martedì 19 marzo 2013

Censis, nel sud i redditi sono più bassi della grecia

Non è una novità che la crisi in questi anni ha causato un vero divario Nord-Sud. Il Mezzogiorno difatti resta abbandonato a se stesso. 
Il sud, secondo quanto rivela il Censis, rispetto al Centro-Nord, registra il crollo del Pil, un vero impoverimento del mercato del lavoro, ma anche il progressivo smantellamento delle imprese e così anche l'aggravarsi delle distanze sociali. Gli itlaiani del sud hanno redditi più bassi dei Greci. 
Al Sud inoltre non è possibile mettere a frutto i fondi europei: per la scuola si spende di più, ma con risultati peggiori e a fronte di bisogni assistenziali crescenti corrisponde l'abbandono della sanità pubblica.
Negli anni che vanno dal 2007 al 2012 nel Mezzogiorno il Pil è calato del 10% in termini reali a fronte di una flessione del 5,7% registrata nel Centro-Nord.
Ma, a cosa è dovuta questa recessione? Quali aspetti critica il Censis? Il Censis è chiaro: "Piani di governo poco chiari, una burocrazia lenta nella gestione delle risorse pubbliche, infrastrutture scarsamente competitive, una limitata apertura ai mercati esteri e un forte razionamento del credito hanno indebolito il sistema-Mezzogiorno fino quasi a spezzarlo".

Le disugualianze dell'Italia nei paesi dell'eurozona sono le più significative.
A confrontare il reddito pro-capite delle tre regioni più ricche e più povere dei grandi Paesi dell'area dell'euro viene fuori che l'Italia ha il numero maggiore di regioni con meno di 20.000 euro pro-capite: sono 7 rispetto alle 6 della Spagna, le 4 della Francia e una sola della Germania.
All'opposto estremo la Germania presenta 10 regioni con oltre 30.000 euro pro-capite, la Francia la sola Ile-de-France, mentre l'Italia ne ha 5 e la Spagna nessuna. Il Centro-Nord (31.124 euro di Pil per abitante) è vicino ai valori dei Paesi più ricchi come la Germania, dove il Pil pro-capite è di 31.703 euro. I livelli di reddito del Mezzogiorno invece sono inferiori a quelli della Grecia (17.957 euro il Sud, 18.454 euro la Grecia).
Dei 505.000 posti di lavoro persi in Italia da quando è iniziata la crisi, tra il 2008 e il 2012, il 60% ha riguardato il Mezzogiorno, con più di 300.000 posti di lavoro persi.
Il Sud paga la parte più cospicua di un costo già insopportabile per il Paese e si conferma come una parte del paese in via di emarginazione soprattutto per i giovani e le donne. Un terzo di questi tra i 15 e i 29 anni non trova un lavoro (in Italia il tasso di disoccupazione giovanile è al 25%).
Se poi oltre a essere giovani si è donne, la disoccupazione sale al 40%. Il tasso di disoccupazione femminile totale è del 19% al Sud a fronte di un valore medio nazionale dell'11%. I disoccupati con laurea sono in Italia il 6,7% a fronte del 10% nel Mezzogiorno.

Un tessuto d'impresa a rischio di deindustrializzazione. Infatti tra il 2007 e il 2011 gli occupati nell'industria meridionale sono calati del 15,5%, si tratta di una perdita di più di147.000 unità, a fronte di una flessione del 5,5% nel Centro-Nord. Più di 7.600 imprese manifatturiere del Mezzogiorno, su un totale di 137.000 aziende, sono uscite dal mercato tra il 2009 e il 2012, con una flessione del 5,1% e punte superiori al 6% in Puglia e Campania.

Il 26% delle famiglie che risiedono nel Mezzogiorno e' povero materialmente, a fronte di una media nazionale del 15,7%. E nel Sud sono a rischio di povertà 39 famiglie su 100 a fronte di una media nazionale del 24,6%.

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