mercoledì 20 marzo 2013

Muos, parla la mamma aggredita dalla polizia «Sembrava che mi volesse strozzare»


Desirée Ristagno partecipa alle lotte a Niscemi contro l’installazione delle nuove antenne militari Usa fin dal principio. La vita al presidio per lei scorre serena. Spesso porta lì anche suo figlio, Ciro, 10 anni. Ma, il 15 marzo scorso, durante un blocco per evitare il passaggio di alcuni mezzi diretti alla base, la giovane mamma viene trascinata a forza e gettata a terra da un agente in borghese. «Ricordo poco, ho rimosso, ma io mi ero opposta solo con il mio corpo, senza violenza», racconta

Desirée Ristagno è una mamma. Giovane, di Niscemi, cresce da sola suo figlio, senza compagno. Ma con l’aiuto di sua madre, che a volte tiene Ciro, 10 anni, con sé la notte. Perché Desirée è anche una militante No Muos, fin dal principio attiva al presidio accanto alla base militare Usa in territorio nisseno dove, dopo le decine di antenne già presenti, gli Stati Uniti vogliono costruire un nuovo sistema satellitare. E lei, come molti suoi concittadini e siciliani, non ci sta. La vita al presidio per Desirée è «condivisione di tempi e di spazi, che fanno bene anche a mio figlio». I turni, la cucina, le notti. Ma ultimamente non sono mancati i momenti di tensione, che l’hanno vista inconsapevole protagonista. Come il 15 marzo quando, durante un blocco per impedire l’accesso di alcuni mezzi alla base militare, Desirée è stata aggredita da un poliziotto in borghese. Trascinata via a forza dal gruppo e gettata a terra, il corpo dell’uomo sul suo. Non ricorda quasi nulla di quei momenti: «Ho rimosso», dice. Ma, quando racconta, sembra ancora un po’ scossa.

«Mi è stato raccontato che, quando mi ha buttato a terra, sembrava mi volesse strozzare». «Il fatto che gli si sia buttato addosso è stato interpretato anche in un altro modo», aggiunge una donna niscemese del comitato Mamme No Muos. In ogni caso, una violenza. Che, dalle immagini video e dalle foto di quei momenti, appare ingiustificata. «Io mi sono opposta al passaggio dei mezzi senza violenza, solo con il mio corpo – racconta Desirée, che mima il momento tenendo le mani alzate – C’è chi voleva dialogare, cercando di tranquillizzarmi, e chi mi ha preso di forza e allontanato». Sembrava finita lì ma, a un tratto, il poliziotto torna indietro, scaraventa Desirée a terra e le sale addosso. Quasi come fosse un fatto personale. «Ma io non lo conosco, non l’ho mai visto prima», spiega la ragazza. «Fortunatamente c’erano anche altre persone lì intorno che mi hanno salvato dall’uomo nero – sdrammatizza – e varie foto e videocamere a documentare tutto».

La disavventura però non le ha fatto cambiare idea. La incontriamo al presidio, dove passa gran parte della sua giornata ed è tra i membri più attivi. «E’ bello vivere in comunità, condividere lo spazio e il tempo», racconta. E lo fa anche per Ciro, suo figlio. «Qui impara a vivere con altre persone, spesso sconosciute, e non per forza protetto dalle quattro mura di casa – spiega Desirée – I bambini saranno gli uomini futuri, è importante creare in loro la disponibilità all’altro, al diverso». Così Ciro partecipa alla vita del presidio. Gioca, per lo più, nel grande terreno che i No Muos stanno comprando e che sta diventando una piccola città di spazi comuni costruiti con materiali di fortuna. «Qui abbiamo provato anche a fare i compiti e ha funzionato abbastanza bene», racconta la madre. Ma Ciro, durante le manifestazioni, è anche capace di arringare la folla, con discorsi che farebbero impallidire il più consumato dei militanti. Sempre, tiene d’occhio la madre. Come quando fa capolino nella tenda in cui chiacchieriamo con Desirée, che non ama le telecamere, per vedere se va tutto bene.

Di Claudia Campese, Salvo Catalano | 20 marzo 2013

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