Qui di seguito, la lettera dei sindacati iracheni del settore petrolifero e di Iraqi Civil Society Solidarity Initiative che, attraverso un’azione diretta di protesta presso la sede Eni di Roma, venerdì mattina un gruppo di cittadini e organizzazioni ha tentato di consegnare. Il gruppo è stato fermato all’ingresso della sede dell’Eni (impresa per un terzo pubblica), i dirigenti si sono rifiutatidi farli entrare. L’Eni, al centro di infiniti scandali, non vuole parlare di Iraq e non vuole parlare con i lavoratori iracheni. Le persone che hanno tentato di consegnare la lettera sono accusate di violazione del territorio dell’impresa, le forze dell’ordine hanno provveduto a identificarle, per loro è probabile la denuncia per violazione di proprietà privata. La lettera è stata lasciata sulla scalinata all’esterno della sede.
Venerdì 15 febbraio 2003 milioni di persone manifestavano a Roma e in molte altre città del mondo (anche a Baghdad, seconda foto qui di seguito) contro la guerra: dieci anni dopo le ragioni di quella guerra saranno raccontate in un incontro promosso da Un ponte per… e altri (alle 17, presso il Dipartimento Istituto italiano di studi orientali della Sapienza, vedi in coda). All’incontro è anche dedicata una breve nota di Fabio Alberti pubblicata su il manifesto che alleghiamo in fondo.
LETTERA ALL’ENI
Oggi 15 febbraio 2013, alle ore 10,50, ungruppo di attivisti iracheni, italiani, inglesi e francesi tenteranno di consegnare all’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni una lettera arrivata dall’Iraq e firmata dai rappresentanti dei sindacati del petrolio e dell’Iraqi Civil Society Solidarity Initiative.
Per ricordare alla compagnia a maggioranza pubblica le sue responsabilità verso il paese e il ruolo giocato dagli interessi petroliferi nell’entrata in guerra dell’Italia. Ad oggi in Iraq non sono garantiti i minimi diritti sindacali, la corruzione ha raggiunto livelli insostenibili e le compagnie private si avvalgono di mercenari per proteggersi. Gli attivisti chiedono all’Eni conto dell’indagine della Procura di Milano che ha incriminato alcuni suoi dirigenti in Iraq per corruzione e quali siano le intenzioni della compagnia per favorire i diritti umani nel paese.
Di seguito il contenuto della lettera:
Gentile dott. Scaroni
le scriviamo a nome dei lavoratori iracheni del settore petrolifero, a dieci anni dalla guerra che la comunità internazionale ha mosso contro il nostro paese per appropriarsi delle nostre risorse energetiche e avviare il progetto di un Nuovo Medioriente: dall’Iraq “liberato” il modello economico neoliberista doveva diffondersi in tutta la regione, portando con sé democrazia e benessere.
Il progetto è fallito da tutti i punti di vista, e coloro che ne pagano le conseguenze oggi sono gli Iracheni, con un paese devastato dalla violenza, dalla mancanza di diritti e di servizi. Certo non hanno perso imprese come ENI, che sono riuscite a metter mano, con contratti di servizio ventennali, ai giacimenti di petrolio più grandi al mondo.
Non possiamo dimenticare che:
l’Italia è scesa in guerra nel 2003 anche per tentare di garantire il pre-contratto di ENI a Nassiriya; difatti una delegazione della compagnia italiana si è recata a Nassiriya nel giugno 2003, a bordo di un aereo militare italiano, prima dell’arrivo delle truppe; difatti lei ha ribadito più volte pubblicamente al Primo Ministro iracheno negli ultimi anni l’interesse di ENI rispetto ad eventuali gare sul giacimento di Nassiriya.
ENI vanta pessima fama nel mondo in tema di corruzione, quindi temiamo che abbia oliato i meccanismi della corruzione tra i politici iracheni, come hanno fatto moltissime compagnie straniere; lo scandalo emerso nel 2011 delle tangenti pagate ai manager dell’Eni da alcune grosse aziende italiane per potersi garantire una serie di appalti a Zubair è probabilmente solo la punta dell’iceberg.
ENI lavora in Iraq in assenza di una legge nazionale che garantisca libertà sindacale e diritto di sciopero, e non ha mai sollevato la questione nei colloqui commerciali con il governo iracheno, traendo quindi profitto dalla mancanza di tutele sindacali
Chiediamo quindi con forza che:
ENI rispetti la sovranità del popolo iracheno sulle sue risorse naturali, e non eserciti pressioni indebite sui politici iracheni per esplorare nuovi giacimenti o sfruttare quello di Nassiriya, che per ora è rimasto in mano all’azienda petrolifera di Stato;
ENI prenda accordi con il governo iracheno per favorire la trasparenza nel business del petrolio iracheno, attualmente bassissima; sappiamo infatti che più è alta la corruzione meno vengono resi noti i termini degli accordi e le procedure di applicazione nelle operazioni petrolifere;
ENI chieda alle istituzioni irachene la protezione della libertà sindacale e del diritto di sciopero, per tutti i lavoratori iracheni;
ENI si impegni a non inquinare suolo, aria e acqua del nostro paese, e a non utilizzare per la sicurezza compagnie militari private, che sono oggi la nuova faccia dell’occupazione militare occidentale in Iraq
Bassora, Iraq, 15 febbraio 2013
In fede,
Iraqi Civil Society Solidarity Initiative
Adnan Al-Saffar, per la General Federation of Iraqi Workers (GFIW) il suo sindacato del petrolio e gas
Abdulla Malik per la Iraqi Federation of Oil Unions (IFOU)
Abbas Kadhim per la Engineering Professions Union (Electricity Section-Baghdad)
Abdullatif Abdul Rahman per la Federation of Salahaddin unions
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INCONTRO A ROMA: LA GUERRA DEL PETROLIO
Il 15 febbraio 2003 milioni di persone manifestavano a Roma ed in molte altre città del mondo contro la guerra. Dieci anni dopo raccontiamo le ragioni di una guerra e l’Iraq di oggi.
