D'un tratto nel folto bosco

Non c’era nessuno in tutto il paese che potesse insegnare ai bambini che la realtà non è soltanto quello che l’occhio vede e l’orecchio ode e la mano può toccare, bensì anche quel che sta nascosto alla vista e al tatto, e si svela ogni tanto, solo per un momento, a chi lo cerca con gli occhi della mente e a chi sa ascoltare e udire con le orecchie dell’animo e toccare con le dita del pensiero.
Amos Oz


martedì 19 marzo 2013

Cinque nuovi testimoni accusano Bergoglio


- Horacio Verbitsky -
Il reporter che meglio ha indagato sulle vicende della dittatura argentina ha raccolto nuovi racconti sulle possibili responsabilità dell’allora Padre provinciale gesuita.
Cinque nuove testimonianze, si sono presentate spontaneamente a seguito dell’articolo “Su pasado lo condena”, e confermano il ruolo del cardinale Jorge Bergoglio nella repressione del governo militare sui ranghi della Chiesa cattolica che oggi presiede, tra cui la scomparsa di sacerdoti. Si tratta di una teologa che per decenni ha insegnato catechismo nelle scuole della diocesi di Morón, dell’ex Superiore di una confraternita sacerdotale che è stata decimata dalle sparizioni forzate, di un laico della stessa confraternita che denunciò i casi in Vaticano, di un sacerdote e di un laico, entrambi rapiti e torturati.
Due mesi dopo il colpo di Stato militare del 1976, il Vescovo di Morón, Miguel Raspanti, ha cercato di proteggere i sacerdoti Orlando Yorio e Francisco Jalics perché temeva che fossero sequestrati, ma Bergoglio si oppose. Questo è quanto dichiara l’ex insegnante di catechismo della scuola della Diocesi di Morón, Marina Rubino, che in quel periodo stava studiando teologia al Colegio Maximo de San Miguel, dove viveva Bergoglio. Per questo motivo li conosceva entrambi. Inoltre era stata un’allieva di Yorio e di Jalics e conosceva il rischio che correvano entrambi. Marina ha deciso di raccontare la storia dopo aver letto un articolo sul libro che scarica da qualsiasi responsabilità Bergoglio.
Marina Rubino vive a Morón da sempre. Nel Collegio del Sacro Cuore di Castelar insegnava catechismo ai ragazzi e formava i genitori, cosa che le sembrava ancora più importante. «Una volta al mese ci incontravamo con loro. Era un bel lavoro. Questa esperienza durò quindici anni». Inoltre, tenne corsi di introduzione alla Bibbia in giro per l’Argenitna. «Preparavamo un foglietto con i commenti sulle letture della domenica e volevamo che in questo modo le comunità trovassero argomentazioni su cui riflettere». Da quando è andata in pensione, insegna tessitura nei centri culturali, nei centri di recupero o nelle singole abitazioni.
Marina non volle entrare nel seminario di Villa Devoto, perché non le interessavano le letture, ma solo la Bibbia. Nel 1972 iniziò a studiare teologia presso la Universidad del Salvador e fece la sua carriera scolastica al Colegio Maximo de San Miguel. Nel primo anno studiò con il Professor Francisco Jalics e nel secondo con Orlando Yorio. Mentre studiava, coordinava il catechismo nel Collegio del Sacro Cuore di Castelar, dove viveva anche la religiosa francese Suor Leonie Duquet.
«I tempi erano duri. Per aver fatto, nel collegio, una scelta per i poveri perché avevamo preso sul serio il Concilio Vaticano II e la riunione del Celam di Medellin, avevamo perso la metà degli studenti. Ma continuammo per questa strada per educare le persone ad avere una mente più aperta alla realtà e all’impegno per i più bisognosi. Sostenevamo che la fede deve rafforzare questi atteggiamenti e non il contrario».
Il Vescovo era Miguel Raspanti, che allora aveva sessantotto anni ed era stato ordinato nel 1957, negli ultimi anni del papato di Pio XII. Era un uomo ben intenzionato che fece ogni sforzo per adattarsi ai cambiamenti del Consiglio, a cui partecipò. Dopo il movimento di protesta del 1969, il “Cordobazo” cominciò a ripudiare le strutture ingiuste del capitalismo e a chiedere l’impegno per «la liberazione dei nostri fratelli che hanno bisogno».
Ma il problema più grave che vidi a Morón era l’aumento delle tasse sulle piccole imprese e sui proprietari della classe media. «Molte volte abbiamo dovuto discuterne e parlare di questi problemi nella diocesi e il vescovo Raspanti di solito alla fine dell’incontro ci chiedeva se ci avessimo pensato bene, che dovevamo fare questo o quello e che, se fossimo convinti di quello che volevamo fare. Lui ci avrebbe sostenuto», prosegue Marina.
Le sue parole sono seguite con attenzione dal marito, Joe Godino, un ex sacerdote di Santa María, a Córdoba. Uno di quelli che hanno aderito al Movimento dei sacerdoti per il Terzo Mondo.

