mercoledì 23 gennaio 2013

Redditometro 2013, dalla Cassazione un pugno da ko


L'onere della prova non può essere addossato al contribuente. In parole povere, non dobbiamo essere noi a fornire le prove per difenderci, ma è il Fisco che deve avere prove certe per accusarci
Dopo tanti calci negli stinchi ai contribuenti, questa volta è il redditometro a ricevere un violento diretto in pieno volto, che potrebbe metterlo addirittura ko. Ad essere messo in discussione infatti è uno dei pilastri del nuovo sistema di accertamento sintetico delle nostre spese, messo in piedi per combattere l’evasione fiscale, quello dell’inversione dell’onere della prova. Detto in parole povere, secondo quanto previsto dalla legge, ogni volta che il Fisco ci chiamerà, sulla base delle rilevanze del redditometro, a dare spiegazioni su eventuali spese o entrate non chiare, saremo noi a dover, fin dal primo contraddittorio, portare prove a discarico. Il tutto in presenza di accertamenti non certi, ma presunti, alcuni desunti attraverso medie statistiche dell’Istat, che quindi non rappresentano delle certezze. Insomma, dovremo provare di essere onesti, di fronte ad accuse presunte di evasione, e non di fronte a dati accertati.

La sentenza della Cassazione
A far crollare però questo assurdo castello di carte ci ha pensato la Corte di Cassazione, con un provvedimento, in realtà passato un po’ sottogamba, guarda caso, pronunciato lo scorso 20 dicembre.Con la sentenza nr. 23.554 del 2012, il massimo organo della Giustizia ha stabilito che l’onere della prova non può essere addossato al contribuente, ma dovrà essere sempre il Fisco a dimostrare con prove alla mano che c’è stata in effetti un’evasione fiscale. Una sentenza che, seppur pronunciata sulla base di un esposto presentato nel lontano 1994 (e ci sarebbe da discutere sui tempi biblici della giustizia italiana, ma questa è un’altra storia …), chiama pesantemente in causa tanto il vecchio redditometro, quanto il nuovo. Le decisioni della Cassazione infatti fanno giurisprudenza, come si dice, stabiliscono cioè dei principi giuridici generali, a cui tutti i giudici di qualsiasi rango dovranno attenersi per il futuro. E dunque, c’è da scommettere che anche sul nuovo redditometro si abbatterà una tempesta di ricorsi e reclami.

Come è fatto il redditometro
Le ragioni delle possibili controversie che potranno nascere sono connaturate al modo stesso in cui è stato concepito il nuovo redditometro. Se infatti una parte delle spese che un contribuente sostiene verranno dedotte in modo diretto, anche attraverso l’Anagrafe tributaria, per tutta una serie di altri consumi ci si affiderà alle stime fatte dall’Istat o, ancora peggio, a non meglio precisati studi economici che dovranno stabilire nello specifico ad esempio quanto si spende in media per la manutenzione di una barca o per il possesso di un cavallo. Dall’alimentazione all’abbigliamento, dalle tariffe delle bollette a tutta una serie di altri consumi dunque, non verranno rilevate le nostre spese reali, ma quelle stimate da medie statistiche. Ovvio dunque che se fossimo chiamati dal Fisco a dare spiegazioni, saremmo di fronte a una presunzione di evasione e ci ritroveremmo appunto, a dover portare delle prove a nostra discolpa per accuse non ancora provate. Esattamente quello che  la Cassazione ha, con tanto di sentenza, stabilito essere illegale.

Come si difende l’Agenzia delle Entrate
Le polemiche su questo aspetto del redditometro, quello appunto dell’onere della prova, erano scoppiate fin dall’inizio, ma si sono fatte ancora più infuocate dopo che lo scorso 4 gennaio il decreto che contiene le norme applicative per il nuovo strumento di accertamento fiscale sono apparse sulla Gazzetta ufficiale. Ebbene, questo punto specifico dell’onere della prova rimane insoluto e non c’è stata nessuna ulteriore circolare o comunicato stampa che abbia fornito chiarimenti, nonostante la sentenza della Cassazione. Come si dice, fare orecchi da mercante. Di sicuro però se ne tornerà a parlare, almeno fino a quando l’Agenzia delle Entrate non deciderà di chiarire quale peso avranno, nel computo generale delle spese imputate a ogni singolo contribuente, i dati certi e quanto quelli stimati. Se infatti questi ultimi dovessero rappresentare una parte residuale e minima, allora il Fisco potrebbe sostenere che noi verremmo chiamati a dare spiegazioni su un accertamento che per la stragrande maggioranza dei dati, si basa su cifre certe, venendo dunque a cadere il presupposto stabilito dalla Cassazione. Per il momento però regna la confusione, e quindi bene ha fatto per una volta la Suprema Corte a darci uno strumento per difenderci.

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