UNO, due, tre. Tre giorni in tutto. Al redivivo onorevole Francesco Paolo Lucchese non è concesso un arco di tempo di lavoro più lungo. Ma per questa “fatica” avrà un’adeguata ricompensa: 35 mila euro netti, più o meno. Un’avventura redditizia, nulla da dire, per chi a 78 anni — e già con quattro legislature alle spalle — credeva di non dovere più frequentare l’aula da Montecitorio. E invece.
Invece ecco un rapido incrocio di accadimenti. Il primo: le dimissioni da deputato di Nino Lo Presti, esponente di Fli nominato nel consiglio di giustizia amministrativa. Un atto che ha fatto scorrere la lista del Pdl, dove Lo Presti era stato eletto nel 2008, fino al diciottesimo posto: nel frattempo infatti altri tre parlamentari hanno lasciato l’incarico e un quarto — Gaspare Giudice — è deceduto. Toccava proprio a Lucchese
subentrare.
E ciò — ecco il secondo accadimento — si è fatalmente verificato nell’ultima settimana di attività a Montecitorio. Oggi dovrebbe essere varata la legge di stabilità, domani probabilmente il decreto di scioglimento delle Camere. Se l’iter sarà davvero questo, il deputato alcamese
avrà racimolato in tutto tre giorni di lavoro, da mercoledì a venerdì. Ma gli toccherà uno stipendio da parlamentare — circa 12 mila euro al mese fra indennità, diaria e quota per i portaborse — sino all’insediamento dei nuovi inquilini di Montecitorio. Che avverrà intorno a metà marzo, considerato che le elezioni dovrebbero tenersi il 24 febbraio.
Insomma, un «regalo» inatteso e gradito per il navigato esponente politico alcamese, che è già stato deputato dal 1994 al 2008. Prima nel Ccd, poi nell’Udc. Poco prima delle elezioni,
quattro anni e mezzo fa, Lucchese passò al Pdl. Negli ultimi anni ha di nuovo cambiato orientamento politico, avvicinandosi a Raffaele Lombardo. E proprio ieri Francesco Paolo Lucchese si è iscritto al sottogruppo dell’Mpa alla Camera: dopo aver ricordato di essere presidente del movimento «federazione autonomista » ha parlato di «una scelta
dettata dall’affinità delle idee del movimento che presiedo, che si ispira a valori cattolico-liberali di impronta autonomista, con i principi dell’Mpa». Tutto ciò per giustificare una mossa che avrà vita brevissima. Ma vanno così le cose, in coda a una legislatura caratterizzata dalle polemiche sui costi della politica. Lucchese ha solo beneficiato legittimamente di
leggi e regolamenti. Anzi, a differenza che in passato, il parlamentare di Alcamo non potrà far valere questa fugace presenza nella legislatura per rendere più ricco il vitalizio di cui già usufruisce (5.305 euro al mese). La modifica del sistema previdenziale — da retributivo a contributivo — non muterà di molto l’assegno di Lucchese.
Le speranze sembrano tramontate,
invece, per due candidati che attendevano le dimissioni di altrettanti deputati eletti di recente anche all’Ars. Eugenio Randi e Domenico Sudano, primi dei non eletti nelle liste del Pdl e dell’Udc, si auguravano un passo indietro da parte di Vincenzo Fontana e Pippo Gianni. Ma per Fontana come per Gianni non si è concluso alla Camera il procedimento
che sancisce l’incompatibilità fra le cariche di parlamentare nazionale e regionale e obbligherebbe gli interessati a optare entro 30 giorni dalla comunicazione del presidente della Camera. Sia Fontana che Gianni, d’altra parte, non si sono dimessi di propria iniziativa, come invece ha fatto dopo l’elezione all’Ars un altro esponente del Pdl, Nino Germanà.
