Letta
fa il cravattaro, esattamente come Berlusconi e si abbarbica al suo
governicchio senza il quale – dice – si pagherebbe l’Imu, l’Iva e
quant’altro: una sorta di ricatto privo di consistenza e di realtà che
spicca per la sua ottusa tracotanza travestita da soccorrevole
attenzione ai cittadini. E’ Inutile cercare una logica o un senso in
questo triste volo da uccello padulo, perché ciò che comunica – senza
mezzi termini – è solo la confluenza del sistema politico nella medesima
palude, il nirvana della indistinzione delle posizioni. Letta e
Berlusconi sono il testa o croce della medesima moneta, iscritta in
tutti i trenta denari (si fa per dire) che serviranno a pagare il
riscatto della democrazia e della libertà a una classe dirigente opaca e
fallimentare che oggi chiede a tutti di pagare in solido i propri
errori e la perpetuazione dei propri privilegi.
Non è certo un caso che l’incoerente l’uscita di Letta sull’Imu, per
non parlare dei vaneggiamenti sulla ripresa degni eredi delle luci in
fondo al tunnel di montiana memoria, si accompagni in realtà a qualcosa
di più corposo: al progetto di mettere in capo a tutti i cittadini il
debito che l’ ormai indistricabile connubio banche -aziende ha creato.
Per ora si tratterebbe di salvare attraversi i risparmi postali dei
cittadini, cioè attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, l’indebitamento
dei costruttori: ma una volta strutturato il metodo e passata la
filosofia, si potrà passare a d ogni altro settore. Da un punto di vista
politico siamo all’assurdo: tutti si dovranno accollare il rischio di
impresa di pochi, il pubblico rischia di diventare il bancomat di quelle
ristrette maggioranze di potere che non perdono occasione di dire che
l’azione pubblica è il male assoluto. Una commedia delle parti dentro la
quale non ci saranno risparmiate fantasiose tasse necessarie a
soddisfare questo incubo.
Un incubo che peraltro ci portiamo dietro da circa 99 anni da quando
fu fondata nel 1914 la Banca Italiana di sconto in vista dell’entrata in
guerra. Fu quello il prototipo sul quale si è modellata l’economia
italiana senza una netta distinzione tra politica e affari, banche e
aziende. Lo sforzo bellico, veramente straordinario che portò il Paese a
produrre il doppio e in certi settori il triplo degli armamenti
dell’impero austro-ungarico, segnò anche l’ingresso di una commistione
di una straordinaria opacità della quale non riusciamo ancora a
liberarci. La Bis prestava a più non posso, soprattutto all’Ansaldo,
fidandosi degli anticipi che lo Stato prevedeva su qualsiasi produzione
bellica, anche quella che eventualmente non sarebbe stata poi acquistata
( vedi nota)*. E così nel ’21 fini per fallire, mentre Credito italiano
e Banca commerciale attraversarono momenti drammatici. Furono proprio i
cittadini italiani a dover pagare con 2 miliardi e 100 milioni delle
lire di allora il gigantesco conto saldato prontamente dal fascismo che
invece si era presentato come campione della piccola borghesia urbana e
del reducismo immiserito . E non bastò di certo, tanto che nei primi
anni ’30Mussolini fu costretto a fondare l’Imi e l’Iri per evitare il
totale sfascio del sistema finanziario e produttivo italiano, troppo
interconnesso, ricorrendo perfino alla delirante guerra d’Etiopia per
far lavorare un po’ le aziende e tenere in piedi le banche. Mica è
un’opinione: lo si deduce da mille documenti compresi i verbali di un
colloquio tra Mussolini e l’ambasciatore americano latore di un
messaggio di Roosevelt il cui succo è, non possiamo fermarci, altrimenti
siamo rovinati.
La democrazia del dopoguerra ereditò questa situazione, facendo
dell’Italia il Paese con economia mista più rilevante al mondo. Solo che
allora lo Stato imprenditore tirava in qualche modo i fili, nonostante i
fiumi di denaro che cominciavano a scorrere: quanto meno si era
affermata l’idea che dovesse esservi una responsabilità è un’utilità
sociale delle imprese e vennero imposte alcune regole per questo fine.
Adesso, nonostante le privatizzazioni a capitale zero e le svendite
massicce, la situazione non è molto cambiata da quei lontani giorni
della Banca di sconto, ma è mutato radicalmente il contesto: ora è uno
stato che si vuole ridotto ai minimi termini ad essere garante dei
profitti privati e che si fa dettare la legislazione. Ma lo stato siamo
noi e il sistema politico ormai subalterno, in molti casi sovvenzionato o
addirittura diretto portatore di catastrofici conflitti di interesse,
si prepara a farci pagare ancora una volta il conto. E su questo le
differenze scompaiono.
*La linea del Piave dopo Caporetto poté essere allestita anche
grazie ai surplus produttivi dell’Ansaldo (tra cui 2500 cannoni di vario
calibro) che l’azienda aveva prodotto in più grazie al meccanismo degli
anticipi.
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