D'un tratto nel folto bosco

Non c’era nessuno in tutto il paese che potesse insegnare ai bambini che la realtà non è soltanto quello che l’occhio vede e l’orecchio ode e la mano può toccare, bensì anche quel che sta nascosto alla vista e al tatto, e si svela ogni tanto, solo per un momento, a chi lo cerca con gli occhi della mente e a chi sa ascoltare e udire con le orecchie dell’animo e toccare con le dita del pensiero.
Amos Oz


venerdì 19 aprile 2013

Giuseppe Alfano


Giuseppe Alfano (Barcellona Pozzo di Gotto, 4 novembre 1945 – Barcellona Pozzo di Gotto, 8 gennaio 1993)

Ringraziamo Sonia Alfano, figlia di Beppe Alfano, che ci ha fornito questo documento e ci ha consentito di pubblicarlo sul sito del nostro forum


La Biografia di Beppe Alfano


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di Sonia Alfano


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Sonia Alfano, nata a Messina il 15 ottobre 1971 è l’attuale Presidente della Commissione Antimafia Europea. Potete trovare una biografia completa, con l’impegno antimafia di Sonia Alfano all’indirizzo: http://www.soniaalfano.it/chi-sono/


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Quella di mio padre, Beppe Alfano, corrispondente de La Sicilia, è la storia di una morte annunciata. Lui stesso me l’aveva rivelata anticipatamente, una sera di novembre del 1992. Mi disse che era stato ‘avvertito’, che non lo avrebbero fatto arrivare vivo al 20 gennaio. Morì, infatti, l’8 gennaio del 1993.

Beppe+Alfano

Quella della mia famiglia è una storia di minacce, esplicite o larvate. Ed è una storia di depistaggi praticati da diversi attori: persino certa informazione (per così dire, perché chiamarla così fa male) ha remato contro la verità e la giustizia, facendo da megafono a colletti presuntamente bianchi ma in realtà luridi, intenti a diffondere le proprie memorie difensive spesso anche dalle pagine di giornali
eterodiretti. ‘Provincia babba’ (stupida): così era generalmente apostrofata la provincia di Messina, nonostante quella di mio padre fosse stata la trentesima esecuzione mafiosa nell’ultimo anno. Messina, invece, non era affatto provincia ‘babba’.
Purtroppo era terra di criminalità scaltrissima e viscida, impastata di malsane relazioni istituzionali. E proprio Barcellona Pozzo di Gotto, dove morì Beppe Alfano, era (ed è) uno dei più importanti crocevia di Cosa Nostra. Da lì partì il telecomando utilizzato per far
esplodere l’autostrada all’altezza di Capaci mentre transitava il giudice Giovanni Falcone con la moglie e la scorta. Lì fece tappa un segmento importante della trattativa Stato-mafia, attraverso la figura del capomafia barcellonese Rosario Pio Cattafi, mafioso di Stato, verrebbe da dire, alla luce delle sue liaisons con personaggi istituzionali, magistrati, forze dell’ordine e servizi segreti. La centralità di Barcellona nelle dinamiche mafiose regionali e nazionali, così come la capacità della mafia locale di penetrare nel perimetro del potere ufficiale, non è stata ancora del tutto riconosciuta, nonostante le inequivocabili risultanze emerse da varie parti.

