venerdì 25 ottobre 2013

LEHMAN BROTHERS, GOLDMAN SACHS, JP MORGAN: BANCHE CHE HANNO FRODATO ALL'ITALIA 4,4 MILIARDI DI EURO



 
DRAGHI MARIO, PRESIUDENTE BCE

di Gianni Lannes

L’evasione fiscale, una piaga da cento miliardi di euro l’anno, dovrebbe essere combattuta senza sconti da parte dello Stato: sette punti di prodotto interno lordo (Pil) di mancate entrate per l’erario, oltre 100 miliardi di euro, cioè il 15-20 per cento di tutte le entrate fiscali raccolte. Se venissero pagati regolarmente potrebbero sventare le crisi speculative pilotate dall’estero per spappolare l’Italia.

Lo Stato, ovvero il governo non adotta lo stesso comportamento sanzionatorio nei confronti di tutti gli evasori.  Per esempio i concessionari del gioco d’azzardo devono 100 miliardi di euro, ma il governo Letta non entra in azione per recuperare l’ingente somma di denaro. E invece aumenta a dismisura le tasse più elevate del mondo. Perché? Semplice: le stesse concessionarie debitrici finanziano la fondazione Vedrò a cui fanno capo proprio Letta & Alfano.

Non è tutto: c’è di peggio. Ben 4 governi hanno fatto finta di nulla: Prodi, Berlusconi, Monti & Letta. Oltre 4 miliardi di euro sottratti al fisco tricolore dalle grandi banche internazionali, accusate di aver messo in piedi una gigantesca frode fiscale, per 4,3 miliardi di euro, nei confronti dei quali lo Stato italiano è diventato distratto se non addirittura reticente. Di che si tratta? Delle maggiori banche d’affari che hanno frodato il fisco italiano, quindi la totalità dei cittadini, per un controvalore di 4,3 miliardi di euro, come risulta dall’indagine della Procura della Repubblica di Pescara, nell’operazione denominata “easy credit”.  

Lehman Brothers, Goldman Sachs e Jp Morgan, fra le principali banche d'affari mondiali, hanno frodato il fisco italiano per la somma di 4,3 miliardi di euro, una mezza legge finanziaria. Ma quasi nessuno ne parla. Nemmeno la Banca d’Italia (solo nel nome), supremo organo di vigilanza e di controllo del sistema bancario, ormai di proprietà privata. Nessun telegiornale o grande organo di informazione, così solerti nel dare la caccia agli evasori di gelati, ha dato risalto a questa colossale frode ai danni dello Stato. Per alcune di loro hanno lavorato Romano Prodi e Mario Monti, ovvero due primi ministri in evidente conflitto di interessi a danno dell’Italia.

Ci si chiede cosa avevano fatto le banche, per appropriarsi di una montagna di soldi. Avevano messo in piedi una gigantesca truffa ai danni dello Stato, ovvero del popolo italiano, consumata con i pacchetti azionari di investitori di ogni angolo del globo: europei, americani, asiatici, australiani. Per riuscire a spillare denaro è stato sufficiente chiedere il rimborso del credito d'imposta sui dividendi delle società italiane, facendo credere di averne diritto. Secondo la Procura della Repubblica di Pescara, banche americane ed altri istituti di credito erano riusciti a mettere le mani su una torta miliardaria. 

Passando al setaccio oltre 40.000 richieste di rimborso del credito d'imposta sui dividendi per gli anni 1999-2003, il Procuratore capo di Pescara, Nicola Trifuoggi, ed i suoi sostituti, Giampiero Di Florio (esperto di reati finanziari) e Giuseppe Bellelli hanno portato alla luce le dimensioni colossali del raggiro. La scoperta della truffa sui rimborsi, nome in codice "easy credit", risale al 2005 quando, dopo un'indagine sulle richieste di rimborso inoltrate da società inglesi, il Gruppo repressione frodi della Guardia di finanza di Roma ha trasmesso un rapporto alla Procura di Pescara, competente per territorio visto che nella città abruzzese ha sede un centro operativo dell'Agenzia delle entrate. 

