D'un tratto nel folto bosco

Non c’era nessuno in tutto il paese che potesse insegnare ai bambini che la realtà non è soltanto quello che l’occhio vede e l’orecchio ode e la mano può toccare, bensì anche quel che sta nascosto alla vista e al tatto, e si svela ogni tanto, solo per un momento, a chi lo cerca con gli occhi della mente e a chi sa ascoltare e udire con le orecchie dell’animo e toccare con le dita del pensiero.
Amos Oz


giovedì 31 maggio 2012

La parata del patetico


By ilsimplicissimus

La tradizionale parata non si tocca. Lo dice Napolitano e lo dice anche Bersani eccezionalmente impegnato a pettinare soldatini di piombo, invece delle consuete bambole. Quale maligno demone spinga questi uomini a inebriarsi di sfilate militari tanto da volerle a dispetto dei santi è un tema psichiatrico. E non esagero: perché se c’è una vera tradizione è quella che in situazioni di difficoltà, di emergenza o di opportunità la parata venga cancellata. Non avvenne solo con Forlani nl ’76  in concomitanza col terremoto in Friuli, ma anche nel ’63 per la morte di papa Giovanni e ancora nel  ’91 per la crisi economica.
Francamente non saprei trovare un momento più drammatico e più opportuno per far slittare a tempi migliori o ancor meglio per abolire definitivamente una manifestazione che non soltanto è ormai decrepita, un residuo di altri tempi, ma che sostanzialmente è nata obtorto collo. Non è un caso che essa sia stata cancellata non solo nei tre anni citati, ma anche dal ’76 all’ 82 e dal ’93 al 2000. In tutto 16 anni il che la dice lunga  sul suo inesistente valore simbolico.
Essa fu voluta a malincuore, dopo il referendum monarchia repubblica, per coinvolgere anche le forze armate rimaste di fede sabauda o fascista, nelle nuove istituzioni. E forse anche per simulare un’indipendenza che di fatto non esisteva più. In effetti non aveva proprio nulla a che fare con la nascita della Repubblica che era figlia della resistenza, della lotta al fascismo e ai suoi miti di potenza. E per la verità anche agli italiani che non coltivavano passioni pacifiste o internazionaliste, la rivista non interessava molto: allevati per vent’anni  tra adunate, parate, gagliardetti,  guerre guerre coloniali, imperi di cartapesta erano  ancora sotto choc per la straordinaria serie di sconfitte accumulate in quattro anni dovunque e contro chiunque, salvo isolati episodi. Capivano di essere stati ingannati e che in ogni caso la strada delle armi non era esattamente nel dna del Paese.
Dunque per festeggiare davvero la Repubblica  bisognerebbe non farla la parata, anche al di là degli eventi drammatici che sono sopravvenuti nelle ultime settimane: la sola crisi economica avrebbe dovuto indurre a sopprimere una spesa  inutile e certo assai più alta di quella fatta trapelare. Per non parlare della “distrazione” di braccia dove invece servirebbero. Milioni spesi per soddisfare narcisismi da operetta e un leader politico che si piega ad ogni assurdo. “Siamo un grande paese e necessariamente la parata si terrà in forma sobria”, balbetta Bersani. Ma non è vero saremmo un grande Paese se avessimo la saggezza di prendere decisioni opportune e magari di ascoltare il sentimento popolare e il buon senso. Così siamo solo un Paese che mischia le tragedie all’opera buffa e che nemmeno sa più ritrovare i propri veri simboli. E si affida a patetiche sparate.

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