Davvero qualcuno ha dovuto aspettare la
sentenza del Tribunale di Milano per scoprire
che B. va a puttane, preferibilmente minorenni,
e abusa del suo potere e dei suoi soldi per
nascondere la verità? Solo un Paese irrimediabilmente
ipocrita, o disinformato, o mitridatizzato
può meravigliarsi per un verdetto fra i più
scontati della storia. Gli unici dubbi riguardavano
la qualificazione dei reati e la quantificazione
della pena. Ma i fatti erano accertati fin da
subito: le telefonate notturne dello statista dal
vertice internazionale di Parigi alla questura per
far rilasciare Ruby sono incise nei nastri della polizia;
le notti trascorse nella villa di Arcore dalla
prostituta minorenne che poi se ne andava con le
tasche piene di soldi sono dimostrate dai movimenti
del suo cellulare; le deposizioni di decine
di test, tutti dipendenti o sul libro paga di B., fra
cui 4 o 5 parlamentari, un viceministro e alcune
mignotte, bastava ascoltarle per capire che erano
false. Che altro occorreva per farsi un’idea di quel
che è successo e trarne le conseguenze? Un collegio
di saggi? Un vertice di maggioranza? Un
monito del Quirinale? È vero che in Italia le alte
cariche dello Stato, centinaia di parlamentari e
migliaia di giornalisti adorano passare per fessi.
Ma lo capiscono tutti che un miliardario non si fa
portare 40 ragazze a botta, fra cui diverse prostitute
e alcune minorenni, pagandole 2-3 mila
euro se non dormono da lui e 5-6 mila se dormono
da lui, per mostrare loro la sua collezione
di farfalle. E non si scapicolla nottetempo per terremotare
un’intera questura, avvertito da una
prostituta brasiliana, per far liberare una prostituta
marocchina, coprendosi di ridicolo con la
frottola della nipote di Mubarak, se non volesse
tapparle la bocca su qualcosa che è meglio nascondere.
Queste panzane possono reggere in Parlamento,
sui giornali, in tv. Ma c’è almeno un luogo, in
Italia, impermeabile alle balle: il Tribunale di Milano.
E non solo alle balle. Le giudici Turri, De
Crostofaro e D’Elia, insultate e minacciate dall’imputato
B. e dai suoi sgherri, spernacchiate
dalla delegazione parlamentare Pdl in marcia sul
Tribunale, depistate da orde di falsi testimoni,
intralciate da manovre e cavilli assortiti (ricusazioni,
istanze di rimessione, legittimi impedimenti,
ileiti acute e malattie immaginarie, ostruzionismi,
ricorsi alla Consulta), provocate dagli
onorevoli avvocati, “avvertite” dal capo dello Stato
che ancora l’altro giorno ammoniva le toghe a
tener conto delle conseguenze politiche dei loro
atti, scippate di uno dei due reati dalla controriforma
Severino e infine intimidite dall’infame
clima di larghe intese che butta tutto in politica e
carica i giudici di responsabilità che non possono
né devono avere, hanno tenuto i nervi saldi e sentenziato
sine spe ac metu. Senza lasciarsi condizionare
né impressionare da niente e da nessuno.
La loro sentenza smentisce in parte la Procura (il
reato giusto non era concussione per induzione,
ma per costrizione) e soprattutto sbugiarda la
black propaganda sulla magistratura milanese
succube della sinistra. Tutti sanno che il Colle e il
Pd, da quando è nato il governo-inciucio, auspicavano
una sentenza la più blanda possibile
per tener buono il prezioso alleato ed evitare che
gli elettori ricordino chi è: invece la condanna è
stata più severa di quella chiesta dai pm. Una sentenza non di larghe intese, ma di
larghe pene. Che però non può aggiungere
nulla all’indecenza del personaggio, già
ampiamente dimostrata dalle sentenze sulle
tangenti alla Guardia di Finanza, sui 23 miliardi
di lire a Craxi, sui fondi neri per 1.500
miliardi di lire, sulle frodi fiscali sui film, sulla
corruzione di Mills, sulle mazzette ai giudici del
caso Mondadori, casomai qualcuno le avesse
lette. Ora i servi, le prefiche, i tartufi e i finti
tonti si domandano affranti se B. farà saltare il
tavolo dell’inciucio: ma quando gli ricapita un
governo dove la fa da padrone dopo aver perso
le elezioni? La vera domanda è un’altra: che ci fa
il Pd al governo con uno così? Ma valeva anche
prima, e nessuno la pose. In Italia si attendono
sempre le sentenze e poi, quando arrivano, nessuno
le legge. È il Paese dell’amnesia. Che fa
rima con anestesia. E con amnistia.
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