venerdì 18 ottobre 2013

La truffa della chemioterapia



Ricerca australiana: Il fallimento della chemioterapia
Il contributo della chemioterapia citotossica alla sopravvivenza a distanza di 5 anni nei tumori degli adulti
Oggetto: Il dibattito sul finanziamento e la disponibilità dei medicinali citotossici stimola delle domande sull’effettivo contributo della chemioterapia curativa o coadiuvante alla sopravvivenza di pazienti cancerosi adulti.
Materiali e metodi: Abbiamo eseguito una ricerca della letteratura per degli studi randomizzati che informano su un beneficio a distanza di 5 anni attribuibile alla chemioterapia citotossica nei tumori degli adulti. Il numero totale di pazienti con nuova diagnosi per 22 tipi di tumori negli adulti venne ottenuto per l’Australia dai dati del registro tumori e per gli USA dai dati della sorveglianza epidemiologica e risultati finali, per il 1998. Per ogni tipo di tumore il numero assoluto dei traenti beneficio era il prodotto di (a) il numero totale delle persone con quel tipo di tumore; (b) la proporzione o sottogruppo (sottogruppi) di quel tipo di tumore che mostrava un beneficio; (c) l’incremento in percentuale nella sopravvivenza a distanza di 5 anni dovuto alla sola chemioterapia citotossica. Il contributo totale era la somma dei numeri assoluti che mostravano un beneficio nella sopravvivenza a distanza di 5 anni, espressa come percentuale del numero totale per ognuno dei 22 tipi di tumore.
Risultati: Il contributo totale della chemioterapia citotossica curativa o coadiuvante alla sopravvivenza a distanza di 5 anni negli adulti è stato stimato essere il 2,3% in Australia e il 2,1% negli USA.
Conclusione: Visto che il tasso di sopravvivenza a distanza di 5 anni nei casi di tumore è oggi più del 60% in Australia, è evidente che la chemioterapia citotossica fa soltanto un minimo contributo alla sopravvivenza nei casi di tumori. Per giustificare il finanziamento e la disponibilità della chemioterapia citotossica in futuro, urge una valutazione rigorosa della relazione costo-beneficio e dell’impatto sulla qualità della vita.
Fonte: Morgan, G. et al. (2004) Clinical Oncology 16, 549-560
Quanti oncologi si curerebbero con la chemio? 64 su 79 si dimostrano riluttanti!
di Tullio Simoncini – 02/03/2006
Qualcuno si è mai chiesto se l’oncologo, in caso di bisogno, acconsentirebbe a farsi trattare con la chemioterapia? Sorpresa!…
Contrariamente alle nostre supposizioni – e anche se i media si guardano bene dal divulgarlo – esiste una grande sfiducia tra gli oncologi riguardo la chemioterapia. Da indagini e questionari si rileva che, ad esempio, tra gli oncologi americani 3 medici su 4 (il 75%) rifiuterebbero qualsiasi chemioterapia, a causa della sua inefficacia e dei suoi effetti devastanti per l’organismo umano.
Ecco alcune delle testimonianze di medici a riguardo:
“Il Dr. Hardin Jones, docente presso l’Università della California, dopo aver analizzato per molti decenni le statistiche relative alla sopravvivenza al cancro, ha tratto la seguente conclusione: [...] quando non sono curati, i malati non peggiorano, o addirittura migliorano.” Le inquietanti conclusioni del Dr. Jones non sono mai state confutate”. [Walter Last, "The Ecologist" vol 28, n. 2, marzo/aprile 1998].
“Molti oncologi raccomandano la chemioterapia praticamente per qualsiasi tipo di tumore, con una fiducia non scoraggiata dagli insuccessi pressoché costanti”. [Albert Braverman, MD, "Medical Oncology in the 90s", Lancet 1991, vol 337, p. 901].
“I nostri regimi più efficaci sono gravidi di rischi, di effetti collaterali e di problemi pratici. Dopo che tutti i pazienti che abbiamo curato ne hanno pagato lo scotto, solo un’esigua percentuale di essi viene ricompensata da un effimero periodo di regressione tumorale, generalmente parziale”. [Edward G. Griffin, "World Without Cancer", American Media Publications, 1996].
“Alcuni scienziati di stanza presso il McGill Cancer Center (McGill University, Montreal, Canada) inviarono a 118 medici, esperti di cancro ai polmoni, un questionario per determinare quale grado di fiducia essi nutrissero nelle terapie che applicavano. Fu loro chiesto di immaginare di aver contratto essi stessi la malattia e quale delle sei attuali terapie sperimentali avrebbero scelto. Risposero 79 medici, 64 dei quali non avrebbero acconsentito a sottoporsi ad alcun trattamento che contenesse Cisplatino – uno dei comuni farmaci chemioterapici che applicavano – mentre 58 dei 79 reputavano che tutte le terapie sperimentali in questione fossero inaccettabili, a causa dell’inefficacia e dell’elevato grado di tossicità della chemioterapia”. [Philip Day, "Cancer: Why We're Still Dying To Know The Truth", Credence Publications, 2000].