Secondo la legislazione il diritto al credito d'imposta sui dividendi spetta unicamente alle società ed agli enti residenti in Italia. Le tre banche d'affari per mettere le mani sui rimborsi miliardari italiani si sono fatte prestare temporaneamente, da ogni angolo del mondo, da fondi di investimento e istituti di credito delle più svariate nazionalità, pacchetti azionari in maniera che, al momento dello stacco del dividendo delle società italiane, queste azioni risultassero di proprietà delle loro filiali inglesi Lehman Brothers International Europe, Goldman Sachs International e Jp Morgan Securities Limited, tutte e tre con sede a Londra e perciò titolate a chiedere il rimborso. Una volta incassato il dividendo e maturato il credito, tempo qualche settimana, i titoli azionari venivano restituiti agli effettivi proprietari. 

Un caso tra i tanti. Il 23 marzo 2001, Banca Intesa riceve dalla Deutsche Bank di Londra l'ordine di prelevare 3 milioni di azioni Eni da un proprio conto per girarle a quello della Lehman Brothers International acceso presso la Citibank di Milano. Il 5 maggio, puntualmente, le azioni entrano sul conto milanese della Lehman. Il 18 giugno avviene lo stacco del dividendo Eni e meno di un mese dopo, maturato il diritto al rimborso, le azioni fanno il percorso inverso rientrando sul conto londinese di Deutsche Bank. In quei giorni sono state fatte migliaia di operazioni di questo genere. Lehman Brothers international Europe, per esempio, rispetto a una giacenza media nell'intero arco del 2001 di 5.400.000 azioni Eni, nel mese di giugno vedeva il numero dei titoli petroliferi registrati sul proprio conto milanese superare i 155 milioni. Una grande performance, ma non la sola. Anche Goldman Sachs e Jp Morgan sono state attivissime. La prima, rispetto a una giacenza media annuale di meno di 50.000 titoli Eni, sempre nel giugno 2001 arrivava a possederne 355 milioni. La lista degli accusati potrebbe essere molto lunga con un totale di circa 4.500 soggetti finanziari, quali Merrill Lynch, Nomura International, Citigroup Global Markets Limited e la svizzeraUbs.

Nella rapina “legalizzata” dallo Stato tricolore (si fa per dire) ci sono le case madri e le filiali europee di Lehman, Goldman e Jp Morgan, che avevano richiesto al fisco 709 milioni di euro di rimborsi, oltre 600 dei quali non dovuti. Accuse pesantissime: dalla truffa ai danni dello Stato (tentata e consumata) alla responsabilità penale e amministrativa per non avere adottato misure idonee tendenti ad evitare che dirigenti e dipendenti commettessero i reati. Un aspetto molto delicato della vicenda, riguarda proprio Goldman Sachs International di Londra. 

Negli anni incriminati il vicepresidente e managing director (amministratore delegato) della Goldman Sachs era Mario Draghi, divenuto governatore della Banca d'Italia a fine dicembre 2005, e infine a capo della Bce. Il conto della Deutsche Bank di Londra dal quale Lehman Brothers prende in prestito il pacchetto di azioni Eni nel giugno del 2001, appartiene al fondo Franklin Mutual Series di Short Hills, New Jersey. Un investitore americano: e dunque non titolato a chiedere il rimborso del credito d'imposta. Come non ne avevano diritto gli altri soggetti finanziari dai quali Lehman, Goldman e Jp Morgan che hanno preso in prestito quasi tutti gli altri pacchetti azionari. 

