D'un tratto nel folto bosco

Non c’era nessuno in tutto il paese che potesse insegnare ai bambini che la realtà non è soltanto quello che l’occhio vede e l’orecchio ode e la mano può toccare, bensì anche quel che sta nascosto alla vista e al tatto, e si svela ogni tanto, solo per un momento, a chi lo cerca con gli occhi della mente e a chi sa ascoltare e udire con le orecchie dell’animo e toccare con le dita del pensiero.
Amos Oz


mercoledì 13 febbraio 2013

RIFORMA LAVORO/ Ecco perché condanna i giovani, arricchisce l’Inps (di 10 miliardi) e ingrassa i politici


Tra due settimane si andrà al voto. Tutti, da Berlusconi a Bersani fino allo stesso Monti, sebbene rinneghino la riforma Fornero, sono, in realtà, complici e protagonisti di un testo che, ad oggi, risulta essere attuato soltanto in parte: secondo Il Sole 24 Ore, infatti, è stato approvato solo il 32% dei decreti attuativi. A mancare sono proprio quei decreti che avrebbero comportato (piccoli) benefici ai lavoratori: dal nuovo ammortizzatore sociale, alle politiche d’impiego per giovani e donne. E a beneficiare dell’impianto della riforma sono ancora loro, i politiciLeggere per credere.


di Carmine Gazzanni
Il bilancio è incredibilmente sconcertante: otto provvedimenti adottati e ben diciassette ancora fermi al palo. Tanti i dossier aperti, dunque, sebbene la riforma risalga al diciotto luglio scorso. Non solo. Sorprende, peraltro, che ad essere stati immediatamente attuati sono norme come quelle che limitano l’obbligo di reintegro in caso di licenziamento illegittimo per motivi disciplinari o economici (conseguenti all’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori). Norme, dunque, che certamente non vanno a favore dei lavoratori. A scorrere i decreti che ancora mancano all’appello, invece, ci si rende conto di come a rimanere lettera morta siano gli unici provvedimenti che avrebbero comportato piccoli benefici. Basti pensare all’Aspi, l’Assicurazione Sociale per l’Impiego, il nuovo ammortizzatore sociale contro la disoccupazione: manca ancora il decreto interministeriale. Fa niente se la sua attuazione era prevista entro (e non oltre) il diciotto gennaio 2013. Anche perché bisognerà aspettare ancora a lungo, visto il periodo elettorale a cui seguirà quello di assestamento del nuovo governo.
Questa, peraltro, non è nemmeno l’unica norma per il momento finita su un binario morto. A rimanere congelata tutta la parte di politica attiva della riforma. Basti pensare al provvedimento che avrebbe ridisegnato tutti i servizi per l’impiego e la formazione professionale. Sebbene il ministero del Lavoro abbia concepito la bozza del decreto sin da novembre scorso, questo non è stata ancora convertito in legge. Altro decreto inattuato, ancora, è quello che avrebbe permesso ai lavoratori la partecipazione agli utili e all’organizzazione delle imprese. Anche le agevolazioni per le donne dovranno attendere ancora un bel po’: inattuato, infatti, è anche il decreto che avrebbe permesso distanziare fondi per la riduzione dei contributi per quelle imprese che, appunto, avrebbe assunto donne di qualsiasi età prive di un impiego da almeno 24 mesi.
Insomma, la riforma appare ancora fortemente monca, soprattutto riguardo a quelle norme che avrebbero portato benefici (seppur esigui) ai lavoratori. Non possono invece lamentarsi i politici, parlamentari e consiglieri regionali. Sembrerà assurdo, ma a ben vedere la riforma, ad oggi, se inguaia tutte quelle categorie che, spesso, non hanno un lavoro a tempo indeterminato (giovani e donne su tutti), ingrassa proprio loro, i politici: sono questi, infatti, gli unici a poter riprendersi quanto versato all’Inps se interrompono il loro mandato prima di aver raggiunto i 20 anni di contributi previsti dalla riforma per ottenere il pensionamento. Per tutti gli altri, invece, niente da fare: nel caso, l’Inps si tiene i soldi. Né può restituirli: ciò comporterebbe, secondo l’Istituto,  il suo stesso fallimento.
La questione dei contributi, in realtà, non nasce oggi. Ma la riforma Fornero l’ha resa, se vogliamo, ancora più iniqua. Il testo, infatti, prevede che dal primo gennaio 2012 debbano essere versati ben 20 anni di contributi per poter accedere al pensionamento. Una norma questa che evidentemente colpisce, come detto, soprattutto giovani e donne che spesso lavorano saltuariamente con contratti a tempo determinato. Ebbene, chi non arriva al minimo di annualità contributive non ottiene la pensione, e perde tutto. Non può, in altre parole, richiedere la restituzione dei contributi versati.
Di fatto, dunque, l’Inps incassa e si tiene tutto. Né, d’altronde, potrebbe fare altrimenti. Qualche giorno fa, in un’intervista a Italia Oggi, il direttore generale dell’Istituto Mauro Nori, aveva dichiarato: “in caso di restituzione di questi contributi, l’Inps rischierebbe il default; la questione coinvolge diversi milioni di persone, di più non posso dire”. La dimensione dei soldi incassati dall’Inps e non resi ai contribuenti rimane, dunque, segreta, anche se Italia Oggi ritiene si parli di circa dieci miliardi di euro. Una somma incredibile.
Il problema, pertanto, non nasce ora. La riforma Fornero, però, allungando il periodo di contribuzione, rende l’ingiustizia – per così dire – ancora più ingiusta. Ecco il punto. In pratica, dunque, i lavoratori versano i contributi all’Istituto e, nel caso non raggiungano i venti anni necessari per il pensionamento, i soldi restano nelle casse dell’Inps.
C’è però, come detto, una categoria esentata, una categoria a cui invece spetta la possibilità di riprendersi fino all’ultimo centesimo di quanto versato. Sono ancora loro, i politici.Parlamentari e consiglieri regionali. Prova ne sia quanto accaduto solo poco tempo fa inLombardia: undici consiglieri uscenti, consci del fatto che avrebbero interrotto la loro carriera politica, hanno chiesto (e ottenuto) la restituzione di quanto versato: da Renzo Bossi (55 mila euro) a Monica Rizzi (200 mila euro) fino aMassimo Buscemi (358 mila euro). La riforma, per costoro, non è stata poi tanto male.

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