giovedì 31 maggio 2012

LE 10 REGOLE PER IL CONTROLLO SOCIALE di Noam Chomsky






L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche.
1 – La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).
2 – Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema – reazione – soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3 – La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.
4 – La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.
5 – Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).
6 – Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti…
7 – Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori” (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).
8 – Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti…
9 – Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di repressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!
10 – Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

La parata del patetico


By ilsimplicissimus

La tradizionale parata non si tocca. Lo dice Napolitano e lo dice anche Bersani eccezionalmente impegnato a pettinare soldatini di piombo, invece delle consuete bambole. Quale maligno demone spinga questi uomini a inebriarsi di sfilate militari tanto da volerle a dispetto dei santi è un tema psichiatrico. E non esagero: perché se c’è una vera tradizione è quella che in situazioni di difficoltà, di emergenza o di opportunità la parata venga cancellata. Non avvenne solo con Forlani nl ’76  in concomitanza col terremoto in Friuli, ma anche nel ’63 per la morte di papa Giovanni e ancora nel  ’91 per la crisi economica.
Francamente non saprei trovare un momento più drammatico e più opportuno per far slittare a tempi migliori o ancor meglio per abolire definitivamente una manifestazione che non soltanto è ormai decrepita, un residuo di altri tempi, ma che sostanzialmente è nata obtorto collo. Non è un caso che essa sia stata cancellata non solo nei tre anni citati, ma anche dal ’76 all’ 82 e dal ’93 al 2000. In tutto 16 anni il che la dice lunga  sul suo inesistente valore simbolico.
Essa fu voluta a malincuore, dopo il referendum monarchia repubblica, per coinvolgere anche le forze armate rimaste di fede sabauda o fascista, nelle nuove istituzioni. E forse anche per simulare un’indipendenza che di fatto non esisteva più. In effetti non aveva proprio nulla a che fare con la nascita della Repubblica che era figlia della resistenza, della lotta al fascismo e ai suoi miti di potenza. E per la verità anche agli italiani che non coltivavano passioni pacifiste o internazionaliste, la rivista non interessava molto: allevati per vent’anni  tra adunate, parate, gagliardetti,  guerre guerre coloniali, imperi di cartapesta erano  ancora sotto choc per la straordinaria serie di sconfitte accumulate in quattro anni dovunque e contro chiunque, salvo isolati episodi. Capivano di essere stati ingannati e che in ogni caso la strada delle armi non era esattamente nel dna del Paese.
Dunque per festeggiare davvero la Repubblica  bisognerebbe non farla la parata, anche al di là degli eventi drammatici che sono sopravvenuti nelle ultime settimane: la sola crisi economica avrebbe dovuto indurre a sopprimere una spesa  inutile e certo assai più alta di quella fatta trapelare. Per non parlare della “distrazione” di braccia dove invece servirebbero. Milioni spesi per soddisfare narcisismi da operetta e un leader politico che si piega ad ogni assurdo. “Siamo un grande paese e necessariamente la parata si terrà in forma sobria”, balbetta Bersani. Ma non è vero saremmo un grande Paese se avessimo la saggezza di prendere decisioni opportune e magari di ascoltare il sentimento popolare e il buon senso. Così siamo solo un Paese che mischia le tragedie all’opera buffa e che nemmeno sa più ritrovare i propri veri simboli. E si affida a patetiche sparate.

Lingotti in fuga, capitali in fuga, tasse in fuga, furbetti in fuga: un gigantesco cartello "vendesi" campeggia sull'Italia




GIOVEDÌ 31 MAGGIO 2012


Lingotti in fuga, capitali in fuga, tasse in fuga, furbetti in fuga: un gigantesco cartello "vendesi" campeggia sull'Italia da mesi. Molti non se ne sono ancora accorti, ma in effetti vivere a debito e non poter più neanche battere moneta portano a questo: a una perdita di sovranità non solo politica (i famosi "tecnici"), ma anche finanziaria e, infine, reale.
Se ci comportiamo bene, ci lasceranno il paese in nuda proprietà. Se no, in usufrutto oneroso. E la famosa classe dirigente, com'è naturale, è in fuga dietro ai propri soldi.



