sabato 1 marzo 2014

Il pm no, gli inquisiti sì di Marco Travaglio


Un giorno, forse, scopriremo che cos’abbia
indotto il giovane Renzi a bruciarsi la carriera
e a giocarsi la faccia con il colpo di palazzo
che ha detronizzato il bollito Letta senza passare
dal voto, poi con la nomina di un governicchio
di riciclati, lottizzati, lobbisti e mezze tacche,
infine ieri con una lista di 44 fra viceministri e
sottosegretari che c’è da sporcarsi soltanto a sollevarla
con una canna da pesca. Per intanto, è
caduta la maschera: la rottamazione era un
bluff, una trovata propagandistica per prendere
il potere, raggiunto il quale il rottamatore si
comporta come il più decrepito dei partitocrati
Ancien Regime. Magari - chissà, speriamo - farà
qualcosa di buono, ma se il buongiorno si vede
dal mattino c’è poco da stare allegri. E, se la lista
dei ministri l’ha sbianchettata Napolitano,
quella dei sottosegretari è tutta roba sua.
Gli inquisiti sono addirittura quattro: il 10 per
cento, un’ottima media che fa impallidire quella
di Letta. Tutti e quattro sono targati Pd: Francesca
Barracciu, Umberto del Basso de Caro,
Vito De Filippo e Filippo Bubbico. I primi tre
rispondono di peculato per le ruberie sui rimborsi
regionali. La sarda Barracciu, in quanto
indagata, non poteva essere candidata a governatore
di Sardegna, ma fare il sottosegretario
può eccome. Alla Cultura, ovviamente. Il campano
del Basso de Caro, che è pure l’avvocato di
Mancino al processo Trattativa, gestirà le Infrastrutture
con l’ottimo ministro Lupi (anche
lui inquisito da ieri per abuso a Tempio Pausania)
e altri due vice scelti con sopraffina meritocratizia:
il sottosegretario Ncd Antonio
Gentile, celebre per aver candidato B. al Nobel
per la Pace e per aver bloccato le rotative de
L'Ora della Calabria per occultare la notizia del
figlio indagato; e il viceministro socialista Riccardo
Nencini, amicone di Riccardo Fusi asso
pigliatutto della cricca della Protezione civile.
L’ex governatore lucano De Filippo dovette dimettersi
l’anno scorso con tutta la giunta indagata
in blocco, dunque ora si divide fra l’inchiesta
per peculato e il ministero della Salute. Il
quarto indagato, anzi imputato è il suo predecessore
Filippo Bubbico: essendo sotto processo
a Potenza per abuso d’ufficio, rimane a
pie’ fermo viceministro dell’Interno.
Poi c’è il ministero della Giustizia (si fa per dire),
che segna anche ufficialmente il ritorno di
Silvio Berlusconi al governo per interposti viceministro
Enrico Costa (ora Ncd) e sottosegretario
Cosimo Ferri. Quest’ultimo, detto spiritosamente
“tecnico”, è il magistrato, ras di
Magistratura Indipendente, che entrò al governo
con Letta in quota Forza Italia, poi all’uscita
del Caimano s’imbullonò alla poltrona fischiettando
come nulla fosse. Il suo nome salta fuori
dalle intercettazioni di alcuni fra gli scandali più
vergognosi degli ultimi anni: Calciopoli, loggia
P3 e caso Agcom-Annozero. Nessun reato, nessun
avviso, ma quanto basterebbe almeno per
tenerlo lontano dalla Giustizia. Invece rieccolo
sottosegretario al fianco del ministro Orlando
(a cui va la nostra piena solidarietà) e al neo-viceministro
Costa, che nella scorsa legislatura,
da capogruppo Pdl in commissione Giustizia,
firmò come autore o promotore o addirittura
relatore tutte le peggiori leggi vergogna approvate
o tentate dalla banda B: lodo Alfano 1 e 2,
legittimo impedimento, processo breve, processo
lungo, prescrizione breve, bavaglio-intercettazioni
e altre porcate. Insomma: due nomi,
una garanzia. Soprattutto per il Cainano.
Saranno contenti quei gran geni dell’Anm che,
per coprire le spalle a Re Giorgio, avevano storto
il naso all’idea di magistrato come Nicola
Gratteri ministro della Giustizia (invece il generale
Rossi sottosegretario alla Difesa, come
nelle repubbliche delle banane, va benissimo).
Ma in fondo è stata una fortuna che Gratteri sia
stato stoppato dal Colle proprio sull’uscio di
Via Arenula: vista la compagnia, avrebbe dovuto
dimettersi nel giro di una settimana. O, in
alternativa, fare una retata.

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