venerdì 11 ottobre 2013

25 luglio – 12 settembre 1943, la lunga notte italiana


Sono passati 70 anni dalle vicende che travolsero definitivamente l’Italia fascista, ma anche monarchica e post-risorgimentale. La Roma imperial-mussoliniana, abbacinata dalla Blitzkrieg tedesca, s’immerse nella catastrofe della Seconda Guerra mondiale. Mussolini, il suo entourage, il partito nazional-fascista, quadri e dirigenti dell’amministrazione imperial-coloniale, perfino qualche industriale e qualche generale, credevano che l’Italia fosse una grande potenza mondiale. Aimè per loro, a stento si dimostrò esserlo a livello regionale, con una visione strategica e un’annessa attività operativa miope se non ottusa.
L’Italia ‘guerriera e proletaria’ fascista si dimostrò militarmente e industrialmente inferiore all’Italietta giolittiana. Non solo non seppe eguagliare la capacità industrial-bellica dei suoi diretti avversari, Francia e Regno Unito, ma neanche quella dell’Italia del 1915! La capacità di mobilitazione delle risorse economiche in guerra da parte del regime fascista, difatti, fu inferiore a quella dell’Italia liberale. Alla faccia del regime fascista totalitario! Una facciata dove le varie camarille monarchico-militari e industriali poterono decidere la strategia bellica italiana nella Seconda Guerra mondiale, grazie all’inettidutine e all’autoillusione in cui erano immersi i vertici del partito nazional-fascista. Alcuni esempi. L’industria italiana era di second’ordine, non aveva la capacità di costruire motori aeronautici efficienti e potenti, checché ne dicano gli adulatori di trasvolate e record aeronautici del ‘ventennio’, la prima linea della Regia Aeronautica era costituita da velivoli da bombardamento e da caccia quasi sempre costruiti in legno e ricoperti di tela, propulsi da motori all’altezza di questo tipo di velivoli. Le maggiori aeronautiche mondiali nel 1939 producevano motori aerei da 1000 CV e più di potenza, tranne l’Italia…
Inoltre, la Fiat e l’Ansaldo riuscivano ad imporre, grazie anche alla compiacenza dei corrottissimi vertici militari, materiale spesso scadente. Carri armati dotati di sole mitragliatrici o di cannoncini da 20mm e quasi senza corazzatura, mentre gli inglesi, ad esempio, contrapposero agli italiani, in Nord Africa, dei mostri corazzati come i tank Matilda II, inviolabili perfino all’artiglieria, che per la verità spesso era composta soprattutto da pezzi austriaci catturati al termine della Prima Guerra mondiale. La Regia Marina non fu da meno, oltre a seguire tattiche astruse, preferì sperperare  risorse per costruire le super-corazzate classe Vittorio Veneto, gioia del portafoglio ordini dell’Ansaldo, piuttosto che dedicarsi alla produzione di naviglio per la difesa dei convogli destinati a rifornire le truppe italiane in Libia. Un disastro cui si tentò di porre rimedio troppo tardi.
Tutto ciò, sommato alle ‘vittorie’ in Etiopia e Spagna, dove in realtà le truppe italiane subirono un salasso incolmabile, perdendo o regalando centinaia di pezzi di artiglieria, autoveicoli, aerei e persino diverse navi e sommergibili, e a un’assenza totale di visione strategica, con Mussolini che inviò 300mila soldati in URSS, e suo genero Galeazzo Ciano che, alla vigilia della controffensiva inglese in Africa Settentrionale, scatenò il disastroso assalto alla Grecia (retta da un governo filo-italiano!), portarono all’esaurimento militare ed industriale dell’Italia. Ciò si dimostrò nel 1943 in Sicilia, dove su 250mila effettivi italiani presenti, 200mila furono fatti prigionieri, e gli altri poterono essere ritirati nel resto d’Italia soprattutto grazie all’abilità dei tedeschi nel contrastare lo sbarco alleato. Che per la verità venne pianificato male e condotto peggio. Sporadici gli episodi di resistenza delle truppe italiane, essenzialmente a Gela, dove l’intera forza corazzata italiana venne distrutta nel tentativo di riprendersi la città. Ma i corazzati italiani, (dei vecchi carri armati ex-francesi) che puntavano, in fila indiana, su Gela, non poterono competere con le tattiche e le armi controcarro degli statunitensi, che godevano inoltre della schiacciante potenza dell’artiglieria navale. Dopo la fallita controffensiva su Gela, le divisioni italiane si liquefecero, sbandandosi. E con esse, si sbandò il regime mussoliniano, oramai incapace di gestire una realtà che, in fondo, aveva solo gestito superficialmente.
Mussolini da mesi premeva su Hitler per un armistizio con l’URSS, e forse aveva deciso di seguire questa strada per proprio conto, appoggiato da alcuni alleati, come l’Ungheria di Horthy e la Romania di Antonescu, che in URSS avevano visto disintegrare le proprie forze armate (i romeni, nella sola operazione per occupare Odessa, ebbero 90mila caduti). Comunque non ne ebbe il tempo, l’ala filoinglese del partito nazional-fascista decise di sbarazzarsi di Mussolini, e in combutta con Vittorio Emanuele e Badoglio, cioè con il partito monarchico-fondiario, decise di installare un nuovo governo che avviasse trattative per l’armistizio con gli alleati occidentali. Fu un periodo di confusione, di giochetti meschini e furberie che riuscirono ad irritare perfino gli inglesi e gli statunitensi, che l’8 settembre s’imposero dichiarando l’armistizio con Roma.