1) LINGOTTI IN FUGA...
Che serve tenersi la Juve, la Stampa e tornare attivamente nella stanza dei bottoni del Corriere? A coprirsi la fuga con i governi di turno, mentre si spostano le sedi legali (ovvero le tasse) in Olanda e le produzioni dove più conviene (oggi la Serbia, domani chissà).
"Marchionne sposta negli Usa un pezzo di Fiat. Industrial si fonde con la controllata Cnh: sara' quotata a New York, sede in Olanda". Destino analogo aspetta Fiat e Chrysler? Su questo, Marpionne fa lo svizzero: "E' possibile, ma non e' un problema di adesso. Prima dovremmo acquistare dal fondo Weba le restanti azioni Chrysler. Non facciamo dietrologie su questa storia" (Repubblica, p. 36).
Ecco, tanto per non fare "dietrologie", come direbbe lo strapagato manager allergico ai giornalisti (compresi 
quelli a libro paga), Repubblica intervista Giorgio Airaudo della Fiom: "Fabbrica Italia non esiste più'. Vendiamo Mirafiori ai tedeschi. Il governo crei le condizioni perché Volkswagen investa a Torino. Il Lingotto comincia a trasferire negli Stati Uniti il baricentro dell'azienda. Monti inerme" (p. 36).
Ovviamente il Corriere la butta in caciara, come si dice a Roma: "Marchionne ridisegna Fiat-Cnh. Integrazione in una holding olandese. Addio a Piazza Affari" (p. 37). Notiziuola di Borsa per addetti ai lavori, vero? Non facciamo dietrologie.

2- CAPITALI (E FIDUCIA) IN FUGA...
Dopo la famosa luna di miele, i mercati tornano cattivi, duri e insensibili. "I tassi sui Btp tornano sopra il 6%. Telefonata di Monti con Obama" (Corriere, p. 14). Chiesti altri soldi? Comparti altri droni da difesa?". "Gelo sull'asta dei titoli italiani. Il tasso del Btp torna sopra il 6%. Il Tesoro piazza solo 5,74 miliardi", ammette la Repubblica degli Illuminati (p. 33).
Alla luce dello stock del debito pubblico, spieghi il candidato dov'e' realmente la sede legale dell'Italia.

3- TASSE IN FUGA...
Nonostante la crisi, qualche autonomo ha preso a dichiarare qualche euro in più al fisco. Ma i dati globali restano uno schiaffo a milioni di italiani onesti. "Redditi, i gioiellieri sotto i 17 mila euro. Il ministero: per i professionisti una media di 27 mila euro, ristoratori e tassisti dichiarano meno di 15 mila. I negozianti di abbigliamento dicono di guadagnare 8600 euro l'anno" (Stampa, p. 15). "Bar, alberghi e taxi, redditi sotto i 17 mila euro. Gli autonomi guadagnano in media 27 mila euro. Al top notai e farmacisti" (Repubblica p. 35). E in caso di terremoto, il Professore prescrive: aumentare la benzina. Alla prossima sciagura, tocca alle sigarette.

4- SPIAGGE IN FUGA...
Quanto valgono le coste e il mare della Sicilia, abusivismi compresi? Finalmente abbiamo una stima attendibile, che può fare scuola nel resto d'Italia. "In svendita le coste della Sicilia. Cemento e appalti per 3 miliardi, ecco l'affare d'oro di Lombardo. Una legge assegna tutto a un gruppo italo-belga. Una mega concessione di 30 anni che può essere estesa a 50 minaccia l'intera regione" (Repubblica, p. 28). Il prossimo passo e' dare in concessione lo spazio aereo - Nato e mafia permettendo - in modo che per entrare e uscire dalla Sicilia tocchi chiedere il permesso.

5- FURBETTI IN FUGA...
"Scalata Bnl-Unipol, Fazio assolto. La Corte d'appello di Milano scagiona anche Caltagirone, Bonsignore, Ricucci, Coppola, Statuto e Cimbri. Nel 2005 non ci fu un patto illegale tra Consorte e gli immobiliaristi" (Corriere, p. 29). Si accontenta di poco il Giornale di Feltrusconi: "Bnl-Unipol, condannati i re della finanza rossa. In appello sentenza confermata solo per Consorte e Sacchetti. Assolti l'ex governatore di Bankitalia Fazio e i contro pattisti" (p. 12).
Allora diciamo una cosa, a costo di essere impopolari. Caltagirone si dimise dalle poltrone bancarie dopo la condanna in primo grado. Non ha ricusato i giudici e non ha puntato sulla prescrizione, non ha fatto la vittima; ieri è andato in aula manifestando la consueta fiducia nella giustizia. Ne è stato ripagato.
La vera notizia è questa: un tribunale ha stabilito che scalare una banca contro il volere di Abete non è reato.