Marina stava studiando teologia al San Miguel dalle 8.30 alle 12.30. Non aveva preso una borsa di studio perché donna, bensì perché coordinatrice della catechesi in una scuola del vescovato. Raspanti intercedette e riuscì a far sobbarcare i costi dei suoi studi ad un ente tedesco. Nemmeno vollero darle il diploma quando finì gli studi nel 1977. Il direttore del teologado, José Luis Lazzarini, disse che c’era un problema, non si erano resi conto che era una donna.
Allora Marina andò a cercare chi l’aveva ricevuta quando era entrata, il gesuita Victor Marangoni:
«La prima volta che mi ha visto, non si è accorto che ero una donna?».
«Sì, certo, perché?», rispose imbarazzato il rettore a quella furia in minigonna.
«Perché Lazzarini non mi vuole dare il diploma».
Marangoni si occupò di risolvere queste sciocchezze. Marina ha un diploma, ma nessuno glielo ha mai consegnato ufficialmente.
Prosegue il racconto di Marina: «Un pomeriggio, alla fine delle lezioni, «incontrai Monsignor Raspanti in piedi, da solo, in mezzo all’atrio. Non so perché stava aspettando lì. Era in silenzio e gli chiesi se stesse aspettando qualcuno e lui disse sì, che aspettava il Padre provinciale Bergoglio. Aveva un volto tirato, pallido, ho pensato che fosse indisposto. L’ho salutato, gli ho chiesto se si sentiva bene, poi l’ho invitato a sedersi nel salotto accanto al corridoio».
«No, non mi sento male, ma sono molto preoccupato», rispose Raspanti.
Marina dice di avere quel giorno stampato nella memoria, parla con voce calma, ma si vede tutto il suo coinvolgimento nei suoi occhi grandi ed espressivi. Pepe la guarda teneramente.
«Sono rimasta scioccata nel vedere Raspanti da solo, di solito era sempre accompagnato dal suo segretario», dice.
Marina sapeva che i suoi insegnanti Jalics e Yorio, con un terzo gesuita, Luis Dourron, che lavorava con lei nel Collegio di Castelar, avevano chiesto il trasferimento alla diocesi di Morón. Yorio, Jalics, Dourron ed Enrique Rastellini, che era anche lui gesuita, avevano vissuto insieme nella comunità fin dal 1970, prima a Ituzaingó e poi a Quarter Rivadavia, vicino alla Gran Villa di Bajo Flores, e questo lo sapevano e l’avevano approvato tutti i padri provinciali della Compagna del Gesù che si erano succeduti, Ricardo-Dick O’Farrell e Bergoglio.
«Gli dissi che sia Orlando che Francisco erano stati miei insegnanti e che Luis lavorava con noi nella diocesi, che erano irreprensibili e che non dubitavo che li avrebbero accettati. Tutti erano in attesa di sapere che sarebbe successo a Morón. Nessuno che conosceva la situazione aveva mai avuto qualcosa da ridire. Raspanti disse che era venuto a parlare con Bergoglio proprio di questo. Luis era già stato accettato, ma gli serviva una lettera di Bergoglio che autorizzasse il trasferimento di Yorio e Jalics».
Marina comprese che si trattava di una mera formalità, ma Raspanti le spiegò che la situazione era più complicata. «Con le pessime referenze che gli aveva mandato Bergoglio non potevano essere accettati nella diocesi. Era molto preoccupato perché in quel momento né Orlando né Francisco dipendevano da nessuna autorità ecclesiastica».
Non posso lasciare che due sacerdoti in questa situazione e non posso nemmeno accettarli con la relazione che mi ha mandato. Vengo a chiedergli che semplicemente li autorizzi e che ritiri questa relazione che dice cose molto gravi.
«Chiunque aiutasse a pensare era un guerrigliero», dice Marina. Accompagnò il suo vescovo da Bergoglio che lo ricevette e poi se ne andò.