La Guardia di finanza scrive in un dettagliato rapporto, che si può «ragionevolmente ipotizzare che le maggiori istituzioni finanziarie estere abbiano costituito un vero e proprio cartello finalizzato ad effettuare in Italia operazioni di “lavaggio dei dividendi"», dividend washing in inglese. Un'operazione truffaldina che non si limita alla Gran Bretagna. Se da Londra sono infatti partite richieste sospette di rimborso per 2.200.000.000 euro, anche dalla Francia (l'altro paese con il quale l'Italia ha stipulato un trattato per i crediti d'imposta sui dividendi) sono arrivate istanze per 2 miliardi, molte inoltrate da Bnp Paribas e Credit Lyonnais.

Il meccanismo del dividend washing era quello di monetizzare il credito d'imposta assegnato a soggetti italiani percettori di dividendi attraverso il temporaneo trasferimento dei titoli azionari alla vigilia dello stacco dei dividendi. Il non residente non fruitore del credito di imposta vende le partecipazioni con realizzo di plusvalenze a un soggetto italiano legittimato a ottenere il credito di imposta, incassa il dividendo, rivende le partecipazioni a un valore più basso, realizza una minusvalenza deducibile da contrapporre al credito d'imposta e al dividendo per abbattere l'imponibile. Ma una circolare dell’Agenzia delle entrate, che tiene conto delle ultime sentenze della Corte di cassazione, emanata a fine giugno 2007, stronca definitivamente il meccanismo truffaldino denominato credit washing, sbaraglia le difese dei fiscalisti, riconducendo nella giusta sede i tentativi dei legali rappresentanti e dei “furbetti delle cedoline”, di non pagare le tasse, come tutti i cittadini.

Se un povero pensionato, costretto a fare il secondo lavoro “in nero” per sbarcare il lunario viene scoperto, è subito messo alla gogna e denunciato, e magari Equitalia gli toglie la casa; se un piccolo commerciante, non rilascia la ricevuta fiscale (che deve essere sempre rilasciata) per un modesto importo, viene pesantemente multato rischiando anche la chiusura dell’attività commerciale. 

Ma se grandi banche d’affari frodano il fisco, quindi lo Stato ed i cittadini che contribuiscono a far funzionare i servizi pubblici mediante il pagamento delle tasse, per 4,3 miliardi di euro (equivalenti a 8.400 miliardi di lire), non vengono neppure cancellate dall'elenco dalle banche di riferimento del Ministero dell’economia e delle finanze,
Qualche domanda a bruciapelo per chi occupa - pro tempore - Palazzo Chigi. 

Presidente Enrico Letta sono stati recuperati i 4,3 miliardi di euro oggetto dell’inchiesta della Procura della Repubblica di Pescara?

Mister Letta risulta compatibile la carica presidente della banca centrale europea di Mario Draghi, chiamato a vigilare proprio sulla correttezza e trasparenza delle banche, con il pregresso status di responsabile legale di una grande banca d’affari, accusata di aver frodato il fisco italiano per una somma ingente?

In un Paese civile, in uno Stato di diritto, la pubblicazione di una notizia documentata come questa provocherebbe le dimissioni immediate, in blocco, di un governo e l’apertura di un’inchiesta giudiziaria nei confronti di chi ai vertici istituzionali per conto terzi sta affossando definitivamente il Belpaese. E poi non c’è neppure una valida opposizione parlamentare. In una nazine seria che lavora per il bene comune, gentaglia simile che succhia linfa vitale a chi lavora realmente, sarebbe cacciata a pedate nel deretano.

Gianni Lannes - Su la testa





Non è vero che le ideologie non esistono più. Ne è rimasta una sola. Potentissima. Il capitalismo. E ha raggiunto l'apice del successo: occultarsi. E' l'aria che respiriamo, è ciò che pensiamo, come pensiamo. Ed è così potente, e ha così stravinto chenon vuole concorrenti di sorta. Nè la famiglia, nè le nazioni, nè l'uomo, nè i valori, nè il pianeta. Ha un mito. Non avere limiti. E' il nuovo Dio. E come un Dio si esprime: vuole "sacrifici". I sacrifici sull'altare del Dio denaro. Eseguiti dai suoi sacerdoti: le banche
- Francesco Neri


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