6- FAMILIARI IN FUGA...
Mentre Paraponzo Ponzellini, il banchiere di tutti, affronta il suo primo interrogatorio da uomo non libero, prosegue il salvataggio dei Ligrestos. E soprattutto, il salvataggio di Mediobanca e Unidebit dai Ligrestos. Il problema e' che la partita la gioca anche il Tribunale di Milano. "Ligresti, in liquidazione le holding di famiglia. Calabi e Spinello commissari di Sinergia e Imco. L'Antitrust a Unipol e Mediobanca: impegni da migliorare" (Corriere delle banche creditrici, p. 39).

colinward@autistici.org - fonte:  i segreti della casta

Un Paese a sua insaputa di Marco Travaglio


Perché un terremoto del quinto-sesto grado
Richter, così come un paio di giorni di
pioggia, fa strage solo in Italia (oltre, si
capisce, al resto del Terzo mondo)? La
risposta l’ha data a sua insaputa il neopresidente di
Confindustria Giorgio Squinzi, quando ha detto che
i capannoni industriali sbriciolati dalle scosse del 20
e del 29 maggio erano “costruiti a regola d’ar te”. La
questione, il vero spread che separa l’Italia dal
mondo normale, è tutto qui: nel concetto italiota di
“regola d’ar te”. La nostra regola d’arte è quella che
indusse la ThyssenKrupp a non ammodernare
l’impianto antincendio nella fabbrica di Torino
perché, di lì a un anno, l’attività sarebbe stata
trasferita a Terni. Risultato: sette operai bruciati vivi.
Mai la ThyssenKrupp si sarebbe permessa di
risparmiare sulla sicurezza nei suoi stabilimenti in
Germania, dove le tutele dei lavoratori sono
all’avanguardia nel mondo. In Italia invece si può.
Perché? Perché nessuno controlla o perché il
controllore è corrotto dai controllati. Oltre
all’avidità dei singoli, purtroppo ineliminabile dalla
natura umana, il comune denominatore di tutti gli
scandali e quasi tutte le tragedie d’Italia è questo,
tutt’altro che ineluttabile: niente controlli. Salvo
quelli della magistratura, che però arriva
necessariamente dopo: a funerali avvenuti. Dal
naufragio della Costa Concordia al crollo della casa
dello studente a L’Aquila, dalle varie Calciopoli ai
saccheggi miliardari della sanità pugliese, siciliana e
lombarda, dal crac San Raffaele ai furti con scasso
dei Lusi e dei Belsito, dalle cricche delle grandi
opere e della Protezione civile alle scalate bancarie,
dalla spoliazione di Finmeccanica alle ruberie del
caso Penati, giù giù fino alle casse svuotate di Bpm e
Mps, alle piaghe ataviche dell’evasione, degli
sprechi, delle mafie e della corruzione, quel che
emerge è un paese allergico ai controlli. Che, se ci
fossero, salverebbero tante vite e tanto denaro,
pubblico e privato. Ma la nostra regola d’arte è
quella di allargare ogni volta le braccia dinanzi alla
“tragica fatalità” o alle “mele marce”, per dare un
senso di inevitabilità a quel che evitabilissimamente
accade. Mancano i controlli a monte perché tutti si
affidano alle sentenze a valle. E poi, quando
arrivano le sentenze a valle, non valgono neppure
quelle. Formigoni, mantenuto dagli amici
faccendieri Daccò e Simone che hanno scippato 70
milioni alla fondazione Maugeri, ente privato ma
farcito di fondi pubblici dalla Regione di Formigoni,
non si dimette perché “non sono indagato”. E
perché, anche se lo fosse cambierebbe qualcosa?
Qui non tolgono il disturbo né gli indagati, né i
rinviati a giudizio, né i condannati. La giustizia
sportiva ha definitivamente condannato e radiato
Moggi dal mondo del calcio per i suoi illeciti
sportivi, revocando alla sua Juventus due scudetti
vinti con la frode, poi lo stesso Moggi è stato pure
condannato dalla giustizia penale (a Roma in
appello e a Napoli in tribunale). Eppure il
presidente Andrea Agnelli seguita a elogiarlo come
“grande manager” e rivendicare i due scudetti vinti
col trucco. E ora difende Conte, “solo indagato”.
Perché, se fosse condannato come Moggi
cambierebbe qualcosa? Battista sul Corr iere
minimizza il calcioscommesse: “Un pugno di
partite sporcate... se qualcuno imbroglia, non sono
tutti imbroglioni”, “non è vero che così fan tutti”,
ergo bisogna “essere severi con chi ha violato un
codice penale e un codice morale, ma non
dissolvere le differenze”. Bene bravo bis. Peccato
che il 7 maggio, quando la Juve ha vinto il 28°
scudetto, Battista abbia scritto che è il 30° (“t re
stelle, meritate e vinte sul campo, cucite sulla
ma glia”) e chissenefrega delle sentenze (“nessuno
ha mai pensato che una storia gloriosa fosse una
storia criminale”), frutto di “processi sommari”
perché c’entrava anche l’Inter. Dunque così fan
tutti. Ricapitolando: niente controlli prima, niente
sentenze dopo. È il Paese dell’Insaputa. Arrivederci
al prossimo funerale.

