Crolla l’economia. La politica è completamente allo sbando. Ma non va assolutamente meglio se si guarda il sistema cultura. Qui, anzi, i dati si fanno ancora più drammatici. Uno degli indicatori principali per giudicare la qualità della vita di un Paese è quello relativo al numero di laureati e di nuove immatricolazioni all’Università. Se a cavallo tra gli anni ’90, grazie anche al bluff dei corsi triennali, le iscrizioni erano cresciute drasticamente, ora sono calate a picco. La tendenza non è nemmeno recente, ma si tratta di un trend che ormai va avanti da almeno un quinquennio e che, di questo passo, andrà avanti.
I dati, dunque: nel 1989 si erano iscritte negli atenei italiani 276mila persone. Poche, se rapportate a quanto succedeva nel resto dell’Europa. Nel 2012, cioè 23 anni dopo, le cose sono andate clamorosamente peggio: gli immatricolati sono stati appena 267mila (fonte: Ci.ne.ca). Il dato diventa ancora più angosciante se si pensa che i nuovi iscritti sono calati di ben 70mila unità negli ultimi 9 anni.
Insomma, i politici si attribuiscono finte lauree e finti master per acquisire prestigio. Ma la realtà è che nell’Università, in Italia, non crede quasi più nessuno. Due le ragioni principali per le quali il numero degli immatricolati è crollato. Da una parte i costi sono diventati insostenibili e i fondi per il diritto allo studio sono stati prosciugati. Dall’altra parte, è molto diffusa l’idea che essere laureati serva a poco nella ricerca di un lavoro. Non è un caso che centinaia di migliaia di dottori sono a spasso oppure hanno stipendi da fame.
I corsi di laurea che tengono sono solo quelli di Medicina, Professioni Sanitarie, Chimica, Matematica e Ingegneria. Gli studenti scappano in massa, invece, da Economia, Scienze della Comunicazione e Sociologia, tutti titoli accademici che hanno prodotto una marea di disoccupati.
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