domenica 2 settembre 2012

«Tutti sanno che l’Iran non attaccherà nessuno, mentre qualcuno attaccherà l’Iran»



Campo 2012 – Resoconto dei due forum sull’Iran e il Bahrein
Assisi, 25 agosto - Introducendo il forum sulle minacce di attacco all’Iran, Massimo De Santi ha presentato i due relatori, il professor Mohammad Reza Dehshiri (foto) dell’università di Teheran e Paul Larudee del comitato esecutivo della Gmj (Global March to Jerusalem). Dal professor Aldo Bernardini, che non ha potuto partecipare all’incontro per ragioni personali, è giunto un messaggio che è stato letto in apertura dei lavori.
De Santi ha ricordato i rischi legati al possibile attacco all’Iran, anche tenendo conto del fatto che gli Usa non hanno mai rinunciato alla possibilità di usare le armi nucleari. Così come per l’Iraq si sostenne la presenza di armi di distruzione di massa per giustificare l’aggressione del 2003, oggi si tenta di ripetere la stessa operazione accusando l’Iran di sviluppare l’arma atomica. E questo mentre tutti sanno che l’unica potenza nucleare del Medio Oriente è in realtà Israele, che possiede almeno duecento testate nucleari.
Paul Larudee ha iniziato il suo intervento ironizzando proprio su questo aspetto, visto che il Dipartimento di Stato americano afferma che Israele non possiede armi atomiche. Gli Usa ritengono invece inaccettabile che l’Iran possa possedere la capacità di costruire armi nucleari. Ma cosa vuol dire possedere questa capacità? Il Giappone possiede la capacità di costruire armi nucleari in 6 mesi, così pure il Brasile, ma gli Usa ritengono inammissibile che l’Iran possa concretizzare questa capacità in tre anni.
Abbiamo così una situazione paradossale: «tutti sanno che l’Iran non attaccherà nessuno, mentre qualcuno attaccherà l’Iran». Ma non saranno gli Usa a farlo per primi. Israele sta cercando però di trascinare gli Stati Uniti nel conflitto. Secondo Larudee un attacco israeliano potrà esservi anche a breve, ma non direttamente contro l’Iran. Per un attacco diretto, invece, ci vorrà ancora tempo.
Larudee ha concluso il suo intervento facendo appello all’unità degli antimperialisti.
Dehshiri è invece partito da quattro punti: l’iper-complessità delle attuali relazioni internazionale, la iperconnettività (tutti influenzano tutti), l’iper-trasparenza (ad esempio quella ottenuta con i satelliti), l’iper-vulnerabilità. Per Dehshiri l’energia nucleare – e le relative conoscenze tecnologiche – sono parte fondamentale della sicurezza di un Paese.
Dopo aver dato un giudizio molto positivo sugli effetti delle primavere arabe, Dehshiri ha parlato della demonizzazione americana dell’Iran. Quella che vediamo oggi è una “guerra fredda” psicologica nei confronti dell’Iran. Le minacce attuali di Israele rientrano in questo quadro. Israele sa di non poter attaccare l’Iran, perché l’Iran ha sufficienti capacità di risposta militare. In realtà, la strategia israeliana si basa su due elementi: l’uccisione sistematica degli scienziati nucleari iraniani e le sanzioni economiche.
Diversi degli intervenuti hanno sostenuto che l’Iran ha comunque diritto, viste anche le minacce a cui è sottoposto, ad una deterrenza nucleare, ma – come era prevedibile – il grosso del dibattito si è svolto attorno al dilemma “guerra sì, guerra no”.
Nelle conclusioni, Paul Larudee ha affermato che: «Israele non è uno stato naturale, è uno stato artificiale. Non è uno stato che ha un esercito, è un esercito che ha uno stato». A suo parere è importante dimostrare quanto sia proprio Israele ad influire sulla politica americana. Sull’attacco all’Iran anche Larudee è convinto che ci sarà, ma non nell’immediato.