no2giugno: Dario Fo


30 maggio 2012

Photo credit should read POPPE, CORNELIUS/AFP/Getty Images
Il premio Nobel Dario Fo appoggia pienamente la campagna di E-il mensile. “Speravo che il Presidente della Repubblica avesse il coraggio giusto per uscire dagli schemi del rito da ripetere a tutti i costi. Andare contro questa parata avrebbe dimostrato la voglia di uscire dall’ovvietà e da quella continua sequela di sfilate, bambini che applaudono e tribune d’onore riempite da personaggi che sembrano usciti dai musei. Mi dispiace perché ho avuto ed ho ancora fiducia in Giorgio Napolitano, anche se dobbiamo constatare che al momento ancora non c’è stata la giusta sterzata”.

SISMA EMILIA. SONIA ALFANO (PRESIDENTE COMMISSIONE ANTIMAFIA EUROPEA): “VATICANO PAGHI RICOSTRUZIONE CHIESE”




31 MAGGIO 2012


PALERMO, 31 MAG – “C’è un grande affanno nel tentativo di recuperare le chiese crollate a seguito del sisma che ha colpito l’Emilia-Romagna. Giustissimo, si tratta anche di patrimonio artistico-culturale e non soltanto di luoghi di culto. Ma, visto e considerato che le chiese sono patrimonio immobiliare dello Stato Vaticano, che peraltro non paga l’Imu nel nostro Paese, non sarebbe quantomeno ragionevole che il Vaticano si affrettasse a concorrere almeno economicamente alle operazioni di ricostruzione di quegli edifici religiosi? Così consentirebbe ai tecnici e alle istituzioni italiane di occuparsi della ricostruzione e del risanamento delle tante piccole e medie imprese, unica vera fonte di guadagno di quella regione”.
Lo ha detto l’eurodeputata e Presidente della Commissione Antimafia Europea Sonia Alfano.

I Vigili del Fuoco: “Mandateci dai terremotati, non alla parata!”


MERCOLEDÌ 30 MAGGIO 2012



I Vigili del Fuoco aderenti all’Unione Sindacale di Base hanno emesso un comunicato nel quale denunciano i tagli alle loro strutture e agli organici, e chiedono di non essere dirottati alla inutile e costosa parata di Roma.

L’USB P.I. Vigili del Fuoco chiede la sospensione della parata del 2 giugno e chiede che i lavoratori del Corpo nazionale non vengano mandati ad esibirsi in una sfilata, ma a prestare la loro opera di soccorso tecnico urgente alla popolazione delle zone terremotate.
Per l’USB VV.F., i Vigili del Fuoco sono un ente sociale, che non ha mai avuto alcun motivo di partecipare a parate militari o carnevalesche. Ancora più incomprensibile ed inaccettabile in questo momento la scelta di impegnare un folto gruppo di lavoratori  per la sfilata del 2 giugno, lasciando al contempo alcune zone terremotate prive di operatori.
Non basta dichiarare il lutto nazionale per mettere a tacere la coscienza sulla tragedia che sta colpendo l’Emilia. Non serve “mostrare i muscoli” con una parata, quando il nostro Paese viene messo in ginocchio dai debiti ed il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco subisce continui tagli lineari. Oggi, infatti, il soccorso tecnico urgente alla popolazione è assicurato solo ed esclusivamente con il raddoppio dei turni del personale  VV.F. e con la certezza che i lavoratori non saranno retribuiti, perché il Dipartimento non ha fondi e si appresta a nuovi tagli lineari.
Tagli che oggi si dimostrano drammaticamente irresponsabili, in quanto hanno anche contribuito a rendere sempre più precaria la sicurezza nei luoghi di lavoro, come risulta dalla lugubre conta dei lavoratori morti in Emilia. In questo momento i Vigili del Fuoco sono il primo ente preposto alla incolumità privata e pubblica a ricercare la catena di responsabilità  di chi ha autorizzato la lavorazione in capannoni con travi poggiate sui pilastri senza essere ancorate. Come lavoratori si interrogano, ed interrogano quella politica che fino a ieri considerava la  sicurezza come un onere per le imprese e ha fatto in modo di ridurre, se non eliminare, i controlli per garantirla.
L’USB P.I. Vigili del Fuoco chiede dunque al Presidente della Repubblica ed al Governo di porre fine alle  parate  e di considerare i lavoratori del Corpo Nazionale per la loro professionalità.

