L’antieuropeismo è ormai dilagante in Gran Bretagna. Lo hanno dimostrato inequivocabilmente le elezioni amministrative che si sono svolte il 3 maggio, e che hanno consegnato uno scenario politico completamente diverso da quello abituale: “il più grande sconvolgimento del sistema partitico dal dopoguerra a oggi”, sono state definite da alcuni osservatori. Ma anche un chiaro segnale all’Unione Europea.
A stravolgere gli equilibri ha contribuito principalmente lo Ukip. Il partito indipendentista britannico, guidato da Nigel Farage, ha ottenuto, su scala nazionale, il 23% dei voti, divenendo così il terzo partito e insidiando da vicino i due maggiori: i Laburisti (29%) e i Conservatori (25%). Soltanto quarti i Liberal-Democratici, che racimolano appena il 14%.
Il successo dello Ukip appare ancor più evidente se si confrontano i risultati odierni con quelli delle precedenti elezioni amministrative del 2009: allora il partito di Farage veniva annoverato sotto la voce “ALTRI”, con percentuali vicine al 3%. Un incremento sensazionale, dunque. E a farne le spese sono proprio i Laburisti, che pur ottenendo il primo posto hanno comunque perso il 10% rispetto a 4 anni fa, e i Conservatori, che vedono volatilizzarsi circa l’8% del loro elettorato. Se poi compariamo l’esito delle elezioni con i pronostici della vigilia, si coglie tutto lo sconcerto che si sta diffondendo in queste ore nelle sedi dei Tories e dei Labour. “Non più di 40 seggi nei governi locali per lo Ukip”, veniva annunciato dai sondaggisti; e invece di seggi Farage e compagnia ne hanno conquistati 147 (4 anni fa ne ottennero appena 8). Gli analisti dei Labour, invece, avevano affermato che lo Ukip non avrebbe rappresentato alcuna preoccupazione fintantoché si fosse mantenuto al di sotto del 16%, quota che sembrava inarrivabile, e che invece è stata superata di ben 6 punti.
Ovviamente Nigel Farage gongola, oggi, togliendosi tonnellate di sassolini dalle scarpe. Innanzitutto nei confronti di Ken Clarke, membro di spicco dei Tories, che aveva definito lo Ukip come una “combriccola di pagliacci”. E poi nei confronti del premier David Cameron, che aveva sempre sottovalutato lo Ukip e aveva definito i suoi membri dei “fuori di testa”. “Send in the clowns!” – ha subito dichiarato Farage, riciclando il titolo di una canzone di un vecchio musical che era stata utilizzata anche dall’Economist per descrivere l’esito delle elezioni italiane di febbraio. “Siamo stato ingiuriati da tutti, dall’intero establishment, e ora si ritrovano tutti scioccati e sbalorditi. E bisogna smetterla anche di dire che i nostri elettori hanno votato soltanto in segno di protesta, non sapendo in realtà quali erano le nostre proposte. Essi hanno votato – ha continuato Farage – a favore dell’uscita dall’Unione Europea e dello stop all’immigrazione nel nostro Paese”. Sono proprio questi, infatti, i punti su cui lo Ukip ha incentrato la propria campagna elettorale, e quelli che l’elettorato ha maggiormente apprezzato. Secondo un sondaggio pubblicato ieri, il 76% di chi ha votato per lo Ukip lo ha fatto perché vuole veder ridotta l’immigrazione, il 59% perché auspica un’immediata uscita dall’UE e il 47% perché si dichiara insoddisfatto dei partiti tradizionali.
L’antieuropeismo radicale è sicuramente il perno del partito di Farage, nato nel 1993 proprio con l’intento di abbandonare l’UE, ritenuta un’istituzione svantaggiosa per i Britannici in termini economici e pericolosa per quanto riguarda la riduzione di sovranità nazionale. Dal 2010, poi, nel manifesto dello Ukip ha assunto un ruolo fondamentale proprio la tematica relativa all’immigrazione: “non più di 50 mila immigrati all’anno”, è stato lo slogan scandito negli ultimi anni da Farage. Il che significherebbe una limitazione drastica, visto che nel 2009 l’aumento netto della popolazione britannica dovuto all’immigrazione è stato di quasi 200 mila persone. Ma lo Ukip si spinge ancora oltre: bisognerebbe bloccare del tutto, secondo Farage, le immigrazioni per un periodo di 5 anni, al fine di stabilizzare le frontiere e rafforzare i controlli; e non bisognerebbe concedere alloggi popolari o altri benefici ad alcun immigrato che non abbia già pagato le tasse per almeno un quinquennio. Per approvare queste misure, ovviamente, è necessario uscire dall’Europa: Farage propone infatti di rigettare sia la Convenzione dei Diritti Umani dell’UE, sia laConvenzione sui Rifugiati. In particolare, lo Ukip ha lanciato una durissima campagna per bloccare i flussi dei migranti bulgari e romeni che rischierebbero di invadere la Gran Bretagna al ritmo di 400 mila unità all’anno, secondo le stime dello Ukip.
Posizioni estreme, dunque, che mescolano euroscetticismo con nazionalismo e spesso sfociano nel razzismo. Ma sono posizioni che hanno riscosso successo presso l’elettorato britannico, che non ha rinunciato a votare Ukip nonostante i molti scandali susseguitisi in queste settimane, durante le quali alcuni esponenti del partito – che non sono risultati eletti, comunque – sono stati ritratti in pose inneggianti a Hitler, hanno pubblicato commenti antisemiti sul proprio profilo facebook, oppure sono stati accusati di aver fatto i gigolò mentre lavoravano come agenti di polizia.
Ora il successo dello Ukip spaventa soprattutto i Conservatori: 3/4 degli elettori di Farege proverrebbe proprio dall’elettorato dei Tories, evidentemente giudicati troppo timidi su alcune questioni care alla destra britannica. Ecco perché David Cameron è subito corso ai ripari: “Sarebbe sciocco continuare ad insultare un partito che ha raccolto così tanti consensi – ha affermato il premier britannico – Bisogna invece chiedersi perché alcuni nostri ex elettori non hanno voluto supportarci stavolta. Ebbene, questo è avvenuto perché avremmo dovuto essere più decisi sui temi dell’immigrazione, dell’Europa e delle riforme del welfare”.
Cameron non lo cita direttamente, ma è evidente che il tema principale è quello che riguarda il referendum sulla permanenza nell’Unione Europea. Il primo ministro lo aveva fissato nei mesi successivi alle elezioni nazionali del 2015, promettendolo come garanzia in caso di una sua riconferma a Downing Street. Ma nel suo partito, soprattutto dopo il segnale inequivocabile lanciato da questa tornata elettorale, si fanno sempre più pressanti le voci di chi vorrebbeanticiparlo già al 2014. Ci sarebbe da vincere la resistenza dei Liberal-Democratici, che sembra siano contrari a questa ipotesi; ma, a quanto pare, Cameron potrebbe comunque voler forzare la mano, per non lasciar a Farage il monopolio dell’antieuropeismo.
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