e dai limiti di soglia, che sono nient’altro che simboli dell’equazione costi-benefici. Insomma, poca elettricità ma a caro prezzo, in cambio di morti. 

Garigliano.

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