Randi, ex assessore comunale, alla fine se ne è fatta una ragione. Mascherando la delusione per le mancate dimissioni di Fontana. «Dovrò fare a meno del titolo di onorevole. Mi accontento — scherza Randi — di esserlo stato solo potenzialmente. D’altronde, in un lasso di tempo così ristretto, avrei potuto fare davvero ben poco».
Invece ecco un rapido incrocio di accadimenti. Il primo: le dimissioni da deputato di Nino Lo Presti, esponente di Fli nominato nel consiglio di giustizia amministrativa. Un atto che ha fatto scorrere la lista del Pdl, dove Lo Presti era stato eletto nel 2008, fino al diciottesimo posto: nel frattempo infatti altri tre parlamentari hanno lasciato l’incarico e un quarto — Gaspare Giudice — è deceduto. Toccava proprio a Lucchese
subentrare.
E ciò — ecco il secondo accadimento — si è fatalmente verificato nell’ultima settimana di attività a Montecitorio. Oggi dovrebbe essere varata la legge di stabilità, domani probabilmente il decreto di scioglimento delle Camere. Se l’iter sarà davvero questo, il deputato alcamese
avrà racimolato in tutto tre giorni di lavoro, da mercoledì a venerdì. Ma gli toccherà uno stipendio da parlamentare — circa 12 mila euro al mese fra indennità, diaria e quota per i portaborse — sino all’insediamento dei nuovi inquilini di Montecitorio. Che avverrà intorno a metà marzo, considerato che le elezioni dovrebbero tenersi il 24 febbraio.
Insomma, un «regalo» inatteso e gradito per il navigato esponente politico alcamese, che è già stato deputato dal 1994 al 2008. Prima nel Ccd, poi nell’Udc. Poco prima delle elezioni,
quattro anni e mezzo fa, Lucchese passò al Pdl. Negli ultimi anni ha di nuovo cambiato orientamento politico, avvicinandosi a Raffaele Lombardo. E proprio ieri Francesco Paolo Lucchese si è iscritto al sottogruppo dell’Mpa alla Camera: dopo aver ricordato di essere presidente del movimento «federazione autonomista » ha parlato di «una scelta
dettata dall’affinità delle idee del movimento che presiedo, che si ispira a valori cattolico-liberali di impronta autonomista, con i principi dell’Mpa». Tutto ciò per giustificare una mossa che avrà vita brevissima. Ma vanno così le cose, in coda a una legislatura caratterizzata dalle polemiche sui costi della politica. Lucchese ha solo beneficiato legittimamente di
leggi e regolamenti. Anzi, a differenza che in passato, il parlamentare di Alcamo non potrà far valere questa fugace presenza nella legislatura per rendere più ricco il vitalizio di cui già usufruisce (5.305 euro al mese). La modifica del sistema previdenziale — da retributivo a contributivo — non muterà di molto l’assegno di Lucchese.
Le speranze sembrano tramontate,
invece, per due candidati che attendevano le dimissioni di altrettanti deputati eletti di recente anche all’Ars. Eugenio Randi e Domenico Sudano, primi dei non eletti nelle liste del Pdl e dell’Udc, si auguravano un passo indietro da parte di Vincenzo Fontana e Pippo Gianni. Ma per Fontana come per Gianni non si è concluso alla Camera il procedimento
che sancisce l’incompatibilità fra le cariche di parlamentare nazionale e regionale e obbligherebbe gli interessati a optare entro 30 giorni dalla comunicazione del presidente della Camera. Sia Fontana che Gianni, d’altra parte, non si sono dimessi di propria iniziativa, come invece ha fatto dopo l’elezione all’Ars un altro esponente del Pdl, Nino Germanà.
Randi, ex assessore comunale, alla fine se ne è fatta una ragione. Mascherando la delusione per le mancate dimissioni di Fontana. «Dovrò fare a meno del titolo di onorevole. Mi accontento — scherza Randi — di esserlo stato solo potenzialmente. D’altronde, in un lasso di tempo così ristretto, avrei potuto fare davvero ben poco».
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