Quando uscì vide che nel parcheggio non c’era nemmeno l’auto di Raspanti. «Deve essere venuto in autobus, per non essere seguito. Voleva che la cosa restasse tra loro due. Stava facendo tutto il possibile per dare loro rifugio».
La teologa dice di essere stata colpita dall’angoscia di Raspanti, «che anche se non potrebbe essere definito un vescovo progressista, ci aveva sempre difeso, aveva difeso i sacerdoti della diocesi, si portava a dormire nella casa episcopale tutte le persone che correvano un rischio e non ci proibì di fare o dire qualsiasi cosa che consideravamo frutto del nostro impegno cristiano. Come un buon salesiano si comportava come una chioccia con i suoi sacerdoti e con i laici, li metteva al riparo e li curava anche se non era d’accordo con loro. C’erano diversi punti di vista, ma lui sapeva ascoltare e accettare molte cose».
Uno di questi sacerdoti era Luis Piguillem, che era stato minacciato. Tornava in bicicletta quando si imbatté in un blocco di polizia che impediva il passaggio. Insistette che voleva passare, perché la sua casa era dentro il barrio e un poliziotto gli disse: «Bisogna aspettare perché stiamo facendo un’operazione in casa del prete».
Piguillem girò la bicicletta e se ne andò senza voltarsi indietro. Da lì se ne andò al vescovado di Moròn dove Raspanti gli diede rifugio. L’esercito disse che si era nascosto sotto le gonne del vescovo. Ma non osarono cercarlo lì.
Raspanti era consapevole del rischio che correvano Yorio e Jalics? «Sì. Disse che aveva paura che scomparissero. Due sacerdoti non possono restare sospesi in aria, senza un responsabile gerarchico che li protegga. Qualche giorno dopo abbiamo saputo che li avevano portati via».
Un’altra testimonianza presa in seguito alla pubblicazione di domenica è il sacerdote Alejandro Dausa, che è stato rapito il 3 agosto 1976 a Cordova quando era seminarista nell’Ordine dei Missionari di Nostra Signora de La Salette. Dopo sei mesi di torture da parte della polizia nel Dipartimento dell’Intelligence Cordoba D2 padre Dausa ha potuto prendere un aereo per gli Stati Uniti, dove era già arrivato il responsabile del seminario, il sacerdote statunitense James Weeks, per il quale si era interessato il governo del suo Paese.
Quest’anno si terrà a Cordoba il processo per quell’episodio, il cui principale imputato è il generale Luciano Menendez. Adesso Dausa vive in Bolivia e racconta che sia Yorio che Jalics gli dissero che Bergoglio li aveva consegnati.
All’arrivo negli Stati Uniti, apprese da organizzazioni per i diritti umani che Jalics si trovava a Cleveland, a casa di una sorella. Dausa e altri seminaristi che stavano iniziando il noviziato, fu invitato a condurre due ritiri. Entrambi furono tenuti nel 1977, uno ad Altamont (Stato di New York) e l’altro a Ipswich (Massachusetts).
Ricorda Dausa: «Naturalmente, abbiamo discusso sui rispettivi rapimenti, dettagli, caratteristiche, storia, segnali precedenti, persone coinvolte ecc. In quelle conversazioni ci disse che Bergoglio li aveva consegnati o denunciati».
Nel decennio successivo, Dausa ha lavorato come sacerdote in Bolivia e ha partecipato al ritiro annuale di La Salette in Argentina. In uno di essi gli organizzatori invitarono Orlando Yorio, che a quel tempo lavorava a Quilmes.
«Il ritiro fu a Carlos Paz, a Córdoba, e anche in quel caso si parlò dell’esperienza del sequestro. Orlando disse la stessa cosa di Jalics sulle responsabilità di Bergoglio».
Gli Assunzionisti