mercoledì 30 maggio 2012

Guardia di Finanza, si dimette Rapetto. Multò i re dei videopoker per 98 miliardi


Polemico addio su Twitter del colonnello autore di numerose inchieste sul cyber crime e sulle truffe fiscali delle concessionarie del gioco d'azzardo: "Cancellati 37 anni di sacrifici, momento difficile e indesiderato"



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Era un punto di riferimento, in Italia e non solo, per tutto ciò che riguarda le cyber-truffe e le inchieste telematiche. Ed è stato l’uomo che, con le sue indagini, ha fatto infliggere una mega multa da 98 miliardi a dieci società concessionarie del gioco d’azzardo di Stato, poi ridotta dalla Corte dei conti alla cifra comunque consistente di 2,5 miliardi. Ora il colonnello della Guardia di finanzaUmberto Rapetto, 53 anni, ha annunciato le sue dimissioni su Twitter: “Chiedo scusa a tutti quelli che mi hanno dato fiducia, ma qualche minuto fa sono stato costretto a dare le dimissioni dalla GdF” scrive alle 9:44 del mattino del 29 maggio; “Qualche modulo e una dozzina di firme sono bastati per cancellare 37 anni di sacrifici e di soddisfazioni e i tanti sogni al Gat GdF”, rincara la dose mezz’ora dopo.
Rapetto era stato il fondatore del Gat (Gruppo anti-crimine telematico), poi diventato Nucleo speciale frodi telematiche. È il reparto che si occupa di contrastare le truffe via Internet, i criminali e gli attacchi informatici. Giornalista pubblicista e autore di numerose pubblicazioni – era stato nominato Ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica Italiana da Carlo Azeglio Ciampi – il colonnello era noto per numerose inchieste condotte con successo: dall’operazione “Macchianera” che portò alla luce centinaia di frodi nei confronti dell’Inps, alle indagini che avevano portato all’arresto di criminali informatici in grado di penetrare nel sistema di sicurezza del Pentagono.
 A costargli il posto, però, potrebbe essere stata proprio l’inchiesta sulle slot machine non collegate alla rete telematica dello Stato. E’ di ieri la notizia degli arresti domiciliari di Massimo Ponzellini: l’ex presidente di Bpm ha ricevuto la misura cautelare per un finanziamento sospetto proprio alla società di slot machine, Atlantis.
Le dimissioni arrivano dopo che, bocciata la sua promozione a generale, Rapetto viene rimosso dal Gat – dal prossimo luglio – e spedito a frequentare – da studente – un corso al Centro Studi della Difesa, struttura presso la quale insegnava da 15 anni. Un’assurdità, che segue la bufera politica già sollevata quando venne decisa la sua rimozione sulla quale si erano concentrate ben nove interrogazioni parlamentari provenienti da pressoché tutto l’arco politico (e nelle quali veniva sottolineato la sua “professionalità specifica e riconosciuta a livello internazionale come esperto di lotta al crimine informatico”).
Il Comando generale delle Fiamme Gialle fece sapere che le sue indagini avevano “frequentemente attirato l’attenzione dell’opinione pubblica soprattutto da un punto di vista mediatico” e che il suo allontanamento dal Gat non era “certamente una rimozione ma, al contrario, rientra nella normalità delle vicende che interessano tutti gli ufficiali della Guardia di finanza”.
Ieri, però, sono arrivate le dimissioni. Con tanta amarezza. Rapetto, oltre che a Twitter, si è affidato anche a Facebook per esprimere la sua delusione: “Grazie a tutti per la solidarietà: il momento è difficile e indesiderato…”. Evidentemente per lui l’aria era diventata irrespirabile.
Da Il Fatto Quotidiano del 30 maggio 2012

Formigoni: “Non me ne vado. Neanche se arriva un avviso di garanzia”