“Il Dr. Ulrich Abel, epidemiologo tedesco della Heidelberg/Mannheim Tumor Clinic, ha esaustivamente analizzato e passato in rassegna tutti i principali studi ed esperimenti clinici mai eseguiti sulla chemioterapia [...].Abel scoprì che il tasso mondiale complessivo di esiti positivi in seguito a chemioterapia era scioccante in quanto, semplicemente, non erano disponibili da nessuna parte riscontri scientifici del fatto che la chemioterapia riesca a “prolungare in modo apprezzabile la vita dei pazienti affetti dai più comuni tipi di cancro organico.” Abel sottolinea che di rado la chemioterapia riesce a migliorare la qualità della vita, la descrive come uno squallore scientifico e sostiene che almeno l’80% della chemioterapia somministrata nel mondo è priva di qualsiasi valore. Ma, anche se non esiste alcuna prova scientifica che la chemioterapia funzioni, né i medici né i pazienti sono disposti a rinunciarvi. [Lancet, 10 agosto 1991]
Tratto dal libro del dottor Tullio Simoncini (oncologo): Il cancro è un fungo
Fonte: http://www.movimentoconsensus.org/
Riporto dal libro Kankropoli (grazie a Corrado per la segnalazione)
Le statistiche truccate
Come si possono conciliare i “brillanti risultati della terapie antitumorali” ed i “notevoli progressi compiuti dalla ricerca” con i dati che continuano ad indicare un aumento dei numeri di decessi per cancro? Dopo questo caleidoscopio di notizie, di dati, di ricerche, di scoperte, per poterci avviare ad una prima conclusione, dobbiamo prima di tutto esaminare la situazione REALE delle terapie per tumori.
Secondo l’oncologia ufficiale le possibilità di guarire oggi dal cancro sono almeno del 50 per cento, contro il 20 per cento del 1930. “Un tumore su due oggi è curabile”. La Stampa TuttoScienze, 12-4-1995 (in realtà questo è solo un esempio, siffatte affermazioni potete trovarle su qualsiasi quotidiano, o sentirle al primo dibattito televisivo).
Il primo dato da chiarire è che, ufficialmente, viene considerato caso di cancro curato quello in cui il paziente sopravvive almeno cinque anni dalla prima diagnosi. Pensate: una persona si ammala di tumore, gli propinano tutte le cure e, attraverso lunghi periodi di sofferenze, muore cinque anni ed un giorno più tardi. Evviva! è stato un grande successo della medicina!
Il secondo dato, che dovrebbe saltare immediatamente agli occhi di chiunque, è che nel 1930 non esistevano tutti i sofisticati mezzi di diagnosi e le campagne di sensibilizzazione alla diagnosi precoce, pertanto il cancro veniva scoperto tardivamente e così il tempo fra la diagnosi e il decesso era breve, se non brevissimo. Oggi invece, proprio perché la diagnosi avviene in tempi molto più precoci, la morte arriva logicamente più tardi!
Vediamo ora come viene calcolato questo famoso 50%.
Esaminiamo il caso del tumore al polmone, che rappresenta da solo circa il 25% delle morti di cancro. In Italia, su circa 40.000 casi l’anno, una mortalità del 50% entro i cinque anni dovrebbe significare circa 20.000 morti; nei fatti i decessi sono circa 36.000 (a meno che i ricercatori usino una matematica diversa da quella dei comuni mortali, la percentuale è del 90%).
“E quando una patologia ha una mortalità del 90% è evidente che la cura è inefficace. Si dice e si legge, in alcuni testi, che la chemio avrebbe un certo grado di efficacia in una delle due grandi classi in cui sono divisi i carcinomi polmonari, nel carcinoma a piccole cellule o microcitoma. L’altro, quello a non piccole cellule, è chiaramente non responsivo alla chemio o alla radio terapia.
Se si vanno a vedere gli studi controllati sull’efficacia della terapia medica nel carcinoma a piccole cellule, abbiamo una sopravvivenza del 9 per cento a due anni dalla diagnosi, che però diventa del 4 per cento a cinque anni.” Il Giornale – Inchiesta sul cancro n° 9.
“Il 50 per cento di cui parlano gli oncologi non è effettivamente la metà del numero dei malati di tumore, come si è indotti a credere, ma la media delle varie percentuali di “guarigione” dei diversi tipi di cancro. Per capirci, si somma per esempio, l’87 per cento di guarigione del cancro del testicolo con il 10-12 per cento di quella del polmone e si fa la media delle percentuali di guarigione, non calcolando che i malati di carcinoma del testicolo, in Italia, per fortuna sono solo 2.000 l’anno, mentre le persone che si ammalano di tumore al polmone ogni anno sono attorno a 40.000!” – Il Giornale – Inchiesta sul cancro n° 1.
Nella realtà ogni 100 persone che si ammalano di cancro, 61 sono destinate a morire entro 5 anni dalla diagnosi.