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Il primo pezzo di cronaca sul quotidiano La Sicilia Beppe Alfano lo scrisse quando fu ucciso Lorenzo Chiofalo, 18 anni, figlio di quel Chiofalo che qualche anno prima aveva sfidato la famiglia mafiosa tradizionale, scatenando la guerra a Barcellona. Da quella sera, mio padre diventò corrispondente. Era un cane sciolto, quel giornalista di provincia. Un cane sciolto con un gran fiuto per le notizie, che cercava, trovava, verificava e diffondeva. Troppo. Troppo, perché mio padre scriveva e al tempo stesso denunciava. Ricordo il suo entusiasmo per l’inaugurazione del Tribunale di Barcellona e per l’arrivo di un nuovo magistrato, Olindo Canali, giunto dalla apparentemente lontana Brianza, che vent’anni dopo sarà condannato per aver testimoniato il falso durante il maxiprocesso alla mafia barcellonese.
Mio padre amava Barcellona Pozzo di Gotto, la Sicilia, la sua terra. Per questo non riusciva a chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie e al malaffare. Raccontava ciò che molti altri suoi colleghi non vedevano e non sentivano. Per questo suo amore e questa sua incapacità di adeguarsi all’omertà, fu ucciso. Sapeva che lo avrebbero eliminato. Ce lo disse e non volle fare alcun passo indietro. Trascorreva i giorni ad osservare e le notti a scrivere. Si occupava di decine di inchieste importanti: dalle truffe agrumicole all’Ue, al patrimonio dell’Aias di Milazzo, alla presenza di latitanti sul territorio barcellonese.
Aveva scoperto, infatti, che il super latitante Benedetto Santapaola ‘soggiornava’, comodamente, a pochi passi da casa nostra. Lo disse al giudice Olindo Canali, nella speranza che questi lo facesse arrestare. Invece no. Santapaola fu lasciato libero di ‘operare’ sul territorio e mio padre, che ne aveva denunciato la presenza, fu assassinato pochi mesi prima che Santapaola fosse catturato (il 18 maggio 1993), poco dopo essersi allontanato da Barcellona (il 29 aprile 1993), dove latitava. Oggi non è più leggenda, ma storia.
Lo sappiamo per certo, perché nel corso delle prime indagini sul delitto Alfano, il P.m. Canali delegò al R.o.s. di Messina alcune intercettazioni telefoniche e ambientali, dalle quali emerse la presenza in zona del latitante (che comunque non fu cercato né, tantomeno, catturato). Era il 5 aprile 1993, alle ore 17.05, quando Domenico Orifici diceva al figlio: ‘Se tu non svieni, se tu non svieni e non lo dici a nessuno, io ti dico chi era quella persona che c’era qua dentro poco fa. Era Nitto Santapaola. Zitto!’.
Nel tardo pomeriggio del 6 aprile 1993, poi, a Terme Vigliatore arrivò l’allora capitano Sergio De Caprio (meglio conosciuto come ‘Ultimo’), in compagnia di altri uomini del R.o.s., compresi l’allora maggiore Mario Parente e l’allora capitano Giuseppe De Donno. De Caprio, coi suoi uomini, si appostò non intorno agli uffici di Orifici (nei quali erano attive le cimici e nei quali era spesso presente Santapaola) ma intorno alla vicina villa di un imprenditore della zona, Mario Imbesi. Visto uscire dalla villa un fuoristrada, De Caprio lo inseguì. Si disse, poi, convinto di aver riconosciuto nel conducente, unica persona a bordo del mezzo, un pericoloso latitante. Il fuoristrada fu preso a pistolettate da Ultimo. De Caprio finì indagato per tentato omicidio dalla Procura di Barcellona Pozzo di Gotto, P.m. il solito Canali, che a ottobre 1993 richiese l’archiviazione.
Nel decreto di archiviazione il Gip scrisse: ‘Esattamente il P.m. nota come dalle carte processuali risultino senza ombra di dubbio gli estremi del delitto di tentato omicidio … Censurabile appare l’operato del De Caprio, sotto il profilo della negligenza ed imperizia mostrata nella situazione concreta … E’ da escludere la sussistenza della scriminante della legittima difesa’.
Secondo due testimoni (un funzionario di polizia, Castrogiovanni, e un pm, Olindo Canali) e secondo tutti i quotidiani, Ultimo era convinto, quel pomeriggio, di inseguire Santapaola, ma lui stesso, sentito nell’ottobre del 2008 nell’ambito delle indagini sui mandanti occulti dell’omicidio Alfano, al Pm di Messina raccontò tutt’altro: ‘Con riferimento alla sparatoria svoltasi nel comune di Terme Vigliatore, che non riesco a collocare temporalmente con precisione, sono stato sentito con altri colleghi dal dr. Canali. Quell’evento si svolse in maniera del tutto casuale e fu determinato dalla sproporzionata reazione del soggetto che poi scoprimmo essere del tutto privo di interesse investigativo.
Ricordo che eravamo venuti a Messina per una normale riunione di coordinamento
investigativo tra i vari reparti siciliani. Sulla via del ritorno, percorrendo la litoranea
Messina-Palermo, in un tratto di strada ricadente nel comune di Terme Vigliatore, uno dei militari che era con me ritenne di individuare, in un soggetto a bordo di un fuoristrada nero, il latitante Aglieri’ . Quindi De Caprio viene chiamato a una riunione al Ros di Messina, che in quel momento intercetta Santapaola, e non gli viene detto niente. Poi deve tornare a Palermo e non si accorge che dal 1970 a Messina è stata costruita l’autostrada, coscché decide di percorrere la statale. Poi un suo collaboratore gli dice di aver visto (ma non sulla statale, in una stradella a 50 metri dal mare) uno che somiglia ad Aglieri e lui gli corre dietro e spara. Il mio avvocato ha denunciato De Caprio per il delitto di false dichiarazioni al P.m., previsto dall’art. 371bis del codice penale.
Ma torniamo all’8 gennaio 1993: mio padre era andato alla stazione a prendere mia madre che tornava dal lavoro, dall’ospedale di Patti. Giunti sotto casa, vide qualcuno, o qualcosa, e ordinò a mia madre di salire a casa e chiudersi dentro. Lui, invece, montò in macchina e andò incontro alla morte.
Pochi minuti dopo, alla redazione del giornale era arrivata la notizia di un delitto eccellente. Mi chiamarono per sapere dove si trovasse mio padre: avevano bisogno di lui per capire cosa fosse successo. Così, mentre ero al telefono con la redazione, sentii la voce fuori campo di Emilio, un giornalista de ‘La Sicilia’, che annunciava: “Hanno ammazzato Alfano”. Lo appresi così. Poggiai la cornetta al suo posto e, voltandomi verso mia madre, dissi: “Hanno ammazzato papà”. Sono attimi che non si possono dimenticare.

