lunedì 22 aprile 2013

Un incubo a Boston















Marco Cedolin

Probabilmente la colpa di quanto é accaduto va equamente ripartita fra la peperonata imprudentemente consumata a tarda notte e lo shock patito poche ore prima nell’immaginare altri sette anni incompagnia di Napolitano. Sorvolando sulle cause scatenanti, l’incubo é stato comunque di quelli dai quali non riesci a svegliarti e continui a sudare quasi ti trovassi dentro ad una sauna.

Come nella miglior tradizione onirica, levitavo ad un paio di metri da terra nei pressi del traguardo della maratona di Boston, proprio mentre due esplosioni squarciavano la calma e tutto intorno a me dirompeva un caos composto di urla, ambulanze e soccorritori. Istintivamente facevo per allontanarmi, ma senza successo, dal momento che era come fossi inchiodato sul posto. Nel volgere di pochi minuti, o forse ore, tutto intorno a me era diventato un’immensa TV, dove in una cacofonia priva di senso, annunciatori di ogni razza e colore parlavano di un’America sotto attacco, di un nuovo 11 settembre, dell’interdizione al volo dello spazio aereo di Boston e di tutte le maggiori città americane, di altre esplosioni e bombe recuperate un po’ dappertutto prima che esplodessero.
Urlavo con quanto fiato avevo in gola che le esplosioni erano state solamente due, si trattava di ordigni artigianali composti da una pentola a pressione imbottita di esplosivo, un attentato sicuramente grave ma di piccolo cabotaggio. Che senso aveva evocare l’11 settembre, parlare di America sotto attacco ed interdire gli spazi aerei? Sarebbe stato come se dopo l’attentato alla scuola Morvillo di Brindisi si fossero alzati in volo i caccia in tutta Italia. Ma più urlavo, più mi rendevo conto che nessuno poteva ascoltarmi.
Nel frattempo l’intero cielo veniva occupato dal faccione di Obama che ribadendo come l’America intera si trovasse sotto attacco, assicurava alla popolazione che i colpevoli di quanto accaduto sarebbero stati al più presto individuati e catturati, dovunque fossero e dovunque avessero intenzione di andare.
Adesso gli schermi erano migliaia e su ciascuno di essi scorrevano fotogrammi indistinguibili uno dall’altro nella loro uniformità. Una miriade di persone con uno zaino ed un cappellino, tutti potenziali attentatori, ma anche no, tutti colpevoli e tutti innocenti, visi che si sovrapponevano a visi e poi ancora ad altri visi.
Finalmente ero riuscito a muovermi, levitavo sempre alla stessa altezza ma andavo in giro per la città. Dagli schermi che costituivano il mio cielo le annunciatrici davano notizia del fatto che gli attentatori erano stati individuati. Si trattava di due ragazzi ceceni, il più grande di 26 anni era stato ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia, suo fratello minore di 19 anni, pur ferito era riuscito a fuggire.
Non riuscivo ad evitare di domandarmi per quale ragione due ragazzini “modello”, residenti negli USA fin dalla tenera età, ben integrati e con buoni percorsi scolastici, avrebbero dovuto trasformarsi in attentatori stragisti. Possibile che fossero davvero loro? Possibile che dietro all’attentato non ci fosse qualcosa di più complesso ed articolato?
Adesso la città aveva completamente cambiato aspetto, c’era il coprifuoco, tutti i negozi erano chiusi, la metro era bloccata, i trasporti pubblici fermi, i cittadini asserragliati in casa come dopo un bombardamento nucleare. Le strade erano invase da migliaia di militari e poliziotti, mezzi pesanti dell’esercito setacciavano la città, ovunque si potevano scorgere blindati, torrette equipaggiate con mitragliatrici pesanti, uomini in armi in assetto da guerra.

Ma non stanno cercando un ragazzino di 19 anni ferito? Che senso potrà mai avere lo schiermanto di un esercito sufficiente ad invadere un piccolo stato africano, se l’intento é quello di arrestare un ragazzino? Ed i blindati, i mezzi da guerra, le mitragliatrici, il coprifuoco? Continuavo a domandarmelo ed a sudare, ma i cittadini non dicono nulla? Nessuno si pone queste domande? A nessuno pare strano?
Adesso lo hanno trovato, nascosto dentro ad un giardino, la TV chiama a raccolta il popolo in un canto liberatorio. Ed il popolo risponde, esce dalle case ed invade gioioso le strade, sventolando le bandiere a stelle e strisce ed inneggiando ai militari ed alla polizia che hanno catturato il ragazzino. Ritorna anche il faccione di Obama, l’America ha saputo superare la dura prova alla quale é stata chiamata ed ha vinto, dimostrando che non cederà mai al terrore!
Ma si trattava di due pentole esplosive e di due ragazzini, non di un attacco nucleare russo o cinese, continuo a ripetere al cuscino stropicciato che ha sostituito il faccione di Obama, e probabilmente i colpevoli non erano neppure loro, ma fortunatamente anche Boston sta ormai svanendo in una dissolvenza e finalmente sono sveglio.


Marco Cedolin

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