La disobbedienza civile è una
forma di lotta politica, attuata da un singolo individuo o più spesso
da un gruppo di persone, che comporta la consapevole violazione di una
precisa norma di legge, considerata particolarmente ingiusta, violazione
che però si svolge pubblicamente, in modo da rendere evidenti a tutti e
immediatamente operative le sanzioni previste dalla legge stessa.
Le finalità politiche
L'obiettivo di chi attua questa strategia di lotta è quello di
evidenziare, mediante la propria disobbedienza, l'ingiustizia, a suo
avviso palese, della norma di legge e le conseguenze che essa comporta.
In seguito a un atto di disobbedienza civile, come per ogni violazione
di legge, segue il relativo accertamento in sede penale; nell'ambito del
processo, gli esponenti di questo tipo di lotta possono perciò
proseguire la propria azione politica, denunciando pubblicamente i
motivi per cui ritengono errata la legge che contestano. In ogni caso la
disobbedienza civile non può considerarsi una motivazione attenuante o
esimente rispetto alla sanzione penale, che deve necessariamente seguire
l'avvenuta violazione di legge, fino all'eventuale cambiamento della
legge stessa; ma ciò solo se si considera la "ragion di stato" come
istanza superiore a quella della coscienza dell'individuo. Se invece si
parte dal presupposto che lo stato è una costruzione umana, che non è
infallibile, e che è diritto dovere dei cittadini di vigilare affinché
esso non abusi del suo potere, allora, in questa prospettiva la
disobbedienza civile appare salvifica e meritoria.
Cenni storici
Henry David Thoreau con Il saggio "Disobbedienza Civile" datato 1849 fu
il primo a parlare di Disobbedienza civile, la cui opera ispirò
successivamente Gandhi. Negli Usa i diritti civili dei neri, pur
concessi sulla carta, sono stati resi effettivi solo dalle campagne di
disobbedienza civile di massa degli anni sessanta del novecento.
L'emancipazione nazionale indiana non sarebbe stata possibile senza le
azioni di disobbedienza civile di Gandhi, che parlava anche di
resistenza civile. Lo stesso Gandhi affermava: "noi cessiamo di
collaborare coi nostri governanti quando le loro azioni ci sembrano
ingiuste. Questa è la resistenza passiva".
In Italia ebbe una buona
notorietà il saggio del 1965 L'obbedienza non è più una virtù di Don
Lorenzo Milani, che appoggiava l'obiezione di coscienza contro il
servizio militare.
Uno dei massimi analisti (oltre che fautore)
della disobbedienza civile contemporanea è lo storico radicale americano
Howard Zinn. Nella sua celebre raccolta di saggi "Disobbedienza e
democrazia", egli ci ricorda come "E' giusto disobbedire a leggi
ingiuste, ed è giusto disobbedire alle sentenze che puniscono la
violazione di quelle leggi". Nello stesso testo l'autore ci mostra poi,
con resoconti e testimonianze, come molti diritti civili negli Usa siano
stati conquistati solo con la disobbedienza: le stesse giurie, chiamate
dallo stato a giudicare i disobbedienti, pronunciavano verdetti di
assoluzione (jury nullification), dopo essere state sensibilizzate dalla
disobbedienza civile stessa, a dimostrare che l'obiezione di coscienza
può essere più importante della ragion di stato.
Fra gli esponenti
politici che si sono resi attivamente partecipi di campagne di
disobbedienza civile, in Italia sono particolarmente noti gli attivisti
del Partito Radicale, a partire dal leader Marco Pannella e da Emma
Bonino, i quali hanno utilizzato questa forma di lotta per affermare il
diritto all'aborto e la diffusione dell'antiproibizionismo, in
particolare in materia di legalizzazione delle droghe leggere. La
disobbedienza civile è invocata dal movimento NO TAV in Val di Susa.
La disobbedienza civile è stata applicata anche dai movimenti
studenteschi e popolari che hanno realizzato le rivoluzioni colorate in
alcuni stati post comunisti, ispirati dal pensiero e dalle tattiche
teorizzate da Gene Sharp.
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