Ecco come, spiegato in punta di sottile diritto, sotto sotto, zitto zitto, Giorgio Napolitano ha cambiato de facto la nostra Costituzione.
di Paolo Becchi, docente di Filosofia del Diritto all'Università di Genova
Il Settennato di “Re Giorgio” – come lo chiamò il New York Times nel dicembre 2010 – sarà ricordato per le silenziose ma profonde modifiche introdotte nella Costituzione, con riferimento alla rideterminazione dei poteri del Presidente della Repubblica. L’ordinamento costituzionale ha lasciato, sin dal 1948, volutamente “aperta” la “pagina” sui poteri del Capo dello Stato (A. Barbera). Approfittando della endemica debolezza delle forze politiche, Napolitano l’ha chiusa.
Vorrei soffermarmi, in particolare, su due aspetti, emersi in questi ultimi mesi. Il primo attiene alla prassi, imposta da Napolitano, relativa alla disciplina costituzionale dei decreti-legge. Nel corso del tempo – ed a partire, in particolare, dalla Presidenza Pertini – si è consolidato in via di prassi il potere, da parte del Capo dello Stato, di esercitare un controllo preventivo sull’emanazione dei decreti-leggeapprovati dal Governo. Sono stati, peraltro, a lungo discussi i presupposti e le modalità di detto controllo, non previsto dal testo della Costituzione (che parla soltanto del potere di rinvio presidenziale in sede di promulgazione delle leggi). Napolitano, sin dall’inizio del proprio mandato, aveva impresso una forte accentuazione al potere di controllo preventivo all’emanazione dei decreti-legge da parte del Capo dello Stato: «ricordo infine – scriveva in una nota del 6 febbraio 2009, che si inscriveva nella nota vicenda relativa ad Eluana Englaro – che il potere del Presidente della Repubblica di rifiutare la sottoscrizione di provvedimento di urgenza manifestamente privo dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza previsti dall’art. 77 della Costituzione o per altro verso manifestamente lesivo di norme e principi costituzionali discende dalla natura della funzione di garanzia istituzionale che la Costituzione assegna al Capo dello Stato».
Ma Napolitano, a partire dagli ultimi mesi del Governo Berlusconi, si è spinto ancora oltre. La legge prevede che il decreto-legge sia «presentato per l’emanazione al Presidente della Repubblica» dopo «l’avvenuta deliberazione del Consiglio dei ministri» (Legge n. 400/1988, art.15, comma I). Il decreto-legge, infatti, è un esclusivo atto dell’esecutivo, che se ne assume iniziativa e responsabilità politica, mentre è soltanto formalmente presidenziale (l’art. 77 Cost. prevede che «il Governo può adottare sotto la sua responsabilità» la decretazione d’urgenza). Ora, nel rapporto tra il Capo dello Stato ed il Governo si è imposta, negli ultimi due anni, una prassi distorta ed in palese contrasto con la Costituzione: il Governo, ancor prima della deliberazione in sede di Consiglio dei Ministri, “anticipa” a Napolitano il testo del decreto-legge che intende adottare, al fine di consentirgli quello che, anziché un controllo preventivo di legittimità costituzionale, costituisce di fatto un vero e proprio potere legislativo in capo al Presidente della Repubblica. È accaduto con Berlusconi – che accettò di essere tenuto sotto “controllo” dal Capo dello Stato –, accade oggi con l’esecutivo di Monti, il quale non è altro che un “Governo del Presidente”, soltanto formalmente legittimato dal Parlamento. Si tratta di una modifica radicale dei poteri del Presidente della Repubblica, che per la prima volta interviene direttamente nella formazione – anziché nell’emanazione, in sede di controllo – di un atto avente forza di legge, riservato all’esclusiva iniziativa e responsabilità del Governo.
Il secondo aspetto che intendo evidenziare ha, invece, a che vedere con i recenti interventi del Capo dello Stato sulla necessità, per il Parlamento, di approvare unanuova legge elettorale. La Costituzione, nella sua formulazione originaria, non prevedeva alcun potere di “impulso” in capo al Presidente della Repubblica. È stato soltanto il consolidamento di una serie di precedenti costituzionali che ha portato, nell’esperienza repubblicana, a ritenere che il potere di esternazione dovesse potersi concretare anche in una concreta influenza sullo svolgimento delle attività costituzionali, garantendo al Capo dello Stato un potere di iniziativa, impulso e persuasione. Vi è, tuttavia, una precisazione necessaria da fare. Il consolidamento del potere di impulso del Presidente fu dettato, negli anni ’50 e ’60, soprattutto dall’esigenza di «promuovere con impulsi attivi una politica di osservanza e di attuazione della carta, anche con semplici messaggi e sollecitazioni non formali» (Maranini). Vi era, in altri termini, una connessione essenziale tra l’accentuazione dei poteri del Presidente quale «magistrato di persuasione e di influenza» (come lo aveva definito Ruini in Assemblea Costituente) e la necessità di procedere all’attuazione della Costituzione. Se fu Gronchi a portare a compimento, tra il 1955 ed il 1962, il potere di impulso quale prerogativa fondamentale del Capo dello Stato, ciò - non va dimenticato - fu funzionale ad assicurare l’attuazione delle disposizioni costituzionali sulla Corte Costituzionale (che si insediò nel 1956. Gronchi aveva detto: «è certo che io farò tutto quanto sta in me perché essa sia un fatto compiuto entro il più breve tempo»), l’istituzione del C.S.M. e del CNEL (1957). L’accelerazione impressa da Gronchi – ripetutamente sintetizzata nelle parole «la Costituzione o la si attua o la si cambia» - fu pertanto conseguenza di quell’ “ostruzionismo di maggioranza” (Paladin) che, sino al 1953, aveva “bloccato” la Costituzione stessa. Vero è che la Presidenza Gronchi fu contrassegnata anche da un’attività di indirizzo politico da parte del Capo dello Stato, ma fu comunque l’ “indirizzo politico costituzionale” a definire il senso dei poteri di impulso presidenziali. Fu il periodo del “disgelo costituzionale” o, per servirsi di un’espressione di Maranini, di una vera e propria “rivoluzione costituzionale”. Questo potere ha perduto, nel corso del tempo, i presupposti che ne avevano giustificato e legittimato l’esercizio: è rimasto per così dire in una zona d’ombra, mai compiutamente definito.
Oggi Napolitano ne rinnova carattere e presupposti, esercitando un potere di puro indirizzo politico, diretto non ad “attuare”, ma a modificare la nostra Costituzione. “Re Giorgio”, si sente continuamente ripetere, “difende” la Costituzione: che sia la tattica della terra bruciata?
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