Per metà “bancomat” destinato ad alimentare il sistema di corruzione politico nazionale, e per metà centro dispensatore di incarichi, consulenze e prebende per mogli, amanti e figli dei potenti di turno. Dopo la Fiat, Finmeccanica è la seconda holding industriale d’Italia: produce aerei, elicotteri, locomotive, carri armati, missili, satelliti e centri di telecomunicazione, con una spiccata vocazione per gli strumenti di morte da esportare ad ogni esercito in guerra. Dal 2009 è tra le dieci regine del complesso militare industriale mondiale e ha intrecciato partnership con i giganti d’oltreoceano moltiplicando ordini e commesse. Una gallina dalle uova d’oro per manager e azionisti, inclusi il ministero dell’economia e delle finanze, che ancora controlla il 30,2% del pacchetto azionario.
E’ il ritratto che di Finmeccanica traccia Antonio Mazzeo nel suo blog, in un intervento ripreso da “Megachip”: «Grazie ad un complesso meccanismo di scatole cinesi, rigorosamente con sedi all’estero, Finmeccanica gode d’immensi privilegi fiscali al limite dell’evasione», finendo anche al centro di indagini giudiziarie «come quella sugli affari a suon di tangenti tra l’Enav, l’ente nazionale per l’assistenza al volo, e la controllata Selex Sistemi Integrati che ha costretto il potente amministratore delegato di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini e la moglie Marina Grossi (ad di Selex) ad abbandonare prematuramente i profumatissimi incarichi». Il successore di Guarguaglini, Giuseppe Orsi, «è indagato per corruzione internazionale e riciclaggio relativamente alla fornitura di 12 elicotteri Agusta-Westland alle forze armate dell’India», una commessa che secondo i magistrati romani avrebbe comportato il versamento di tangenti per 41 milioni di euro ad alcuni funzionari indiani e di 10 milioni alla Lega di Bossi.
Sempre a Roma s’indaga sulle presunte tangenti versate durante la vendita al Comune di bus prodotti da Breda-Menarini, altra controllata Finmeccanica. E pure sulle consulenze “inutili” che sarebbero state affidate a Lisa Lowenstein, cittadina statunitense ed ex moglie di Vittorio Grilli, ministro dell’economia del governo “tecnico” diMario Monti. Nello scorso ottobre è stato ordinato l’arresto dell’ex direttore commerciale di Finmeccanica, Paolo Pozzessere, nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte tangenti per la vendita di aerei ed elicotteri a Panama e Russia e, con Fincantieri, di unità navali al Brasile (nelle indagini è stato coinvolto anche l’ex ministro Claudio Scajola), mentre un mese prima era finito in manette Pierluigi Romagnoli, ex manager Alenia-Finmeccanica e responsabile export di Eads, il consorzio internazionale di cui l’holding è socia nella produzione dei cacciabombardieri “Eurofighter Typhoon”. Romagnoli è stato accusato dibancarotta fraudolenta e riciclaggio: nel mirino degli inquirenti, la vendita sospetta di 15 aerei alle forze armate austriache.
«L’ultimo anno – continua Mazzeo – è stato uno dei più difficili della storia di Finmeccanica anche dal punto di vista economico-finanziario». Nel 2011 l’azienda ha perso due miliardi di euro, contro il mezzo miliardo guadagnato nel 2010. Ordini in calo e occupazione a picco: nell’ultimo biennio, Finmeccanica è passata da 75.000 a 69.000 dipendenti, con un indebitamento che supera i 4 miliardi e mezzo mentre il valore delle azioni è precipitato a 3,8 euro, contro i 21,2 di cinque anni prima. «A complicare il quadro è giunta qualche settimana fa la notizia del declassamento del rating dell’azienda da parte di “Moody’s”», relativo alla capacità di ripagare i debiti a breve termine. Crisi accelerata dalla scelta di puntare tutto sul settore degli armamenti, sostiene Mazzeo. Nonostante ciò, l’ultimo piano di rilancio aziendale scommette quasi esclusivamente nel settore aerospaziale e delle telecomunicazioni militari. Tra gli obiettivi a breve e medio termine: la dismissione delle aziende del settore energetico (sprerando di ricavarne un miliardo di euro), il taglio di oltre 900 dipendenti nelle industrie aeree e l’emissione di “corporate bond” per 750 milioni di euro, «misura che sovraesporrà debitoriamente l’holding con il sistema bancario».
Intanto proseguono le ristrutturazioni e le fusioni aziendali nel settore a prevalente produzione bellica. Il polo aeronautico (Alenia e Armacchi) sforna velivoli come i caccia “Tornado” ed “Eurofighter”, ed è capo-commessa per l’Italia del contrioverso F-35, mentre partecipa allo sviluppo di un nuovo drone, l’Ucav. Nel settore degli elicotteri militari, la holding conta su Augusta-Westland, che produce velivoli d’assalto come l’A-129 “Mangusta”. Grazie ad Oto Melara, Finmeccanica controlla inoltre una fetta del mercato internazionale delle artiglierie navali e terrestri, dei carri armati, dei blindati e dei sistemi antiaerei. Attraverso le controllate Selex-Galileo, il gruppo si è affermato nel business dell’elettronica e dei sistemi di comando, controllo, comunicazioni e intelligence, mentre il settore spaziale è coperto Telespazio, joint-venture con la francese Thales, tra i principali operatori mondiali nella gestione di satelliti, civili e militari. Altra joint-venture di importanza strategica è Mbda, azienda leader nella produzione di sistemi missilistici, dove Finmeccanica è presente insieme ai colossi europei Bae Systems e Eads.