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Più s’avvicina la resa dei conti e più Roberto Formigoni s’allontana da ciò che egli stesso aveva promesso: “Se qualcuno dimostrasse che Daccò ha avuto un vantaggio dai rapporti con me, mi assumerò le mie responsabilità e mi dimetterò”, aveva detto. Ieri ha fatto marcia indietro, mettendo le mani avanti: “Non vedo perché dovrei dimettermi, anche se ricevessi un avviso di garanzia. Ci sono presidenti di Regione e sindaci che hanno più di un avviso di garanzia e giustamente non si dimettono, perché è un atto a tutela dell’indagato, per vedere se ha commesso o no un reato. Poi sarà la magistratura giudicante a decidere”. Il presidente della Regione Lombardia è sempre più sotto pressione per i suoi rapporti con il faccendiere Pierangelo Daccò, in carcere dal 15 novembre 2011. La Procura di Milano gli contesta di aver incassato all’estero oltre 70 milioni di euro dalla Fondazione Maugeri, che così lo “ringraziava” per i suoi interventi presso la Regione, capaci di “aprire porte”, “sbloccare pagamenti” e ottenere finanziamenti. Tutto merito della sua amicizia con Formigoni, “ringraziato” a sua volta con viaggi a Parigi, vacanze ai Caraibi, cene in ristoranti dal conto choc e yacht a disposizione per vacanze da sogno. Ha avuto a disposizione, per esempio, la barca “Ojala” per quattro mesi dell’estate 2007: con contratto d’affitto di 36 mila euro al mese, totale 144 euro. Mai pagati, dunque regalati a Formigoni e al suo convivente Alberto Perego. Nessun problema, per il presidentissimo: “Mi concedo due settimane di vacanza in estate e una a Natale, le passo sempre in Italia”, anche se “due volte mi sono concesso un’eccezione passandole alle Antille e pagandole con il mio reddito”.
Ma il diavolo sta nei particolari. Così ha fatto molta impressione il racconto del comandante di uno degli yacht di Daccò usati da Formigoni, “Ad Majora”, il quale ha rivelato che a bordo c’erano anche “un altarino” e un “gigantesco rosario”, che rendevano l’imbarcazione proprio su misura per il presidente. Comunque, altro che tre settimane di vacanze l’anno: il comandante garantisce che il presidente era ospite fisso, ogni fine settimana: “Si iniziava a giugno e si andava avanti fino a settembre. E lui non mancava praticamente mai”. Il costo di una barca di quel tipo è di circa 50 mila euro al mese. Dunque anche “Ad Majora” è stata un regalo di almeno 200 mila euro ogni estate. Dalle carte dell’inchiesta, risulterebbe anche che il presidente avrebbe versato 1 milione e 100 mila euro a Perego, che li avrebbe usati per comprare nel 2011 da Daccò, a un prezzo di favore, una super-villa in Costa Smeralda. “In decenni di lavoro”, reagisce Formigoni a L’aria che tira (La7), “ho potuto accumulare risparmi per un milione di euro, che ho prestato a un amico per acquistare una casetta, non una villa faraonica, in Sardegna”. Questa la versione di Roberto. Un prestito in amicizia, “a un amico caro che ha problemi di salute” e che da solo “non avrebbe potuto permetterselo”. Poi sferra l’attacco: “Il penale non c’è, in questa storia, ed è questo che fa tanta rabbia ai miei oppositori”. A chi gli fa osservare che per molto meno, in Germania , Christian Wulffsi è dimesso da presidente della Repubblica, Formigoni risponde: “Wulff ha riconosciuto di aver avuto vantaggi: io non ho avuto alcun vantaggio, né Daccò ha avuto vantaggi da me e, quindi, non sono colpevole di nulla. Ripeto la frase che fa arrabbiare i miei oppositori: sono limpido come acqua di fonte, perchè dovrei dimettermi?”.
Pronte le contromosse: “Confermo che ho dato incarico ai miei legali di procedere con querele e richieste di danni per numerose radio, tv e altri organi di stampa che in queste settimane hanno leso la reputazione mia e di Regione Lombardia”. E, infine, il carico: “C’è una ripetuta violazione del segreto istruttorio e ora c’è anche una violazione del segreto bancario mio e di altre persone. Sono tutti reati gravi , che dovranno essere sanzionati”. Vittima, dunque, Formigoni. “Non intendo inseguire i particolari inverosimili o del tutto falsi che stanno uscendo, anche perché stanno uscendo illegalmente. Risponderò quando avrò anch’io a disposizione queste carte”. Le “carte” sono gli interrogatori dell’amico Daccò e la documentazione bancaria e contabile regolarmente acquisita dai pm. Intanto anche il suo partito sta preparando una exit strategy. C’è chi, come il leader dei “formattatori del Pdl”, Alessandro Cattaneo, lo proclama apertamente: “La vicenda Formigoni dimostra che al quarto mandato qualcosa s’inceppa. Berlusconi ha avuto l’intelligenza di fare un passo indietro. Il centrodestra ha bisogno di credibilità e bisogna cambiare qualche volto”. Gli altri, anche molti di quelli che nel Pdl stanno zitti o dettano comunicati di sostegno al presidente lombardo, nelle retrovie stanno lavorando per trovare un’alternativa. Per evitare il disastro, in caso di elezioni regionali anticipate, c’è chi vorrebbe lanciare la candidatura dell’ex sindaco di MilanoGabriele Albertini.
da Il Fatto Quotidiano, 30 maggio 2012

CONCUSSIONE/ La riforma del Governo Monti per salvare Penati & B.



