D'un tratto nel folto bosco

Non c’era nessuno in tutto il paese che potesse insegnare ai bambini che la realtà non è soltanto quello che l’occhio vede e l’orecchio ode e la mano può toccare, bensì anche quel che sta nascosto alla vista e al tatto, e si svela ogni tanto, solo per un momento, a chi lo cerca con gli occhi della mente e a chi sa ascoltare e udire con le orecchie dell’animo e toccare con le dita del pensiero.
Amos Oz


martedì 7 maggio 2013

Giulio, eri tutti loro di Marco Travaglio

Uno straniero atterrato ieri in Italia da un paese
lontano durante la lunga veglia funebre
per Andreotti a reti unificate, vedendo le lacrime
e ascoltando le lodi dei politici democristi e comunisti,
berlusconiani e socialisti, ma anche dei
giornalisti e degli intellettuali da riporto di tutte le
tendenze e parrocchie, non può non pensare che
l’Italia abbia perso un grande statista, il miglior
politico di tutti i tempi, un padre della Patria che
ha garantito al Paese buongoverno e prosperità, e
ciononostante fu perseguitato con accuse false da
un pugno di magistrati politicizzati, ma alla fine
fu riconosciuto innocente e riabilitato agli occhi
di tutti nell’ottica di una finalmente ritrovata pacificazione
nazionale. La verità, naturalmente, è
esattamente quella opposta. Non solo giudiziaria.
Ma anche storica e politica. È raro trovare un politico
che ha occupato tante cariche (7 volte premier,
33 volte ministro, da 13 anni senatore a vita)
e ha fatto così poco per l’Italia: nessuno - diversamente
che per gli altri cavalli di razza Dc, da De
Gasperi a Fanfani a Moro - ricorda una sola grande
riforma sociale o economica legata al suo nome,
una sola scelta politica di ampio respiro per
cui meriti di essere ricordato. Andreotti era il
simbolo del cinismo al potere, del potere per il
potere, fine a se stesso, del “meglio tirare a campare
che tirare le cuoia”. Il primo responsabile,
per longevità politica, dello sfascio dei conti pubblici
che ancora paghiamo salato. Un politico
buono a nulla, ma pronto a tutto e capace di tutto.
Il principe del trasformismo, che l’aveva portato
con la stessa nonchalance a rappresentare la destra,
la sinistra e il centro della Dc, a presiedere governi
di destra ma anche di compromesso storico, a
essere l’uomo degli Usa ma anche degli arabi. Un
politico convinto dell’irredimibilità della corruzione
e delle collusioni, che usò a piene mani senza
mai provare a combatterle, perchè - come diceva
Giolitti e come gli suggeriva la natura - “un
sarto che deve tagliare un abito per un gobbo,
deve fare la gobba anche all’abito”.
Eppure, o forse proprio per questo, era il politico
più popolare. Perchè il più somigliante a quell’“
italiano medio” che non è tutto il popolo italiano.
Ma ne incarna una bella porzione e al contempo
la tragica maschera caricaturale. Se però
Andreotti spaccava gli italiani, affratellava i politici,
che han sempre visto in lui - amici e nemici
- il proprio santo patrono e protettore. La sua falsa
assoluzione, in fondo, era anche la loro assoluzione.
Per il passato e per il futuro. Per questo,
quando le Procure di Palermo e Perugia osarono
processarlo per mafia e il delitto Pecorelli, si ritrovarono
contro tutto il Palazzo. Il massimo che
riusciva a balbettare la sinistra era che, sì, aveva
qualche frequentazione discutibile, ma che stile,
che eleganza in quell’aula di tribunale dove non si
era sottratto al processo (il non darsi alla latitanza
già diventava un titolo di merito). Fu parlando del
suo processo che B. diede dei “matti, antropologicamente
diversi dalla razza umana” a tutti i
giudici. Fu quando si salvò per prescrizione che
Violante criticò l’ex amico Caselli per averlo processato
e la Finocchiaro esultò per l’inesistente
“assoluzione”. Anche i magistrati più furbi e meno
“matti”, come Grasso, si dissociarono dal processo
e fecero carriera. Oggi le stesse alte e medie
e basse cariche dello Stato che l’altroieri piangevano
la morte di Agnese Borsellino piangono la
morte di Giulio Andreotti. Ma non è vero che
fingano sempre: piangendo Andreotti, almeno,
sono sincere. Enrico Letta, alla notizia che la Cassazione
aveva giudicato Andreotti mafioso almeno
fino al 1980, si abbandonò a pubblici festeggiamenti:
“Quante volte da bambino ho sentito
nominare Andreotti a casa di zio Gianni. Era la
Presenza e basta, venerata da tutti. Io avevo una
venerazione per questa Icona!”. E giù lacrime per
l’“ingiustizia” subìta dalla venerata Presenza anzi
Icona, fortunatamente “andata a buon fine” tan -
t’è che “siamo tutti qui a festeggiare” (un mafioso
fino al 1980). L’altro giorno Letta jr. è divenuto
presidente del Consiglio. È stato allora che il Divo
ha capito di poter chiudere gli occhi tranquillo.

2 commenti:

  1. ...anche i criminali muoiono: Chissà se vale la legge del karma !
    ... si reincarnerebbe in ogni vita che ha devastato. In fondo in 5 miliardi di anni stanno più o meno 70 milioni di vite medie di 70 anni.

    Che dici?

    RispondiElimina
  2. dico che questo era un mostro e sarebbe dovuto morire molto prima

    RispondiElimina

In un ottica di reciproco scambio di opinioni i commenti sono graditi. Solo da utenti registrati. Evitiamo ogni abuso nascondendoci nell'anonimato. Grazie