«Nonostante l’ampio ventaglio di clienti internazionali (compresi quei paesi che dovrebbero essere posti sotto embargo perché belligeranti o violatori dei diritti umani), nell’ultima decade è cresciuto il pressing e il corteggiamento dei dirigenti di Finmeccanica verso l’Alleanza Atlantica e il suo paese-guida, gli Stati Uniti d’America». E gli affari non sono certo mancati, racconta Mazzeo: forniture di supporto per “Eurofighter” e “Tornado”, programmi avanzati di sicurezza cibernetica, sviluppo di centri di telecomunicazione satellitare in Belgio, Grecia e Turchia. “Made in Italy” anche l’avanzato sistema “Nacma” per siti terrestri in tutta Europadestinati al controllo dello spazio aereo e, sempre in ambito Nato, Finmeccanica è in corsa per aggiudicarsi una porzione consistente del business relativo all’acquisizione di nuovi sistemi di comando, telecomunicazione e intelligence per la gestione di missili balistici.
Sistemi radar “made in Italy” per la «costruzione di un’architettura anti-missili balistici» sarebbero stati testati «con successo» lo scorso settembre, quando sono stati provati anche i «sistemi di difesa da missili superficie-aria a medio raggio» di coproduzione franco-italiana e il nuovissimo “Principal Anti Air Missile System” (Paams), il sistema di armi anti-aeree che sarà installato a bordo delle fregate europee di nuova generazione “Horizon”. «L’holding italiana – prosegue Mazzeo – si è preparata da tempo all’appuntamento con lo scudo anti-missili che la Nato intende dislocare anche “fuori dai confini geografici dell’alleanza” per la “protezione” delle unità impegnate in operazioni internazionali». Nel settembre 2005, Finmeccanica è entrata a far parte di Alliance Shield, un consorzio di cui fanno parte anche Bae Systems e Lockheed Martin. Dello stesso periodo il consolidamento della partnership di Finmeccanica con il colosso statunitense delle armi, produttore dell’F-35 e del sistema anti-missile “Meads”, destinato a sostituire i “Patriot”.
Mentre Finmeccanica accede alle commesse del Pentagono, tutti i governi italiani – Prodi, Berlusconi, Monti – concedono il territorio per installazioni militari per il riarmo di Washington: dalla base Dal Molin di Vicenza a Sigonella, “capitale mondiale dei droni”, senza contare i comandi Us Africom di Vicenza e Napoli e il controverso impianto Muos di Niscemi, di cui proprio Lockheed è il principale contractor. «Una specie di do ut des, commesse in cambio di basi, facilitato dall’incondizionato sostegno italiano agli interventi Usa e Nato in Afghanistan e Iraq nel nome della “lotta al terrorismo” internazionale», sottolinea Mazzeo. Dopo che l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, ora ministro, fu promosso a capo di Stato maggiore della difesa nel 2004, l’Italia ha accolto le maggiori richieste di Washington, come quella di installare in Sicilia il Muos e “Global Hawk”, trasformando l’intera penisola «in piattaforma avanzata per le nuove operazioni delle forze armate nel continente africano».
La sapiente tessitura di relazioni politiche, diplomatiche, militari e industriali – aggiunge Mazzeo – sarà premiata nel 2008 dalla firma del trattato siglato da Ignazio La Russa e Robert Gates, in base al quale «ogni governo dà accesso al suo mercato della Difesa all’industria dell’altro paese», standardizzando procedure, forniture e sistemi d’arma. Ma quello che era stato festeggiato come un affare da 6-7 miliardi di dollari, continua Mazzeo, rischia di trasformarsi in un flop: commesse a rilento, dopo i tagli decisi da Obama, che ha irrigidito la politica protezionista per fronteggiare la crisi americana oppure imposto clausole-capestro come nel caso dell’acquisizione della Drs Technologies, una delle maggiori fornitrici alle forze armate Usa di apparecchiature di comando e controllo su mezzi terrestri e aeronavali. Per impossessarsene, Finmeccanica ha dovuto sborsare miliardi lasciando però il controllo dell’azienda agli americani, padroni assoluti delle “informazioni sensibili”, i segreti militari che, di fatto,confermano la nostra sudditanza rispetto alle scelte strategiche degli Usa.
«La progressiva americanizzazione del complesso industriale militare nazionale è confermata pure dalla scalata azionaria di importanti fondi d’investimento privati Usa», conclude Mazzeo. Meno di un anno fa, tra i maggiori azionisti di Finmeccanica comparivano Tradewinds Global Investors, Deutsche Bank, BlackRock e Grantham Mayo Van Otterloo & Co. Ad essi vanno aggiunti società e fondi-pensione statunitensi che detengono rilevanti pacchetti azionari. «Insieme, il capitale finanziario a stelle e strisce dovrebbe controllare già più del 18% della sempre meno italiana Finmeccanica». Di contro, a riprova del processo di globalizzazione di quello che ormai legittimamente può essere definito il complesso militare-finanziario-industriale, i gruppi bancari italiani più importanti, contestualmente azionisti e creditori di Finmeccanica – attraverso una moltitudine di fondi flessibili, bilanciati e misti – hanno fatto incetta di importanti quote azionarie dei colossi bellici Usa come Lockheed Martin, Northrop Grumman, Boeing, General Electric, L-3 Communications. «Un’evoluzione dei mercati che nell’ultima decade ha reso sempre più inestricabile la partnership di guerra Italia-Stati Uniti d’America».
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