Dopo Larudee è stata la volta del prof. Dehshiri, per il quale il progetto nucleare è innanzitutto una questione che attiene all’orgoglio nazionale iraniano.
Sulla posizione iraniana al momento dell’aggressione statunitense all’Iraq, oggetto di critiche da parte di diversi interventi, Dehshiri ha detto che l’Iran ha sostenuto l’opposizione a Saddam Hussein, cercando però una mediazione che impedisse la guerra.
Il relatore ha poi accusato alcuni paesi arabi di alimentare le attuali tensioni tra sciiti e sunniti. Da questo tema alla questione siriana il passo è breve. Su questa spinosa questione, Dehshiri ha detto di ritenere che la situazione siriana non sia inseribile nel quadro delle primavere arabe. L’Iran è comunque favorevole alle riforme in Siria, ma non con la guerra civile, e la lotta armata non porterà la democrazia nel Paese.
Sulle manifestazioni dell’opposizione siriana, seguite alla riconferma di Ahmadinejad nel 2009, Dehshiri ha detto che il governo iraniano agì per impedire ogni tentativo di “rivoluzione colorata” nel Paese.
Concluso il forum sull’Iran, i lavori sono proseguiti nel pomeriggio con quello sul Bahrein
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Bahrein: la rivolta dimenticata
Del Bahrein si parla davvero poco. E’ vero, si tratta di un piccolo Paese, che ha ottenuto l’indipendenza solo nel 1971, ma strategicamente importante – qui ha sede la più grande base navale americana del Golfo. Del Bahrein si parla poco perché, come ha ricordato Mohammed Aborous nella presentazione, gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di permettere una rivoluzione democratica in questo Paese. E dunque anche le numerose vittime della repressione devono passare sotto silenzio.
Prima di dare la parola al dott. Jaafar, parlamentare del Bahrein, è intervenuta Intissar Masri, segretaria del Centro italo-arabo Assadakah, che ha denunciato la gravità della situazione. Tra i vari esempi relativi alla repressione, ha citato il caso dei 13 medici condannati dai 3 agli 8 anni di detenzione solo per aver curato alcuni manifestanti feriti.
Il dott. Jaafar ha premesso che il movimento democratico in Bahrein esisteva prima dell’esplosione della “primavera araba”, ma quest’ultima ha dato anche ai bahreiniti una spinta decisiva. I giovani si sono mobilitati, ma la repressione del regime è stata pesantissima. La gente chiedeva, e chiede, una società senza discriminazioni religiose, la libertà di stampa ed un parlamento dotato di poteri reali (oggi il Bahrein ha due rami del parlamento, con uguali poteri: uno eletto e l’altro nominato).
Alle elezioni (vedi articolo) il partito dell’opposizione sciita, Al Wefak, si è aggiudicato 18 seggi su 40, avendo i realtà ben il 65% dei voti, ma il Bahrein è di fatto sotto il controllo saudita, le cui truppe sono intervenute nel Paese con il pretesto che… era in corso un intervento straniero…
La repressione che ne è seguita è stata violentissima. Tantissimi i morti, i feriti ed i licenziamenti per ragioni politiche. Naturalmente il “democratico” occidente ha finto di non vedere né la violenza, né l’invasione saudita, né l’oppressione di un popolo ed in particolare della sua maggioranza sciita.
Il parlamentare bahreinita ha concluso il suo intervento ribadendo il ruolo nefasto dell’Arabia Saudita, che ha addirittura proposto l’annessione del piccolo Stato invaso. Un ruolo ben manifesto anche dietro le insegne del Ccg (Consiglio di cooperazione del Golfo) dietro le quali i sauditi vogliono a volte nascondersi.
Solidarietà alla rivoluzione democratica del Bahrein è stata espressa da tutti gli intervenuti nel dibattito.

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