giovedì 13 giugno 2013

La tv greca, i media turchi

- PIERLUIGI SULLO -
Una volta, chi voleva fare un colpo di stato occupava la televisione e impediva la distribuzione dei giornali. Nel 1970, in Italia, un tentativo di golpe tanto maldestro quanto preoccupante – in un paese che aveva cominciato ad assaggiare le bombe nelle banche, nelle piazze e sui treni – aveva per obiettivo la Rai di via Asiago, a Roma. Quel tempo è lontano. Adesso i colpi di stato avvengono senza che ci sia bisogno di schierare carri armati per le strade. Sono sufficienti una legalità addomesticata e un diktat finanziario.
E se in Turchia l’organismo che vigila sui media ha deciso di multare le televisioni che avevano aperto qualche finestra su quel che accade in Piazza Taksim e a Gezi Park, a Istanbul, e in molte altre città del paese, in Grecia il governo destra-sinistra di Samaras ha pensato bene di prendere due piccioni con una fava, come si dice, spegnendo da un momento all’altro, intorno alle 23 di martedì, i tre canali della televisione pubblica, la Ellinikí Radiofonía Tileórasi (Ert). In questo modo, il governo toglie di mezzo una tv che, nonostante la crisi, ha continuato a dire almeno qualcosa di quel che accade in Grecia, e ha soddisfatto l’ultima richiesta – ossia ordine – della “troika”, ovvero la Commissione europea, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale: licenziare subito 2 mila dipendenti pubblici. I dipendenti di Ert sono, anzi erano, 2.656, quindi c’è un saldo positivo, dal punto di vista della troika – che in questo momento ha una sua delegazione che ad Atene spulcia i bilanci dello Stato – di qualche centinaio.
Quel che è avvenuto a Ert, hanno detto in diversi al quotidiano francese Le Monde, che non si era mai visto, nemmeno sotto la dittatura dei colonnelli, negli anni sessanta, quelli dei carri armati per le strade. Né d’altra parte si era mai visto che i media turchi fossero intimiditi perché riprendevano le scene di violenza di cui la polizia si è resa colpevole in Piazza Taksim. Nella notte tra martedì e mercoledì ci sono stati centinaia di feriti, alcuni dei quali molto gravi, grazie all’abitudine dei poliziotti di sparare lacrimogeni mirando alla testa (e una ragazza è in coma da una decina di giorni). Quelli di Occupy Gezi compilano liste da cui cancellano le televisioni e i giornali che progressivamente spariscono dai dintorni. E il governo ha più volte fatto arrestare persone colpevoli di aver scritto dei “tweet” che raccontavano gli eventi: istigazione a delinquere, si direbbe in gergo giuridico italiano (e mercoledì migliaia di avvocati hanno fatto un corteo, a Istanbul, per protestare contro l’arbitrario arresto di quaranta di loro, tra cui uno dei responsabili di Amnesty Turchia, per aver protestato contro le violenze della polizia).
Che nesso c’è, tra la vicenda greca e quella turca? Molti, in effetti. Ma uno ben visibile riguarda l’informazione, la comunicazione. Se non ci fossero i “social network”, e la rete, che Erdogan ha infatti cercato in ogni modo di spegnere, da quaggiù non sapremmo nulla di quel che accade a Istanbul. E ora i greci non sapranno quasi più nulla di quel che nel loro paese succede. La morale è che il neoliberismo del rigore finanziario (la Grecia) o dei tassi di cerscita accelarti del Pil e della gigantesca speculazione immobiliare (la Turchia), tuttora raccontato come il regno della libertà, ha l’atteggiamento di una giunta militare, quando occorre.
E noi, che crediamo di vivere immersi nella libertà di stampa (anche se le classifiche internazionali dicono che in questo campo siamo oltre il sessantesimo posto nel mondo), quando apriamo il sito internet di una grande giornale ci troviamo in generale Grillo, Letta e Renzi in ordine variabile a seconda della giornata. Se volete leggere qualcosa di sensato su Piazza Taksim (come ieri sulla madrilena Puerta del Sol o lo Zuccotti Park di New York), dovete cercare appunto sui “social network” o sui media inglesi (il Guardian) o spagnoli (El Diario, El Pais), che, se non altro, non sono ipnotizzati dal loro ombelico. Ed anzi, come nel caso del giornale britannico, talvolta rivelano come l’informazione circoli in quantità enorme, ma a senso unico: dalle mail o dai cellulari o dalle carte di credito dei cittadini statunitensi verso le banche dati della National Security Agency.
Giovedì sarà in Grecia giorno di sciopero generale contro la brutale chiusura della tv pubblica, e il palazzo di Ert è occupato. E nel parco Gezi di Istanbul si resiste, anche se quasi nessuno ve lo racconta.

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