Di queste intelligenze ha bisogno l'Italia per rinascere, non di un gregge belante Grullini o di un Grullone urlante!
Questo tipo di giornalismo in estinzione alle nostre latitudini mette alle corde il potere qualunque e quantunque esso sia.
Grazie Ruben per questa vivida testimonianza sul campo e lasciamo stare i titoli che ormai sono carta straccia in questa ignoranza dilagante. Il messaggio è disarmante: mai arrendersi prima di aver combattuto. Se solo avessimo la consapevolezza della nostra forza! Il sistema di dominio teme un'esplosione sociale più di una deflagrazione atomica.
Gianni Lannes
Egregio Dottor Lannes,
mi chiamo Ruben Garbellini, sono un (giornalista? Trentaseienne ormai, vecchio come il cucù, iscritto all’ordine, sì…e senza lavoro..) meglio, un uomo che scrive, via, e che si occupa anche di arte. Mi permetto di scriverLe dopo aver scoperto il Suo “diario internautico” mentre rovistavo in internet sul terremoto in Emilia. Da tempo volevo scriverLe, ma sono alquanto riserbato e so che è occupato e molto, e non vorrei essere troppo invadente.
Io abito l’antica Transpadana Ferrarese, il terremoto l’ho avuto a quindici chilometri come epicentro, sotto la sedia insomma; sto in uno dei paesini terremotati sulle rive del Po. Casa mia è ancora un mezzo macello, e vivo tuttora senza riscaldamento (tranne una vecchia cucina economica).
A parte queste note di colore, su me: come “giornalista” ho scritto per tre anni e mezzo su Il Corriere del Veneto e perDove, entrambi RCS, poi i miei articoli, quasi tutti di terza pagina…han cominciato a veder sparire misteriosamente pezzi e righe, telefonate in redazione di gente che protestava (ma chi? Perché dicevo che non tutto è bello? Perché “massacravo” una mostra alla casa dei Carraresi o a Palazzo Forti? ), sopra tutto da che ho cominciato ad occuparmi dello scempio ambientale che sarà l’autostrada Nogara-Mare , sino a che alla fine non mi pubblicavano più niente, ed essendo senza contratto, eccomi a spasso. Non le dico come mi han liquidato in redazione a Padova. Ho altro nella vita, mi dico, e me ne sono scappato per un anno a Parigi, a fare la fame. Quella vera. Credo capisca... Mi occupo anche di arte, di teatro e cinematografia. Ma magari, se avrà la bontà di voler proseguire la corrispondenza, ne parleremo. Mi piacerebbe.
Insomma: benché mi abbiano messo fuori, il giorno stesso del terremoto, domenica mattina (ero tornato venerdì da Parigi) cerco di contattare (istinto suicida? ultimo sussulto di innocenza adolescenziale? Illusione che sia ancora possibile uno scrivere giornalistico?) la redazione a Milano (Ugo Savoia da Padova l’han messo in via Solferino) proponendo un reportage sulle zone rurali. Voglio parlare della campagna, dove son nato, massacrata dal sisma, visto che tutti parlavano dei paesi e dei capannoni. Posso arrivare dove i milanesi e i romani non arriveranno mai, conosco ogni buco, ogni anfratto, parlo il ferrarese, Lei capisce. Dei vecchi agricoltori senza più nulla. Delle antiche corti rurali sventrate come se nel loro mezzo fosse esplosa una mina. Risposta evasiva e silenzio alle altre mie richieste, la minestra credo Lei la conosca, perdoni la franchezza un poco guascona. Poi più niente, nessuna risposta, benché la mattina del 21 io sia stato, per ragioni logistiche, il primo sur le terrain. Risulta subito che la scossa è strana, e la cosa, audite audite, parte dai vecchi. Io ero già sveglio, e mi creda, un boato di tal sorta è una cosa innaturale. E poi quei ventiquattro secondi che non finivan mai, mentre veniva giù tutto.
Mi incaponisco e inizio a scrivere il mio diario da solo. Magari lo pubblico con la casa editrice Casadidio&Vattelapesca, mi dico, o lo mando agli amici rilegato con la garza, ma scrivere devo scrivere.
Premetto: avevo avuto sentore che fosse innaturale, ma nulla poi di quanto ho scoperto sul Suo blog, legato ad Haarp et caet. Proseguo. Da subito molte cose non tornano; a partire dalla prima scossa, da quei ventiquattro secondi nei quali ero già sveglio.
Il boato, fortissimo, da esplosione. Da piccolo fui testimone, più o meno nella stessa zona (Bondeno di Ferrara) di un terremoto locale dovuto a crollo di volta metanifera. Stesso rumore e stesso tipo di boato. Primo pensiero mentre cercavo di scendere le scale e rintracciare i miei e mio nonno prima che tutto si sfasciasse.
Questo è legato alla questione del deposito che volevano fare a Rivalta, di metano? O hanno fatto altre cose?
I vecchi in campagna vedono e non vedono, vedono cose che non sanno dirti se non nella loro lingua, un emiliano antico che risale al Quattrocento, secco come i tratti di un dipinto di Cosmè Tura.
Report, TG3, ne parla solo per dieci minuti, poi sembra che la trasmissione venga tagliata di botto, non so se Lei hai visto quella puntata. Ma stiamo parlando di cose vecchie, ormai.
I vecchi, che vedono e parlano solo con chi han già visto, magari fin da bambino in bicicletta in quelle zone, dicono che facevano delle cose dentro dei capannoni. Gente non del luogo, forestieri. non si capiva che lingua parlassero. E un vecchio che aveva fatto la guerra in Russia, mi dice che addirittura aveva sentito parlare russo.
E’ vero che per un vecchio anche un romano parla un’altra lingua.
