Alessandro De Pascale
Le fuoriuscite di materiale radioattivo dai depositi dell'impianto Usa continuano, anzi «sono destinate ad aumentare», denuncia Nils Bøhmer, direttore generale della Bellona. Il quale avverte: «È ancora presto per escludere rischi per la popolazione». Cronaca del più grande progetto di bonifica atomica al mondo.
Nemmeno un grande Paese come gli Stati Uniti è ancora riuscito a porre rimedio all'eredità nucleare. Lo dimostra il caso di Hanford. Nell'impianto che si trova nello Stato di Washington, sei vecchi serbatoi (sui 177 totali) da giorni continuano a rilasciare materiale ad alta radioattività nel terreno circostante. Nils Bøhmer, fisico nucleare nonché direttore generale della Bellona, la società americana che si occupa di decommissioning, ha ammesso oggi: «Siamo molto preoccupati, perché le perdite sono destinate ad aumentare». Aggiungendo inoltre che per escludere rischi per la salute della popolazione, «vanno ancora accertati il numero, l'entità e la durata nel tempo delle perdite». Al momento ancora sconosciuti.
Dentro il primo serbatoio che ha iniziato a rilasciare materiale radioattivo, il T-111 costruito nel 1943-44, oltre 1,6 milioni di litri di fanghi radioattivi. Ci sono poi il 177, per il quale i funzionari dello Stato di Washington stimano perdite tra 560 e 1.000 litri l'anno, e altri quattro serbatoio danneggiati che stanno creando rischi radiologici nelle falde sotterranee e nei fiumi. La richiesta principale delle autorità locali è l'immediato trasbordo dei rifiuti radioattivi che si trovano nei 149 vecchi serbatoi a fondo unico (che hanno abbondantemente superato i 20 anni d'età per i quali erano stati progettati), in altri depositi più moderni a doppio fondo. Un terzo dei 177 serbatoio presenti nell'impianto ha infatti già registrato perdite ma nessuna dai 20 a doppio fondo costruiti tra il 1977 e il 1986.
Il trasbordo dei rifiuti è un lavoro difficile, pericoloso e lento che costa 300 milioni di dollari l'anno. Colpa del mix letale di radioattività, sostanze chimiche pericolose e vapori tossici generati dalle reazioni chimiche, che avvengono all'interno delle vasche corrodendone le pareti. Tanto che i lavoratori, per proteggere la propria salute, chiedono l'uso di particolari robot non sempre disponibili o adoperati. Inoltre, si procede su un serbatoio alla volta. Da quando hanno iniziato questo lavoro, soltanto 7 dei 177 silos sono stati completati. Una corsa contro il tempo e l'usura che aumenta ogni giorno di più. Anche perché molti sono fatti di acciaio al carbonio, più economico ma meno robusto di quello inossidabile che era diventato difficile da trovare quando vennero costruiti durante la Seconda guerra mondiale. Per ovviare a questo problema, nel tentativo di immobilizzare il Ph nei serbatoi, così da ridurne la corrosione, è stata aggiunta ai rifiuti una gran quantità di altri prodotti chimici che ora li hanno resi molto più difficili da stabilizzare.
Il progetto di bonifica atomica a Hanford è il più grande in corso al mondo. Un lavoro colossale che si stima costerà 60 miliardi di dollari e durerà decenni. «Qui non fa paura il denaro - continua il fisico nucleare Bøhmer - perché le autorità hanno speso un sacco di tempo e fondi per bonificare il sito, ma il fatto che non stanno ottenendo buoni risultati». L'impianto di Hanford, entrato in funzione nel 1943 e chiuso definitivamente nel 1988, durante la Guerra fredda era uno dei tre principali al mondo (assieme a Sellafield in Gran Bretagna e Mayak in Russia) a produrre plutonio, anche tramite il "ricondizionamento" del combustibile nucleare esaurito. Nei suoi 45 anni di attività ha contribuito, tramite le 67 tonnellate di plutonio prodotte nell'ambito del Progetto Manhattan, alla realizzazione di 60mila armi nucleari, compresa quella sganciata sulla città giapponese di Nagasaki (1945).
Tutti gli impianti nucleari necessitano di enormi quantità d'acqua per il raffreddamento dei reattori. Non fa eccezione Hanford, costruito sulla riva del fiume Columbia. Con l'impianto in attività, questo corso d'acqua era diventato uno dei più caldi al mondo e portava a mare il suo carico letale. Già nel lontano 1964, lo Scripps Oceanographic Research Team aveva trovato l'isotopo radioattivo dello zinco (il 65 Zn) sopra i livelli normali di ben 8.000 volte, nei molluschi e nei calamari di Cannon Beach (Oregon), che dista quasi 600 chilometri dall'impianto. Stessa cosa nel Puget Sound, il canale marino che si sviluppa per 160 km lungo le coste dello Stato di Washington, dove sono stati trovati vari elementi radioattivi di Hanford. La parte del Columbia nei pressi dell'impianto oggi è protetto e fa parte dell'Hanford Reach National Monument, istituito nel 2000 dall'ex presidente Bill Clinton, poiché in quella zona del fiume risalgono ogni anno decine di migliaia di salmoni a deporre le uova.
Hanford resta però soprattutto il sito più contaminato degli Stati Uniti e dell'intero emisfero occidentale. Secondo uno studio del Blacksmith Institute, una ong che si batte contro l'inquinamento, sarebbe addirittura il decimo al mondo (al nono posto il Mare nostrum, a causa delle «40 navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi, scomparse nelle acque del Mediterraneo dal 1994»). I silos e le vasche di Hanford contengono infatti, in termine di volumi, due terzi delle scorie radioattive Usa: oltre 200 milioni di litri di rifiuti atomici liquidi e 25 milioni di metri cubi solidi (tra questi l'80 per cento delle barre di combustibile esaurito a stelle e strisce). Recenti stime ritengono che nell'area dell'impianto siano già fuoriusciti circa 4 milioni di litri di liquido radioattivo, che avrebbero contaminato 200 chilometri quadrati di acque sotterranee. Ma nonostante questo, il Dipartimento dell'energia Usa, che gestisce il sito, vorrebbe portare a Hanford altri 200mila metri cubi di rifiuti radioattivi, raddoppiandone la quantità stoccata. Un'operazione sicuramente più difficile ora che a ricordare l'allarme scorie, c'è stato quest'ennesimo incidente.
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