venerdì 7 febbraio 2014

L’Italia è una dittatura fiscale proprio perché è una “democrazia”

L’Italia è una dittatura fiscale proprio perché è una “democrazia”
Posto qui su RC uno dei formidabili scritti dell’amico Giovanni Birindelli. Spero che tutti i lettori possano trovarne motivo di riflessione e approfondimento.
In un recente articolo sul suo giornale, The Fielder, il direttore Federico Cartelli attacca senza mezzi termini lo stato di polizia fiscale instauratosi in Italia con programmi quali l’anagrafe tributaria, “serpico”, il redditometro. Verso la fine dell’articolo, Cartelli riporta una citazione di Attilio Befera secondo il quale “l’evasione e l’elusione fiscale non sono compatibili… con nessun sistema veramente democratico” e chiude l’articolo con la seguente obiezione a quello che efficacemente definisce “l’inquisitore fiscale retribuito coi nostri soldi”: “Una pressione fiscale di quasi il 70% sulle piccole e medie imprese è democratica? Che l’Italia sia il Paese dove i manager pubblici sono pagati di piú e hanno un doppio, triplo incarico è democratico? Portare l’IVA fino al 22% e aumentare costantemente le imposte indirette è democratico? Ricevere cartelle esattoriali che per alcuni sono significate condanne a morte è democratico? Che lo Stato possa impunemente vagliare ogni nostro movimento fiscale, ma tenere all’oscuro le sue spese, è democratico? L’Italia ha smesso da tempo d’esser una democrazia. È solo una moderna dittatura fiscale (grassetto nell’originale).
Nella sua obiezione, a mio parere, Cartelli ha confuso i termini del problema e così facendo si è schierato con Befera e con lo stato di polizia tributaria, non contro di essi. Infatti, se al termine “democrazia” diamo il significato che oggi (anche grazie alla costituzione italiana) viene comunemente attribuito a questa parola, ovvero quello di sistema politico basato sulla regola della maggioranza (eventualmente rappresentativa),  l’Italia repubblicana è una moderna dittatura fiscale proprio perché è una “democrazia”, cosa che purtroppo non ha mai smesso di essere.
Considerare la democrazia come fine (“… è democratico?”) e non come mezzoper un fine (quello della libertà intesa come assenza di coercizione e, più precisamente, come difesa della sovranità della Legge intesa come regola generale e negativa di comportamento individuale valida per tutti allo stesso modo) fa parte dello schema mentale di Befera e di tutti coloro che sono schierati a difesa del moderno totalitarismo, siano essi di “destra”, di “sinistra”, o “grillini”. Cartelli, nella sua obiezione a Befera, così come quei 1.4k che hanno mostrato di gradirla su Facebook per esempio, ha adottatoesattamente quello schema mentale. “Aumentare costantemente le imposte è democratico?” Si, Cartelli, è “democratico”, così come lo è aumentare costantemente la quantità di denaro a corso forzoso mediante la sua stampa da parte delle banche centrali (tassazione mediante inflazione): né più né meno. Questo è il problema: chi non lo ha capito non ha capito la natura della “democrazia” e dell’idea filosofica di legge su cui essa si basa: la “legge” fiat (il positivismo giuridico). È questa idea filosofica di legge che fa si che in una “democrazia” il potere politico sia limitato esclusivamente dalle procedure burocratiche che esso stesso si dà, cioè che sia illimitato.

Metto il termine “democrazia” fra virgolette per distinguere questo sistema politico totalitario dalla democrazia (senza virgolette), cioè da quel sistema politico in cui eventuali decisioni collettive sono limitate dalla Legge intesa come regola generale di comportamento individuale valida per tutti allo stesso modo, la quale è indipendente dalla volontà di chiunque, maggioranza e “popolo” per primi (per la differenza fra “democrazia” e democrazia rimando a questo articolo). In una democrazia, le dimensioni e le funzioni dello stato (con tutto ciò che ne consegue) sarebbero limitate a un minimo coerentemente e non arbitrariamente definito in quanto, a differenza di ciò che avviene in una “democrazia” (dove c’è un produttore di “leggi” fiat), ci sarebbe qualcuno a difesa della Legge.
La battaglia per la libertà si gioca sul terreno della Legge, non su quello della democrazia. In altre parole, quella battaglia non si gioca scambiando un obiettivo (quello della libertà) con un mezzo, il quale tra l’altro, quando è la “democrazia”, serve necessariamente a conseguire un obiettivo (la grande finzione di Bastiat) che è opposto alla libertà: nei limiti in cui si fa questo, la partita è già persa.
Dove la legge è la “legge” fiat (il provvedimento particolare, cioè la decisione arbitraria dell’autorità, p. es. di quella rappresentativa della maggioranza),come si può anche solo pensare che lo stato possa non espandere continuamente le sue dimensioni e funzioni e con esse la pressione fiscale e l’intrusività nella vita delle persone? In altre parole, dove la “legge” è lo strumento di potere arbitrario invece che il limite non arbitrario al potere, come si può anche solo pensare che la libertà non possa essere progressivamente e necessariamente sempre più devastata dallo stato? Chiedere a uno stato “democratico” di non aumentare continuamente la pressione fiscale, per esempio, è come chiedere a dell’acqua che non è racchiusa dentro un bicchiere di non spandersi sulla superficie del tavolo.
La vittoria sul totalitarismo forse non è mai stata così a portata di mano come lo è oggi: ieri non avevamo Bitcoin e l’altro ieri non avevamo internet. Tuttavia, fino a quando la “democrazia” sarà vista dai campioni della libertà come obiettivo invece che come ostacolo; fino a quando alla domanda”… è democratico?” non sarà sostituita la domanda “in base a quale regola generale e negativa di comportamento individuale valida per tutti allo stesso modo …?”, la direzione di marcia sarà verso forme sempre più sofisticate di totalitarismo di massa, le quali necessariamente comporteranno una pressione fiscale, un’oppressione burocratica e un’intrusività dello stato nella vita delle persone sempre maggiori.
Tratto da: rischiocalcolato.it
 http://www.nocensura.com/

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