Vediamo altri metodi matematici per calcolare le percentuale di guarigione, così come sono riportate dal Comunicato Andromeda n. 51 /1998 intitolato L’ARMA CHIMICA. – Quello che non vi hanno mai raccontato della chemioterapia: gli effetti collaterali, il gioco di prestigio delle statistiche, il business.
Ogni dimissione ospedaliera risulta una guarigione
“Se una persona viene dimessa dall’ospedale si dice che è in remissione. Quando ritorna viene curata e viene dimessa un’altra volta. Se ogni dimissione viene considerata come un dato positivo, i conti aumentano. E siccome non si può morire più di una volta, se un individuo è stato dimesso 9 volte ed è morto una volta sola si avrà un 90% di guarigione e il 10% di mortalità. La fortuna dei medici è che si muore una volta sola (da un’intervista a Di Bella, gennaio 1998, sullo speciale “Di Bella – La sua cura contro il cancro” in abbonamento con Il Resto del Carlino, Il Giorno, La Nazione).
Solo un periodo limitato di tempo è considerato ai fini della casistica: quello della chemioterapia
I parametri sui quali viene costruita la casistica di sopravvivenza, sono costruiti in base all’efficacia dei farmaci. Per efficacia della chemioterapia si intende la riduzione o la scomparsa della massa neoplastica e la riduzione almeno del 50% delle metastasi eventualmente presenti.
Dopo sei cicli convenzionali di chemioterapia, che dura circa sei mesi, si può ottenere anche la scomparsa della massa neoplastica. Il paziente risulta così “guarito”. Se a distanza di altri sei mesi compaiono metastasi, cioè se il tumore riesplode e in modo non controllabile, quella stessa persona figurerà come un nuovo paziente, perché “quello di prima” risulta guarito.
Le casistiche non seguono il paziente, ma restano nell’ospedale
Un altro esempio di come si costruisce la casistica è il seguente: un paziente viene dimesso dopo un ciclo di chemio da un ospedale e risulta guarito. A distanza di un anno si presentano delle metastasi: a questo punto, per le più svariate ragioni, non torna a farsi curare nello stesso ospedale, ma in un altro. Risulterà un nuovo caso. Quello precedente ha avuto esito favorevole: è guarito.
Alla luce di questi dati, che valore possono avere le statistiche che ci vengono propinate ogni volta che la “ricerca” batte cassa? Provate a chiedere le statistiche di sopravvivenza a dieci o quindici anni. Non le “mollano” così facilmente. Noi ci abbiamo provato. Le abbiamo chieste anche alla Prof.ssa Silvestrini, illustre ricercatrice all’Istituto Nazionale Tumori di Milano. Contattata per un’intervista, che ci ha rifiutato perché “non si fida dei giornalisti”, ci ha negato la possibilità di vederle, dicendo che se si venisse a sapere che “ho dato queste statistiche ad un’associazione che cura con metodi naturali, mi caccerebbero dall’Istituto”. Ma i dati sulla salute pubblica non dovrebbero essere pubblici, visto che oltretutto sono il risultato delle ricerche finanziate dai soldi pubblici?
La falsificazione non viene perpetrata solo sulle statistiche, ma anche sulla ricerca vera e propria. Nel 1926 il Prof. J. A. Grib Fibiger vinse il premio Nobel per aver scoperto il bacillo che provoca il cancro: la spinoptera carcinoma. In seguito si scoprì che era soltanto una colossale fandonia! (La Mafia Sanitaria ed. ATRA/AG STG)
Quante scoperte o promesse di scoperte di oggi saranno le menzogne di domani?
Il quotidiano torinese (La Stampa TuttoScienze, 4-12-1996, pag. 1) parla di “bugie in laboratorio” proprio in merito ad esperimenti su di un gene mutato e presente nel 15% dei casi di leucemia mieloide acuta. Ben cinque articoli “scientifici” a firma di Francis Collins (direttore del National Center for Human Genomic Research di Washington, e che gestisce 244 milioni di dollari della ricerca statunitense) hanno divulgato un clamoroso falso. Certo, si è trovato il colpevole (il capro espiatorio non poteva mancare!), un anonimo studentello che avrebbe manomesso le foto che accompagnavano gli articoli. Strano davvero, visto che il testo era corredato dalle foto e che il luminare avrebbe dovuto accorgersi per tempo della mancanza di correlazione fra quanto scritto e quanto appariva in foto. Ed era così semplice da scoprire quest’inganno, che è bastato un anonimo ricercatore di un giornale scientifico per sollevare un dubbio e scoprire la magagna!
La cosa grave è che da questi testi poi scaturiscono deduzioni, analisi, statistiche, ricerche e, dulcis in fundo, finanziamenti; e diventano la foglia di fico per tutti i medici che non hanno né la volontà, né la possibilità di provare la veridicità di quanto scritto, pur ben conoscendo la realtà di questo habitat scientifico.

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