La nostra società corre in fretta e nonostante non ci manchino i mezzi e i supporti per conservare i ricordi, dimentichiamo. O forse, peggio, scegliamo di dimenticare. Così come scegliamo di non guardare e non vedere, benché ogni giorno galleggiamo su un mare di immagini. La vita, il lavoro, le relazioni, i soldi, gli amici, gli amanti sono una corrente che ci trascina via. Non abbiamo tempo, semplicemente.
Ma quando osserviamo distrattamente un volto disperato in televisione, quando sentiamo vagamente una voce sconosciuta chiedere aiuto, accade qualcosa. Un movimento impercettibile, una crepa nel muro incrollabile del nostro io e la nostra coscienza ha un sussulto. Perché è sporca.
Ecco cosa vuole provare a essere questa nuova rubrica di Kreathink: l’immagine che ci si appiccica alla mente, la parola che vaga tra i pensieri senza dare tregua, finché non la guardiamo in faccia, finché non le diamo un nome.
Finché non facciamo i conti con la nostra coscienza sporca.
C’è un turista che va a folleggiare in un locale notturno di una non meglio precisata località esotica e la mattina seguente si sveglia in una vasca piena di ghiaccio con un taglio sul fianco e un rene di meno. Poi c’è una bambina che sparisce dalla via davanti a casa, mentre gioca in strada con gli amichetti, e viene riportata ai genitori qualche giorno dopo in un sacco di juta: senza cuore, reni e un occhio. Che differenza c’è tra le due storie? La prima è una leggenda metropolitana, perché nessun ricco disposto a spendere soldi in alcol, droga e sesso è considerato un donatore vivente, mentre la seconda è vera, perché la figlia di una famiglia povera di Kabul è meno che un contenitore di merce preziosa per i trafficanti di organi.
E non è questa l’unica cosa per la quale le due storie sono diverse, ce n’è anche un’altra. La prima passa di bocca in bocca e tutti la conoscono, mentre della seconda non parla nessuno. Un grottesco meccanismo di comunicazione per cui la bufala macabra si trasforma un divertissment con il quale farsi beffe di amici creduloni, mentre il crimine barbaro è un sussurro nella cacofonia di voci sparate ogni giorno a tutto volume dai media. Il turista senza nome diventa simbolo di un qualcosa che forse c’è ma chissà se crederci, mentre Rhuma – 4 anni e un articolo di Repubblica che racconta la sua storia – è una testimonianza da cercare in archivio.
Eppure (o forse proprio per questo) i numeri parlano chiaro. Secondo il sito Random History – che raccoglie e rende pubblici i dati di dossier e documenti ufficiali – 13 milioni di bambini nel mondo sono vittime del traffico di esseri umani: per la maggior parte destinati a diventare schiavi o oggetti sessuali, ma sempre più spesso utilizzati come fornitori di ‘parti di ricambio’. Il commercio di organi di minori è infatti un’attività a basso rischio e ad alto guadagno per le organizzazioni criminali: lo status sociale praticamente inesistente delle vittime e delle loro famiglie – quando le hanno – mette al riparo i trafficanti da qualsiasi tipo di denuncia e indagine, la domanda è pressante e il valore della ‘merce’ in costante aumento.
Nel 2002 il Journal of American Medical Association riporta che il prezzo di un rene al mercato nero può toccare i 150 mila dollari, mentre nel 2003 il Telegraph dedica un ampio servizio a un commercio di neonati destinati a essere utilizzati come donatori viventi sull’asse Ucraina-Italia, mettendo nero su bianco i costi dell’operazione: circa 350 mila euro a bambino. Anche Repubblica nello stesso articolo dedicato a Rhuma – datato 2001 – dà qualche cifra: dai 25 ai 30 milioni di vecchie lire per un cuore e circa la metà per un rene o una cornea.
fonte: http://www.kreathink.it/
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