Un ponte per…, Il Dipartimento Istituto italiano di studi orientali de La Sapienza, Re:Common, Osservatorioiraq.it, Comune-info, Laboratorio-Urbano Reset e Apollo Undici, Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico organizzano una giornata di incontri e proiezioni. Partcipa@!
Venerdì 15 febbraio 2013
La guerra del petrolio
Ore 17,00 – Incontro pubblico
Dipartimento Istituto italiano di studi orientali
Sapienza Università di Roma
Aula 1 I° piano
Via Principe Amedeo 182 b
Sapienza Università di Roma
Aula 1 I° piano
Via Principe Amedeo 182 b
Introduce
Prof. Laura Guazzone, Docente di Storia contemporanea dei paesi arabi, Sapienza Università di Roma
Intervengono
Gregg Muttit, Giornalista investigativo e autore del saggio “Fuel on the fire”
Alberto Negri, Il Sole24Ore
Fabio Alberti, Fondatore di Un ponte per…
Gregg Muttit, Giornalista investigativo e autore del saggio “Fuel on the fire”
Alberto Negri, Il Sole24Ore
Fabio Alberti, Fondatore di Un ponte per…
Ore 21,00 – Proiezione
Oil for nothing di Luca Tommasini
In nome del petrolio di Sigfrido Ranucci
In nome del petrolio di Sigfrido Ranucci
Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico
Via Ostiense, 106
Via Ostiense, 106
Introducono
Agostino Ferrente, Apollo 11
Martina Pignatti Morano, Un ponte per…
Agostino Ferrente, Apollo 11
Martina Pignatti Morano, Un ponte per…
Intervengono
Gregg Muttit, Giornalista
Elena Gerebizza, Re:Common
Elena Gerebizza, Re:Common
15 FEBBRAIO 2003, 110 MILIONI DI PERSONE CONTRO LA GUERRA
«No blood for oil». Declinato in decine di lingue diverse, questo slogan è risuonato dieci anni fa, il 15 febbraio 2003, nelle piazze di tutto il mondo nella più grande manifestazione globale della storia. 110 milioni di persone, tre milioni solo in Italia, manifestavano contro la guerra all’Iraq evidenziando l’esistenza di un’altra visione del mondo, pacifista ed antiliberista, che sfidava l’ordine di cose esistenti. L’opposizione alla guerra era infatti solo una delle componenti della protesta globale nella quale erano confluiti migliaia di movimenti sociali, sindacali, politici che negli anni precedenti avevano cominciato a costruire un altro punto di vista di fronte alla narrativa della “fine della storia”.
Come sono andate le cose è davanti a noi: la guerra in Iraq c’è stata, e per gli iracheni e le irachene non è ancora finita. Ciò, nonostante che l’ultimo Hammer statunitense abbia attraversato la frontiera il 31 dicembre 2011, lasciando un paese in macerie, sociali, politiche e culturali, prima ancora che fisiche. Non è di molta consolazione ricordare che lo avevamo previsto. La contesa per il petrolio è ancora in corso ed è, ancora oggi, elemento centrale della instabilità del paese e pesa come un macigno sulla possibilità di ritorno alla normalità che è ancora lontana.
Bene fa quindi «Un ponte per…», che dedicherà il 2013 ad una riflessione sul decennale della guerra, a cominciare proprio dalla vicenda del petrolio, con un incontro il 15 febbraio alla Facoltà di Studi Orientali di Roma (vedi su unponteper.it).
Non solo la guerra in Iraq c’è stata, ma le successive avventure militari, in Libia prima e in Mali poi, sempre più chiaramente parte di un confronto globale tra, e dentro, un occidente in declino e un oriente in crescita tumultuosa, hanno trovato una sempre più esile opposizione. Anche qui in Italia. Quasi che l’opposizione alla guerra e la difesa del’articolo 11 della Costituzione fosse stata estromessa dalla crisi economica dall’agenda politica della sinistra.
Ma in questo decennio di transizione è successo anche altro: il risveglio sudamericano, troppo sottaciuto perché troppo scomodo, nella provincia europea; la primavera araba, frettolosamente archiviata come conclusa perché sostanzialmente sconosciuta; il movimento #OccupyWallStreet e l’affacciarsi in molti paesi europei di una nuova sinistra antiliberista. Processi – tutti -nei quali si ritrova parte sia della costituency materiale, che dei paradigmi politici, che dieci anni fa avevano animato la protesta mondiale contro la guerra. Dieci anni sono un tempo strano: buono per un compleanno, ma troppo breve per una valutazione storica. La storia ha i tempi lunghi e, forse, quella che il New York Times aveva definito «la seconda potenza globale» non ha ancora perso la partita.
Fabio Alberti, dal manifesto del 14 febbraio 2013
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