Yorio e Jalics furono rapiti il 23 maggio 1976 e portati all’Esma, dove li interrogò uno specialista in affari ecclesiastici che conosceva l’opera teologica di Yorio. In uno degli interrogatori gli chiese dei seminaristi Assunzionisti Carlos Antonio Di Pietro e Raul Eduardo Rodriguez. Entrambi erano compagni di Marina Rubino al Teologato di San Miguel, e svolgevano un lavoro sociale nel famoso quartiere La Manuelita di San Miguel, dove vivevano e curavano la cappella di Gesù Obrero.
Da lì furono sequestrati dieci giorni dopo i due gesuiti, il 4 giugno 1976, e portati nella stessa casa operativa di Yorio e Jalics. A metà mattina Di Pietro telefonò al Superiore Assunzionista Roberto Favre e gli chiese del sacerdote Jorge Adur, che viveva con loro nella Manuelita.
«Abbiamo ricevuto un telegramma per lui e dobbiamo consegnarglielo», disse. In questo modo riuscì a mettere in moto l’Ordine. Il Superiore Roberto Favre presentò un ricorso per habeas corpus, che non ebbe risposta. Adur riuscì a lasciare il Paese con l’assistenza del Nunzio Pio Laghi, e andò in esilio in Francia. Tornò clandestinamente nel 1980, come un sedicente cappellano dell’Ejército Montonero: fu catturato e scomparve mentre andava verso il Brasile, dove voleva incontrare Papa Giovanni Paolo II.
La stessa strada per l’esilio seguì uno degli arrestati durante la razzia nel barrio La Manuelita, l’allora studente di medicina e oggi medico Lorenzo Riquelme. Quando tornò in libertà la confraternita dei Piccoli Fratelli del Vangelo lo ospitò nella casa porteña della calle Malabia. Nelle comunicazioni dalla Francia con chi era allora il superiore dei Piccoli Fratelli del Vangelo, Patrick Rice, Riquelme disse che chi lo aveva denunciato era un gesuita del Collegio di San Miguel, che era al tempo stesso il cappellano militare. È convinto che questo sacerdote abbia assistito alle sue torture, che crede avvennero a Campo de Mayo.
Anche a seguito della nota di domenica ha accettato di raccontare quello che conosce sul caso uno dei fondatori della Fraternità secolare dei Piccoli Fratelli del Vangelo Charles de Foucauld, Roberto Scordato.
Tra fine ottobre e inizio novembre 1976, Scordato si riunì a Roma con il cardinale Eduardo Pironio, che era prefetto della Congregazione vaticana per i Religiosi, e gli disse il nome e cognome di un sacerdote della comunità dei Gesuiti di San Miguel che partecipava alle sessioni di tortura a Campo de Mayo con il ruolo di «ammorbidire spiritualmente» i detenuti.
Scordato gli chiese di dirlo al Superiore Generale Pedro Arrupe. Ma non si sa se lo fece. Consultato per questo articolo, Rice che anche lui fu rapito e torturato quell’anno. Ha affermato che questo non sarebbe stato possibile senza l’approvazione del padre provinciale. Rise e il gesuita Scordato credono che il nome di quel gesuita fosse Gonzalez, ma a trentaquattro anni di distanza non lo ricordano con certezza.


Tratto da: Cinque nuovi testimoni accusano Bergoglio | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2013/03/19/cinque-nuovi-testimoni-accusano-bergoglio/#ixzz2O1PJ35Pv
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario! 

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