
Non si tratta più una centrale nucleare con tre reattori in meltdown trattata come solo Willy il Coyote o Paperoga riuscirebbero a fare. Invoco un’altra Norimberga per i responsabili della gestione della crisi di Fukushima: questa tragedia radioattiva (non riguarda solo il Giappone ma l’oceano Pacifico e in ultima analisi il mondo) è stata affrontata badando al soldo, al dio quattrino, e non alla necessità di proteggere la salute delle persone e l’ambiente.
La goccia che secondo me ha fatto traboccare il vaso? La famosa perdita di 300 tonnellate di acqua radioattiva da uno dei serbatoi di stoccaggio – incidente di grado 3 della scala Ines – è stata causata da cinque bulloni avvitati male. Il serbatoio in questione è di quelli low cost: la Teocp, la società proprietaria della centrale, ne appaltò la costruzione tenendo conto della rapidità di esecuzione (comprensibilissimo) e del prezzo più basso. Cosa che difficilmente va a braccetto con un lavoro fatto a regola d’arte: chi ha controllato i bulloni cui era affidata la tenuta stagna dei serbatoi?
La goccia: ma il vaso si è riempito a causa della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite di acqua radioattiva. Già nei primissimi mesi dopo il meltdown era infatti nota lanecessità di proteggere dalla radioattività l’acqua della falda, e quindi anche l’oceano. Ma, di fronte ai costi da sostenere, Tepco e Governo giapponese pensarono alla reazione dei mercati e allequotazioni in borsa della stessa Tepco. Da quasi due anni 300 (si calcola) tonnellate di acqua di falda contaminate dalla radioattività di Fukushima entrano ogni giorno nell’oceano Pacifico: e non si sa se, quando, come potrà esservi posto rimedio.
A quanto riferisce la testata giapponese Asahi Shimbun, è stata proprio la Tepco a rendere noto che cinque bulloni allentati sono la probabile causa della perdita di 300 tonnellate di acqua radioattiva da uno dei mille e più serbatoi, alti anche come case di tre piani, eretti tutt’attorno a Fukushima per stoccarvi l’acqua radioattiva di falda estratta dai sotterranei della centrale. L’acqua viene sottoposta a decontaminazione, seppur parziale: la perdita classificata come grado 3 Ines (la scala interazionale che misura la gravità degli incidenti nucleari e che arriva ad un massimo di 7) riguardava acqua già trattata.
La Tepco sta ora smontando e ispezionando il serbatoio da cui si è originata la perdita. Si è così accorta dei cinque bulloni allentati su pannelli collocati nella parte inferiore del serbatoio stesso. I bulloni hanno il compito di fissare la guarnizione impermeabile posta sulle giunture fra un pannello e l’altro.
La società ha anche reso noto che in altri otto punti sono stati individuati bulloni e impermeabilizzazioni sporgenti. Adesso studieranno il problema per capire come mai eccetera eccetera: non una parola però, non una!, su collaudi e verifiche delle giunture e delle impermeabilizzazioni effettuate prima di riempire il serbatoio.
Il risultato è che l’acqua radioattiva “può essere penetrata” (parole della Tepco) attraverso le crepe del cemento con cui è stato coperto il suolo; le analisi verranno effettuate una volta completamente smontato il serbatoio. Chi ha collaudato il battuto per accertarsi che fosse ben robusto prima di collocarci sopra i serbatoi e riempirli?
A mio parere sarebbe necessario un approfondimento – non solo giornalistico – su fatti come questo. E’ gravissimo gestire un incidente nucleare con serbatoi low cost, bulloni svitati, cemento dalla crepa facile e progetti per difendere l’acqua di falda archiviati perchè troppo costosi. Terra e mare sono avvelenati, attorno a Fukushima. Una nuova Norimberga secondo me è necessaria fare almeno giustizia: ma i danni, quelli, ormai sono compiuti. E non si possono cancellare.
Fonte: blogeko.iljournal.it
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