Dopo il primo sisma (21 maggio) sembra che gli americani siano scomparsi da Rivalta. Poi sono seguiti i tre tremendi scossoni del 29. La propagazione di sismi al largo di Ravenna, nel Bellunese, ad Arezzo in quei giorni. L’impressionante quantità delle scosse, oltre mille.
La questione dei bagliori. Me lo dice un benzinaio, che lo ha visto su youreport. In quei giorni internet a casa mia non funziona, non funziona nemmeno l’acqua, figurarsi. Porto su con la brocca dal pozzo. In oltre, non amo internet particolarmente.Vado su quel sito digitando “bagliore prima del terremoto”, e una camera fissa di una farmacia di Quistello (MN) registra un gran bagliore prima del sisma, un secondo o due.
Le dirò che non ho fatto grandi ricerche in internet. Avevo il mio daffare tra i calcinacci, il nonno in ospedale e i miei giri tra i contadini a sentire di famiglie rovinate, che avevano perduto tutto e dove non era arrivato ancora niente, nemmeno una scala a pioli. Quello che i bravi reporteurs non dicono, o almeno a me non risulta.
Se non è una bufala, un vecchio agrario salta fuori con la storia che a Londra hanno registrato il sisma non di 5.9 gradi, ma di 6.9 gradi Richter. Fonte di chi? Sorride. Questa poi. Scorazzo in internet ma non trovo niente, salvo le notizie ufficiale. Se così fosse, non mi stupirei. Ma la “botta”, egregio Lannes, doveva sentirla, altro che moderato rischio sismico. Proseguo la mia caccia, seguo le mie piste contadine, la voce dei miseri: salta fuori che a Novi di Modena un farmacista, con un suo sismografo, registra una intensità Richter impressionante: 7.8. Il tipo, o un innocente totale o un idiota totale, corre subito ad avvisare “le autorità” e i cani prezzolati del regime gli sequestrano tutto. Possibile? Siamo in guerra dunque? Così dobbiamo considerarci? Non so. Ho solo voci seguite di casa in casa, in bicicletta, in auto, come una caccia. Quei nastri sono scomparsi. Le risulta?
La questione che Enzo Boschi aveva, nel 2002 o giù di lì, dichiarato quella zona a rischio sismico moderato. Ultimo grande terremoto, in effetti, l’anno di grazia 1561....
I meteoriti. La sera prima del sisma, a Ficarolo, due chilometri da casa mia, paese mezzo pericolante ora, diciamo più rotto che sano, c’era stata in cielo una strana pioggia di meteoriti. La gente diceva che erano un poco in anticipo, le stelle cadenti. Poi, dopo il sisma, rimuovono le campane dal campanile, e sul bronzo trovano “tracce di ferro meteorico”. La notizia viene riportata addirittura dall’Ansa, mi chiama una mia amica per dirmelo, ma poi scompare dai pagelloni internet, almeno mi pare…. Altro, a me ignoto, che Lei magari conosce.
Certo, Sua Maestà l’Appennino preme contro le Altezze Imperiali delle Alpi e gli scossoni sono inevitabili. Ma la prima cosa che ho pensato, mentre a tentoni scendevo le scale, era che quel terremoto era un’esplosione. Il mio diario del terremoto è in via di esser terminato, non è niente di che, quasi un diario di adolescente. Ma vedere i morti, la perdita inesprimibile di un patrimonio artistico che era sconosciuto ai più, la tragedia di una regione, credo valga una indagine extraortodossa. O almeno l’atto, sacrale, dello scrivere. Che ne pensa? O sono ancora troppo du coté des illusions perdues? Ma alla fine, come scriveva Cicerone, CUI BONO? Perché sono uomini anche “loro”?
O la questione si fa esoterica? Siamo dalle parti dei “Superiori Incogniti” di guènoniana memoria? Gentile Lannes, non so di dove Lei sia originario, io son nato in campagna, la magia è sulla porta di casa; non è mai esistito un confine definito tra i mondi.
Insomma, come avrà capito questa lettera è anche uno sfogo. Sfogo di uno che si è visto rifiutare articoli e libri, ma che si chiede come potremo continuare così e come lottare ancora. Ho letto stamane i Suoi pezzi sulla questione delle banche e dei nostri poveri conti “correnti”, e sui microchip: ma come faremo? Seguiremo gli esempi di Socrate, Seneca, Mishima? Mi creda, ci sto pensando.
Ho letto anche il Suo articolo su Saviano: Deo gratias, almeno uno che la pensa come me. Non si può parlar male di quell’uomo, non si può dire che scrive (benché sospettassi che gli editor gli avessero fatto uno bel rammendo), non si può nemmeno dire che se è vivo è perché a qualcuno ha interesse che lo sia, le donne addirittura lo trovano bellissimo (sic!). E il problema, ne parlavo ridendo pochi giorni fa con un amico filosofo, è che non siamo più come all’epoca di Byron, non c’è più un’Ellade in cui fuggire e morire. Un’ignobile poltiglia maleodorante circonda il mondo.
Se lei capitasse in Veneto, sabato La invito a uno spettacolo dedicato a Giacomo Matteotti, nella rinnovata Casa Museo di Fratta Polesine (Ro). Un’ora di letture sceniche dalla misconosciuta - e bellissima - corrispondenza tra quest’altro ammazzato e sua moglie. Io interpreterò Matteotti. La regia e drammaturgia sono del neodirettore della casa museo, un bravo vecchio professore di filosofia. Le allego in fondo l'invito (sabato 23 febbraio ore 19 – ingresso libero, non si legge bene). Grazie dell’attenzione e della pazienza. Spero a presto. Le stringo la mano
Ruben
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