Badoglio, Vittorio Emanuele e il loro entourage ‘per garantire la continuità dello Stato monarchico’, dopo aver negato al comando tedesco l’esistenza di tale armistizio, alle prime ore del 9 settembre 1943 stipularono probabilmente un patto segreto con Kesselring e le forze tedesche presenti in Italia. Venne concesso il via libero al vecchio monarca Vittorio Emanuele, al vecchio maresciallo d’Italia Badoglio e a diverse decine di generali (infine presero la fuga in 250), per recarsi da Roma a Pescara, dove imbarcandosi sulla corvetta Baionetta, avrebbero fatto rotta per il Sud d’Italia, per Brindisi sgomberata dai tedeschi ma non ancora occupata dagli alleati. In cambio, i ‘Vertici dello Stato’ non solo lasciarono le forze armate italiane senza ordini, ma a Roma, elementi fedeli al regime in fuga, sabotarono il tentativo dell’esercito italiano di respingere le truppe tedesche che avanzavano per occupare la città. Vi erano sufficienti forze per contrastare efficacemente l’operazione tedesca ‘Achse‘ volta a smantellare le forze armate italiane. Nel vicino aeroporto di Guidonia vi erano 100/130 velivoli efficienti, altri 200 erano presenti nell’aeroporto di Chieti. Ma neanche uno di essi si alzò in volo. Nella vicina Tivoli era schierato il Corpo d’Armata Motocorazzato, l’unità più efficiente e potente del regio esercito, ma i loro comandanti, Calvi di Bergolo, genero di Badoglio, e Raffaele Cadorna, futuro comandante del Corpo Volontari della Libertà, ovvero le truppe del Comitato di Liberazione Nazionale, fecero orecchie da mercante rispetto alle richieste di supporto del comandante del Corpo d’Armata di Roma. Inoltre, nella stessa Roma agivano i delegati di Badoglio, il Maresciallo d’Italia Caviglia, il ministro della Difesa generale Sorice, il figlio di Badoglio, Mario e il futuro martire della Resistenza colonnello Cordero di Montezemolo, l’ufficiale addetto alle comunicazioni militari che agì sia da intermediario con il comando tedesco che da sabotatore, inviando falsi comunicati e finti ufficiali a disorientare e ingenerare confusione tra le truppe poste a difesa di Roma.
Risultato, almeno 1500 caduti tra le fila italiane, tra civili e militari, e Roma venne occupata dai tedeschi in accordo con i delegati della monarchia. Ma, infine, troppe persone sapevano troppo.
In seguito si ebbe l’azione di via Rasella, nel marzo 1944, azione atipica e unica in tutta la storia dell’occupazione tedesca di Roma, poiché la lotta armata antitedesca e antifascista si svolgeva nella zona dei Castelli romani, mentre a Roma vi erano interi quartieri, come il Quadraro, completamente in mano alla Resistenza, rappresentata non dal PCI, ma dal Movimento Comunista Bandiera Rossa, che si poneva alla sua sinistra. L’azione di via Rasella portò alla vendetta delle Fosse Ardeatine, dove furono assassinati non solo 70 quadri e dirigenti di Bandiera Rossa, ma anche diversi ufficiali dell’Esercito italiano e del SIM (Servizio Informazioni Militari), che erano a conoscenza degli accordi segreti intercorsi tra Badoglio, monarchici e comando tedesco. Tra di loro, anche il colonnello Montezemolo che già in clandestinità, venne tradito e consegnato alle SS qualche settimana prima della strage delle Ardeatine. Un tacito accordo omertoso sembrava aleggiare in tutta questa vicenda, anche nel dopoguerra, quando alcuni generali, anch’essi a conoscenza di ‘troppe cose’, morirono in circostanze oscure; come il generale Del Tetto morto in prigione, o il generale Nicola Bellomo, il comandante della piazza di Bari, che il 9 settembre riuscì a respingere una forza d’invasione tedesca. Vittorio Emanuele e Badoglio evitarono di sbarcare a Bari. Bellomo infine, venne arrestato, processato e fucilato dagli inglesi per motivi rimasti oscuri.
Così iniziò l’avventura dell’Italia contemporanea, un’avventura che volge rapidamente al termine, così come è iniziata. Tra intrighi ed enigmi.
Alessandro Lattanzio
Riferimenti:
Ruggero Zangrandi, L’Italia tradita. 8 settembre 1943, Mursia, 1971
Alberto Santoni, Da Lissa alle Falkland: storia e politica navale dell’età contemporanea, Mursia, 1987
Roberto Gremmo, I partigiani di Bandiera rossa: il Movimento comunista d’Italia nella Resistenza romana, ELF, 1996
Carlo D’Este, 1943, lo sbarco in Sicilia, Mondadori, 1990
Fulvio Bellini; Gianfranco Bellini, Storia segreta del 25 luglio ’43, Mursia, 1993

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