martedì 4 dicembre 2012

L’attacco strutturale alla sanità: da diritto a mercato


395006_545674228793715_1434884185_nA volte le uscite del signor Monti possono parere casuali o pretestuose oltre che quasi sempre inopportune. Ma così non è: salvo qualche svarione sono sempre attentamente calcolate. Così anche le allarmanti dichiarazioni sulla fine della sanità pubblica – rimaste senza alcuna risposta da parte della politica, impegnata nel faticoso compito di non dir nulla – sono state una sorta di assaggio del terreno per qualcosa che verrà fatto, per ovvi motivi di consenso, dopo le elezioni, al momento del bis. Naturalmente sono state molte le proteste partite dalla  cosiddetta società civile, ma ho l’impressione che tali proteste non abbiano colto il senso strutturale di questo aspetto all’interno dell’agenda Monti.
Strutturale per molti motivi: intanto quello routinier dell’economista ubbidiente e ortodosso che prega in direzione di Chicago e per prima cosa taglia quelle spese che non soltanto sono onerose, ma sono riferibili a un diritto. E’ un modo per limare le unghie allo stato e all’idea di cittadinanza tanto che esso è stato perseguito in egual modo in Grecia e in Spagna. Sappiamo che per la Grecia c’è oggi una denuncia davanti alla Corte dell’Aia per crimini contro l’umanità, sappiamo che nella regione di Madrid medici e infermieri presidiano da un mese le cortes contro i progetti di privatizzazione, ma proprio questo aizza l’uomo a rotolarsi sulla medesima strada non volendo essere da meno nei suoi “compiti a casa”. Poi – in mancanza di altre idee – c’è l’ovvio aspetto ideologico che prescrive la sanità privata, la quale ha costi molto più alti, ma è portatrice di profitto dunque va santificata nonostante le sue inefficienze e iniquità. E infine c’è l’aspetto tecnico che si ricollega ai due precedenti e che tante ambasce crea anche nel fondo monetario internazionale e nei circoli finanziari: con l’aumento dell’età media la sanità basata sul sistema assicurativo privato non è più sostenibile come sistema di tutela generalizzato, mentre quella basata sul sistema assicurativo pubblico (le quote che ognuno versa su voci specifiche o sulla fiscalità generale a seconda del suo reddito) richiede sforzi sempre più grandi che configurano in ogni caso una società con forti legami solidali: per un devoto allievo di von Hayek, come il signor Monti è la stessa cosa che mettere aglio nel castello del vampiro.
La via di uscita prospettata, che a dirla così parrebbe pure inoffensiva, è un sistema misto. Solo che in questo orizzonte chi ha poco riceverà cure sempre più scarse e chi invece può permetterselo sarà curato decentemente, anche se sarà sempre il pubblico a sostenere un sistema che di per sé  stenterebbe ad autoalimentarsi. La privatizzazione di molte strutture farebbe crescere i costi generali rendendo sempre più ristretto il novero di chi può permettersi cure appropriate, soprattutto dopo una certa età. Naturalmente decenni di bombardamenti ideologici e di frasi fatte da bar rendono abbastanza facile vendere  la favola che la sanità privata sia più efficiente e costi meno. Nulla di più falso come dimostrano le statistiche dell’Oms:   negli Usa per la sanità privata si spende il 17% del Pil , contro il 7, 5dell’Italia (dato 2011), il 9,7 della Germania, il 10 del Canada, l’ 8,6 di Gran Bretagna e Francia nei quali vi sono sistemi di sanità pubblica  E inoltre 43 milioni di cittadini americani non sono in grado di pagarsi l’assicurazione, mentre altri 87 milioni devono ricorre a polizze con coperture limitatissime e spesso incerte. Per di più vi sono ogni anno 600 mila cause per malasanità.
Tutto questo non stupisce, anzi è assolutamente normale quando il profitto  diventa l’asset principale di un’attività e quindi il suo “spirito guida”. Ma i dati sono lì a dimostrare che la privatizzazione  non è affatto una via di uscita e lo è sempre di meno man mano che si vive di più e che lo stesso concetto di sanità comprende molti più interventi di prima. Proprio per questo sta diventando un problema del neoliberismo che teme di dover  riconoscere un limite strutturale del mercato: nessuna sistema di tipo assicurativo può funzionare quando c’è la sostanziale certezza di interventi a costi altissimi. Non comunque come sistema di tutela universale, ma solo per i più abbienti e possibilmente per  i più sani, secondo una serie di vagli già in essere o allo studio. Non c’è dunque da meravigliarsi che con la crisi sia partito il grande attacco alla sanità su tutto il continente. E di certo l’Italia del montismo non sarà risparmiata nella riformulazione della sanità da diritto a prodotto di mercato.
Non potendo invocare una dichiarazione di disuguaglianza dell’uomo, anche se la tentazione è forte, i circoli del capitalismo finanziario cercano dunque le strade per realizzarla compiutamente nei fatti, in modo da salvaguardare l’onnipotenza teorica del mercato. Uno dei sistemi – del resto in vigore da molti anni e sperimentato a fondo con le privatizzazioni in molti settori, dai trasporti alla distribuzione idrica – è quello di ingaggiare i soldi pubblici per sostentare i profitti privati che entrano con capitali nulli o assai scarsi rispetto al valore reale, riportando l’orologio della storia all’epoca dell’accumulazione primitiva del capitale, come la chiamava Marx.
Uno pubblico socio pagatore che nella sua funzione legislativa si incarica di sfoltire le prestazioni e nello stesso tempo nega a se stesso il significato simbolico e politico di tutela universale. E che alla fine chiederà contributi ai poveri per permettere cure eccellenti ai ricchi o ai privilegiati. Il sistema misto pubblico-privato che in qualche misura già sperimentiamo, sia pure nella sua versione nostrana e corruttiva, in realtà è un modo per introdurre in modo morbido l’idea di un diritto alla salute che diventa via via un mercato della salute. Morbido perché pochi si rendono conto che evitare i disservizi o le attese rivolgendosi al laboratorio di analisi privato o alla clinica è possibile solo perché è il pubblico che paga enormi somme attraverso le convenzioni. Altrimenti i costi sarebbero assai più alti assieme ai premi delle assicurazioni supplettive.  E ancora pochi hanno consapevolezza che il sistema pubblico è spesso artatamente inefficiente proprio per permettere queste profittevoli attività. Un modo vero per risparmiare sarebbe quello di separare completamente pubblico e privato.
Ma questo sarà accuratamente evitato, anche perché sarebbe l’ideale per mettere in luce i limiti delle mani invisibili e ricreare il concetto di intervento pubblico, di società solidale  anche nelle generazioni che lo hanno dimenticato. Saranno dunque solo tagli, naturalmente definiti “dolorosi”. Ma che in realtà sono dolosi.

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