D'un tratto nel folto bosco

Non c’era nessuno in tutto il paese che potesse insegnare ai bambini che la realtà non è soltanto quello che l’occhio vede e l’orecchio ode e la mano può toccare, bensì anche quel che sta nascosto alla vista e al tatto, e si svela ogni tanto, solo per un momento, a chi lo cerca con gli occhi della mente e a chi sa ascoltare e udire con le orecchie dell’animo e toccare con le dita del pensiero.
Amos Oz


giovedì 7 marzo 2013

Euro: storia di una "balla colossale"



banconote della moneta unica
Chiunque sia minimamente informato sa che introducendo l'euro ci hanno raccontato una marea di frottole. La moneta unica serviva per realizzare due progetti: quello imperialistico tedesco (ampiamente realizzato come chiunque può constatare osservando i dati) e la disciplina delle istanze sindacaliste per mezzo del vincolo esterno tanto cara alla classe dirigente dei cosiddetti "pigs."
Un esempio lampante delle mistificazioni con cui i media ci hanno bombardato e continuano a bombardarci in maniera trasversale è la visione del debito pubblico come origine di ogni male che affligge i paesi periferici dell'eurozona. Che lo sostenga la destra è abbastanza normale, assai più singolare è che lo faccia e lo abbia fatto quella che ancora chiamiamo sinistra.
Se il "male" fosse veramente il debito pubblico la crisi avrebbe colpito (nel 2008) per prima la Grecia (debito al 110% del Pil), successivamente Italia e Belgio (106% E 89%) e poi Francia e Germania (67 e 66 %). Ma la crisi si è abbattuta in primis sull'Irlanda (debito al 44% del Pil), Spagna (40%), Portogallo (65%) e soltanto in seguito Grecia ed Italia.
Appare palese come nella ricostruzione propinataci ci sia, per usare un eufemismo, qualcosa di strano. La verità è che in tutti questi paesi l'inflazione era in crescita, come la Bce indicava già nel 2006. E come dicono tutti gli economisti non palesemente di parte, in un'unione monetaria tassi di inflazione difformi  conducono a crisi di debito estero. E che questo sia un vantaggio per leeconomie più forti (quelle del nord Europa in questo caso) è lapalissiano, ogni surplus implica infatti che qualcuno sia in deficit. In pratica le esportazioni diminuiscono per via dell'impossibilità di svalutare competitivamente e si deve giocoforza aumentare il debito con l'estero per garantire le importazioni. A questo punto crescono anche gli interessi e si entra in un vortice da cui è impossibile uscire senza cambiare le condizioni (cioè la moneta unica).
Questa analisi è ormai velatamente confermata dagli stessi fautori del maledetto "sogno europeista" i quali propongono come soluzione una integrazione fiscale e politica delle diversissime economie europee; ma ciò sia impossibile è lampante se si considerano i dibattiti tra regioni più ricche e più povere di paesi come Italia o la stessa Germania; dibattiti che permettono di comprendere con facilità come sia improponibile, in un'economia capitalistica, la convergenza dei prezzi tra le varie aree. Semplicemente nessuno vuole pagare per gli altri e se vale per stati con una storia anche lunga alle spalle, figuriamoci se può non valere per entità tra loro distanti in tutto e per tutti dalla lingua alla cultura.
Se la Germania ed i paesi del nord guadagnano grazie a questo stato di cose non c'è motivo per cui vogliano cambiarlo. E qui si chiude ogni dibattito che non sia infarcito di preconcetti.
Lo spauracchio che rimane ad oggi agli europeisti è la falsa convinzione (spesso riportata vergognosamente dai media ufficiali), per cui in caso uscita dall'euro la Lira tornerebbe al valore di quando si passò alla moneta unica. Cioè 1 euro=1936.27. Scenario fantascientifico che viene sempre condito con illazioni terroristiche che sostengono che alla riapertura delle borse la moneta crollerebbe sui mercati del 50% minimo; ed anche se le esportazioni ne gioverebbero si verrebbe soffocati dai prezzi delle materie prime energetiche.
Ma questi punti sono già stati smontati da svariati economisti quali Stuglitz e Krugman, per citare solamente i più accreditati, e soprattutto non tengono conto del fatto che in caso di uscita il cambio sarebbe ovviamente fissato uno ad uno. La svalutazione prevista sarebbe del 20% e questo non significa certo che l'inflazione andrebbe di pari passo.
Tuttavia, nonostante queste conclamate verità, noi continuiamo a doverci sorbire le paternali dei nostri insipienti (o peggio collusi)  politici -praticamente di ogni colore- che continuano a paventare scenari terrificanti in caso di un'uscita che, come disse anche il "the telegraph" più di un anno fa, "porterebbe all'Italia più vantaggi che a qualsiasi altro paese europeo, avendo essa una ricchezza pro capite maggiore della Germania ed essendo la sua combinazione di debito pubblico e privato al 265% del Pil, inferiore cioè a quella di Francia, Olanda, Regno Unito, Stati Uniti o Giappone."
E questo ancora una volta lo dicono i numeri. Che a differenza dei politici non mentono mai. 

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