Scritto da Carlo Flai
Mercoledì 30 Maggio 2012 

Quando quel genio della Severino si è messa in testa di scompattare il reato di “concussione per induzione”, trasformandolo in “indebita induzione a dare o promettere utilità”, la maggioranza che sostiene il Governo Monti si è lasciata andare a scene di giubilo: il Pd salva l’amico Penati, il Pdl fa tana libera tutti e l’Udc – democristianamente – si porta avanti con il lavoro. In futuro potrà servire una pena ridotta, da 4-12 a 3-8 anni, e quindi una prescrizione più veloce, da 12-15 a 8-10 anni. Prescrizione che decorre, ecco un altro inghippo, da quando il reato è stato commesso, non da quando viene scoperto…

di Carlo Flai
concussione_severino_montiLa Severino? “Una ne fa, cento ne pensa”, sembra essere questo il leit motiv che accompagna il passaggio dell’attuale Ministro della Giustizia nei corridoi del Transatlantico. Con quella faccia un po’ così e quell’arietta da maestrina a pochi verrebbe in mente che stiamo parlando di un guardasigilli con un curriculum di tutto rispetto, un avvocato penalista che può vantare tra i suoi assistiti nomi quali “Salvatore Buscemi, condannato per la strage di Capaci, Gilberto Caldarozzi, condannato per i fatti del G8 di Genova, fino a Cesare Geronzi e Caltagirone”.
Paola Severino è un ministro molto vicino all’ex Premier Berlusconi, che “dopo le dimissioni diAngelino Alfano e prima della nomina di Nitto Palma, aveva pensato proprio a lei”, per ricoprire il delicato ruolo di Guardasigilli. D’altronde – come scrivevamo il 21 novembre 2011 – “nota è la sua amicizia con Augusta Iannini: moglie di Bruno Vespa, che è stata capo del dipartimento degli Affari legislativi del ministero della Giustizia, posto-chiave per tutte le proposte volte alla tutela del Cavaliere”, cui la Severino ha fatto sentire la propria vicinanza, con dichiarazioni scioccanti, anche in occasione della legge sulle intercettazioni telefoniche e sui pentiti di mafia.
Ricordate cosa blaterava B. in proposito? La Severino aveva imparato la lezioncina a memoria: per cui le intercettazioni hanno un “rilevantissimo costo, pari al 33 per cento delle spese di giustizia e producono nei magistrati una perdita di capacità nell’utilizzo di tecniche investigative tradizionali”; pentiti, invece, sono “un male necessario con effetti simili a quelli della chemioterapia nel corpo di un ammalato di tumore, e cioè a volte peggiori delle manifestazioni della malattia”.
Premesso ciò, non stupisce che l’attuale Ministro della Giustizia sposi la causa del nuovo ddl corruzione, in cui viene diminuita la pena - e di conseguenza la prescrizione - per il reato di concussione, vale a dire il reato più diffuso contro la pubblica amministrazione, quello che scatenò la grande stagione di Tangentopoli.
Il reato verrà derubricato da “concussione per induzione” a “indebita induzione a dare o promettere utilità”; il “concusso” da vittima diventa “concorrente nel reato”, quindi punibile, per cui le sue testimonianze avranno valore solo se riscontrate (quanto tempo ci vorrà per fare questo?). A fronte di maggiori ostacoli nel percorso investigativo, c’è una riduzione di pena, da 4-12 a 3-8, e quindi una prescrizione più veloce, da 12-15 a 8-10.
Se vi state chiedendo quali processi eccellenti potranno beneficiare dell’ “indebita induzione a dare o promettere utilità”, sappiate che la Procura di Monza e quella di Milano si stanno mangiando le mani: Filippo Penati, ex vicepresidente della Lombardia, a processo per presunte mazzette, e Silvio Berlusconi, per il caso Ruby, rischiano di essere i primi e più famosi a godere dei nuovi privilegi imposti dalla Severino. Che sulla Giustizia si muove in perfetta continuità con il recente passato del ventennio di Arcore.

