D'un tratto nel folto bosco

Non c’era nessuno in tutto il paese che potesse insegnare ai bambini che la realtà non è soltanto quello che l’occhio vede e l’orecchio ode e la mano può toccare, bensì anche quel che sta nascosto alla vista e al tatto, e si svela ogni tanto, solo per un momento, a chi lo cerca con gli occhi della mente e a chi sa ascoltare e udire con le orecchie dell’animo e toccare con le dita del pensiero.
Amos Oz


martedì 4 dicembre 2012

L’Olanda: chi vuole, lasci l’euro. Cadrà il Muro di Bruxelles?


Il governo olandese vuole consentire l’abbandono dell’euro ai paesi in crisi con le regole dell’unione monetaria ed economica. Una svolta annunciata da un’intervista del premier dei Paesi Bassi, Mark Rutte, a “Süddeutsche Zeitung” e “Financial Times”, la prima effettuata dal leader dei liberali dopo la formazione del nuovo governo. L’esecutivo olandese, scrive il blog di Gad Lerner, si è contraddistinto finora per essere uno dei più fedeli alleati di Angela Merkel nella difesa dell’austerity come politica economica per risolvere la crisi dei debiti sovrani. E nonostante il recente cambio di maggioranza – al posto del centrodestra ora i Paesi Bassi sono governati da un’alleanza tra liberali e sinistra riformista – questa posizione non cambierà, almeno secondo Rutte. I paesi dell’eurozona che sono in difficoltà con i programmi di austerità però potrebbero lasciare la moneta unica, se lo volessero.
Introdurre una “clausola di rescissione” nel Trattato di Maastricht, che in realtà vincola in eterno gli euro-ostaggi? La possibilità di creare una via Il premier olandese Mark Rutted’uscita dall’euro, secondo Lerner, è la proposta più importante dell’intervista del premier olandese, che ha chiesto una modifica dei trattati europei al fine di consentire questa facoltà. «Un’idea che pare fatta su misura per rendere meno traumatico l’addio alla Grecia, visto che i governi del “fronte del rigore” – Germania, Paesi Bassi e Finlandia – sono consapevoli che un taglio del debito produrrà una ricaduta negativa sui loro conti pubblici, visti i crediti concessi ad Atene». Lo stesso Rutte è stato finora un alleato ferreo di Angela Merkel, di cui il premier olandese ha ribadito di condividere a fondo l’ostinata strategia. «L’Europa non può crescere su una montagna di debito», sostiene Rutte. «Come nazione con una forte tradizione di commercio e di export noi siamo legati ad una moneta stabile», premette l’olandese, ma «per la sopravvivenza futura dell’euro – aggiunge – è essenziale che tutti i paesi membri dell’unione monetaria mantengano le loro promesse, quando la valuta unica è stata introdotta».
Sembra dunque che il primo ministro olandese sposi le idee di chi auspica quantomeno la nascita di un “euro a due velocità”, con la “moneta del nord” liberata dal fardello dei debiti sovrani dell’Europa meridionale. «Il nostro scopo – dichiara – deve essere il rafforzamento dell’euro», per «renderlo più credibile» al punto da consentirgli di «attaccare il ruolo del dollaro, attualmente la moneta di riferimento dell’economia mondiale». Nel frattempo, Mark Rutte boccia il piano della Commissione Europea guidata da Barroso per l’approfondimento dell’unione economica e monetaria, schierandosi contro una trasformazione federalista della Ue. «Non sono d’accordo con chi sostiene che dobbiamo trasferire più competenze a Bruxelles», avverte il premier olandese. «Il nostro governo vuole porre all’attenzione dei 27 paesi membri il fatto che forse la Ue è impegnata in troppi ambiti: dobbiamo avere competenze europee nei settori dove il Monti e Barrosovantaggio è evidente per tutti, come nel campo delle politiche monetarie, dell’immigrazione o sulla sorveglianza dei confini».
Rutte però ha preferito evitare, come rimarca il “Financial Times”, di citare quali siano gli ambiti dove i governi nazionali potrebbero agire meglio delle istituzioni comunitarie. In ogni caso, la posizione dell’Olanda – ancorché non ancora ufficializzata, ma affidata a un’intervista giornalistica – potrebbe aprire un primo varco nel Muro di Bruxelles, che si pretende cementato da accordi immutabili, attorno all’adozione della moneta europea – comune, ma non “pubblica” – sostanzialmente imposta ai futuri membri dell’Eurozona senza una validazione referendaria. Una piccola crepa, forse, nella cortina di omertà istituzionale che protegge l’intero potere di Bruxelles: dove dettano legge le lobby economico-finanziarie più potenti del pianeta attraverso i burocrati della Commissione Europea, mentre il pletorico Parlamento Europeo – l’unico organismo elettivo – si limita ad esercitare funzioni di indirizzo e pareri di cui nessuno tiene conto.
Per questa via, la crisi si è avvitata in modo sempre più antidemocratico: predazioni di ogni sorta e raccomandazioni a privatizzare lo Stato e i beni comuni, tra ricatti e diktat piovuti dall’alto. La progressiva cessione di sovranità dei vari Stati membri, data sempre per scontata come un fenomeno fisiologico, in realtà è priva della necessaria legittimità, perché non è mai stata negoziata direttamente con gli elettori. Rimasti sostanzialmente all’oscuro delle grandi manovre organizzate alle loro spalle a Bruxelles con la complicità di politici prezzolati dalle super-lobby, i cittadini ora si ritrovano a pagare per intero i costi del disastro: smantellamento delwelfare e amputazione della spesa pubblica, con anche l’orrore giuridico del “pareggio di bilancio” imposto dal Fiscal Compact, Romano Prodi: con Ciampi, guidò l'ingresso dell'Italia nell'eurosotto il peso di un debito “privatizzato” dalla finanzaspeculativa e senza più l’arma di autodifesa per eccellenza, la moneta sovrana, per tamponare le situazioni più acute di sofferenza sociale.
Granitico, per anni, il silenzio dei media: in Italia sono rimasti “ipnotizzati” per vent’anni dall’anomalia-Berlusconi, mentre a Bruxelles si ponevano le basi per la demolizione storica dello stato sociale, la perdita dei diritti del lavoro, lo strapotere della finanza e il dominio dell’élite dei ricchissimi a spese del ceto medio. Ora l’Olanda “batte un colpo”, ma la politicaitaliana finge di dividersi sull’1% dei problemi sui quali può ancora pronunciarsi, guardandosi bene dal denunciare che il 99%, alle attuali condizioni, non è più negoziabile. A meno che, naturalmente, le elezioni non facciano “saltare il banco”, ponendo l’Europa di fronte al fatto compiuto: annunciando cioè che non sono più tollerabili il regime di austerity che penalizza tutti tranne i miliardari, la camicia di forza dell’euro e i trattati-capestro ispirati dalle multinazionali, predisposti da tecnocrati senza volto e approvati – sulla pelle dei cittadini – da piccoli politici senza scrupoli travestiti da statisti.

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