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Quella sera casa nostra fu invasa da persone sconosciute, in borghese. Gente dei servizi che rovistò in tutti i cassetti e gli armadi alla ricerca di qualcosa. Quella sera, a Barcellona, c’erano tutti. La mia famiglia, così come tutti i cittadini onesti, attende ancora di sapere come mai. Cosa ci facevano il Ros, lo Sco e il Sisde a Barcellona l’8 gennaio del 1993?
Era un venerdì. Ogni venerdì sera Beppe Alfano, da dietro i vetri del suo studio, osservava un gruppo di uomini che si riunivano in un luogo poco distante da casa. Lui era convinto: erano massoni affiliati a una loggia occulta. Quella sera, però, non guardò da dietro i vetri. Andò dritto incontro al suo assassino.
Ci sono delle sentenze e delle condanne definitive per l’omicidio di mio padre: Antonino Merlino, esecutore materiale, 21 anni e 6 mesi di carcere; Giuseppe Gullotti, boss della mafia barcellonese (colui che, secondo quanto riferito da Giovanni Brusca, consegnò personalmente il telecomando per la strage di Capaci), organizzatore dell’omicidio, condannato a 30 anni. Rimangono però ancora impuniti i mandanti ‘occulti’, quelli sui quali la procura di Messina ha aperto le indagini, ancora in corso, nel 2003, a dieci anni dal delitto.  Oggi il sistema di potere che per decenni ha ammorbato l’aria di Barcellona Pozzo di Gotto sta per essere scardinato. Le prima pedine sono state abbattute dalla verità. Olindo Canali è stato condannato per aver testimoniato il falso ed è fuggito a Milano, il procuratore generale Antonio Franco Cassata è stato condannato per diffamazione nei confronti del compianto prof. Adolfo Parmaliana e ha chiesto il pensionamento anticipato di un anno, il boss dei boss Rosario Pio Cattafi è stato arrestato e si trova al 41bis, sebbene nell’ambito del processo Mori, dove ha deposto sulla trattativa tra Stato e mafia, sia stato portato in aula, primo e unico caso in Italia.

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