NUOVO SONDAGGIO IPSOS PER BALLARÒ: L'ASCESA DEL MOVIMENTO 5 STELLE - GRAFICO


Gli italiani chiedono a gran voce un rinnovamento della classe dirigente



Redazione Cadoinpiedi.it
Gli italiani chiedono a gran voce un rinnovamento della classe dirigente
Sondaggio Ipsos per Ballarò trasmesso nella puntato di ieri 29 Maggio. Come evidenziano i numeri, tutti i partiti subiscono un calo. Si salvano SEL, FDS e La Destra.

Portentosa la crescita del Movimento 5 Stelle, che sfiora il 20%, sintomo del fatto che gli italiani chiedono a gran voce un rinnovamento della classe dirigente.

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Ho sognato il Papa, di Marco Travaglio



Ho sognato papa Ratzinger che va a trovare il
suo ex aiutante di camera Paolo Gabriele in
camera di sicurezza e gli domanda se ha
portato quei documenti fuori dal Vaticano
e, se sì, perché. Paolo Gabriele spiega di averlo
fatto perché vuol bene a lui e alla Chiesa, è un
credente vero e ha letto nel Vangelo che “opor tet
ut scandala eveniant”. Per questo, insieme ad altri,
aveva riposto grandi speranze nell’opera di
moralizzazione avviata da monsignor Viganò, su
preciso mandato di papa Ratzinger, nel marciume
degli appalti vaticani. E, quando il cardinal Bertone
l’aveva silurato spedendolo a fare il nunzio
apostolico a Washington, aveva deciso di non
restare inerte dinanzi a una restaurazione che
avveniva, ancora una volta, alle spalle del papa.
Così come, alle spalle del papa, c’erano cardinali
che andavano in Cina a preannunciarne la fine
imminente, altri che già programmavano la sua
successione credendosi lo Spirito Santo, altri
ancora che trescavano con i politici per perpetuare
l’esenzione fiscale agli edifici religiosi ma
commerciali in cambio di voti. Insomma, ha visto
una gerarchia autoreferenziale tutta intenta alle
lotte di potere e disinteressata alla religione, alla
spiritualità, alla teologia, alla liturgia, alla pastorale,
profittare della disattenzione del papa che, ra ra
avis, si occupa solo di teologia, liturgia e pastorale e
per questo è considerato un papa minore,
sprovveduto, ingenuo.
Ho sognato papa Ratzinger che, ascoltato
Paolo Gabriele, si raccoglie in un lungo
silenzio. Poi lo abbraccia, ordina ai gendarmi
di liberarlo e restituirlo alla moglie e ai tre
figli. Poi scioglie la piccola inquisizione
creata per indagare sui corvi, spiegando che
non c’è nessun corvo: lo scandalo è il
contenuto dei documenti usciti dal Vaticano,
non il fatto che siano usciti. Poi concede la
grazia a Paolo Gabriele, lo reintegra nelle sue
funzioni, lo ringrazia pubblicamente
nell’Angelus domenicale e lo esibisce al suo
fianco alla prima uscita in piazza San Pietro.
Ho sognato papa Ratzinger che chiama a
Roma monsignor Viganò e lo riporta alla
guida del Governatorato, ringraziandolo per
l’opera di bonifica avviata (riportando in un
solo anno i conti da meno 8 milioni di euro a
più 34) e pregandolo di proseguirla senza
guardare in faccia nessuno. Poi convoca il
cardinale Bertone e gli comunica che ha già
fatto troppi danni, dunque non è più il
segretario di Stato: se vuole, s’è liberato un
posto di nunzio apostolico a Washington.
Ho sognato papa Ratzinger che si libera delle suore
cielline e dei membri dell’Opus Dei che lo
attorniano, ringraziando queste due realtà ecclesiali
che però è meglio restino lontane dai sacri palazzi
per evitare equivoci, imbarazzi e sospetti. Poi
convoca i direttori di Tv2000, Dino Boffo, e
dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian,
perché Boffo gli ripeta in faccia le accuse scagliate
nella famosa lettera a Bertone a proposito del
dossier passato al Giornale, e perché Vian gli
risponda. Dopodiché rimuove sia Boffo, perché
condannato per molestie, sia Vian, perché c’è
bisogno di aria nuova anche all’Osservatore.
Ho sognato Ratzinger che raduna il collegio
cardinalizio e, in bavarese stretto, scandisce:
“Kardinali karissimi, il Papa sono io e non ho
alcuna intenzione di dimettermi, né di
defungere. Prego il Padreterno che mi dia il
tempo di farvi capire che siamo tutti qui per
annunciare la parola di Dio e la Resurrezione
di Cristo, anche se qualcuno di voi non s’è
mai posto il problema. Se vi sta bene, ok. Se
non vi sta bene, s’è appena liberata la camera
di sicurezza”.