LE CASE FARMACEUTICHE si sono trasformate in imperi commerciali capaci di vendere antidepressivi…, antidolorifici… e farmaci anticolesterolo… con gli stessi metodi utilizzati da Coca Cola o per vendere il Dash… Vendere farmaci, anziché scoprirli, è diventata l’ossessione dell’industria farmaceutica». Questo uno dei passi più incisivi dell’introduzione del libro della Petersen (pagina14). Emerge, clamorosa, un’anomalia: che senso ha indirizzare una pubblicità così intensiva verso il malato? Questi viene considerato persona da curare o cliente da allettare? Appare moralmente lecita una politica simile e la parallela indifferenza delle autorità? E poi: visto che incidono fortemente sul prezzo, quanto costano al cittadino le spese promozionali delle case farmaceutiche? Sono domande che tutti dobbiamo cominciare a porci, per sapere che fiducia possiamo dare a costoro, ai loro prodotti, a coloro che li prescrivono. Inoltre occorre riflettere su un’altra stranezza, e cioè la doppia pubblicità: quella rivolta ai medici e quella al cittadino. Un assedio opprimente che negli USA ha raggiunto livelli inimmaginabili e da noi si sta preparando a diventarlo, come facilmente ravvisabile nel recente incremento della pubblicità farmaceutica sui nostri teleschermi.Tra il 1995 ed il 2000 gli impiegati addetti all’attività di marketing nelle aziende farmaceutiche statunitensi erano cresciuti del 59%, mentre gli addetti alla ricerca ed allo sviluppo dei farmaci erano diminuiti del 2%: i promotori avevano così raggiunto le 87.210 unità contro le 48.527 dei tecnici. Nel 2004 il boom: sono stati assunti negli Stati Uniti 101.000 informatori farmaceutici che visitano il medico portando una «pioggia di omaggi e denaro contante» (opera citata, pagina 19). E’ ovvio che dal medico ci si aspetta riconoscenza, sotto forma di prescrizione di farmaci. Questa tendenza si era fatta evidente già dal finire degli anni ’70, ma, come osservò il dottor Steven N. Wiggins, docente di Economia presso un rinomato ateneo americano, «i ricercatori avevano cominciato a perdere la loro influenza all’interno delle grandi società farmaceutiche già alla fine degli anni sessanta». Pierre Simon, ricercatore universitario prima, responsabile della ricerca presso la francese Sanofi poi, dichiarò allo storico della medicina David Healy: «All’inizio l’industria farmaceutica era in mano ai chimici. Ora appartiene a persone che hanno un master in Business Administration o qualcosa del genere, gente che potrebbe dirigere allo stesso modo Renault, Volvo o qualsiasi altra società. Bisogna vedere la quantità di denaro che il settore farmaceutico spende per condurre ricerche su farmaci-fotocopia, la cui efficacia a volte è minore. Parliamo di utilizzare il 70-90% di tutto il denaro destinato alla ricerca per finalità che esulano dall’innovazione. E’ uno spreco di denaro terribile».
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