D'un tratto nel folto bosco
Non c’era nessuno in tutto il paese che potesse insegnare ai bambini che la realtà non è soltanto quello che l’occhio vede e l’orecchio ode e la mano può toccare, bensì anche quel che sta nascosto alla vista e al tatto, e si svela ogni tanto, solo per un momento, a chi lo cerca con gli occhi della mente e a chi sa ascoltare e udire con le orecchie dell’animo e toccare con le dita del pensiero.
Amos Ozvenerdì 8 giugno 2012
Un giudice a Strasburgo di Marco Travaglio
Un giorno qualche economista indipendente,
sperando che esista, calcolerà quanto ci è
costato Silvio Berlusconi con il suo
monopolio illegale e incostituzionale sulla
televisione e sul mercato (si fa per dire) delle
telecomunicazioni. Quanto ci è costato e continua a
costarci in termini di mancata innovazione, mancati
investimenti, mancato sviluppo, mancata banda
larga (1 punto e mezzo di Pil), mancata concorrenza,
mancata qualità, mancati posti di lavoro, mancato
servizio pubblico, mancata pubblicità a giornali e
web, mancati introiti per lo Stato dall’affitto delle
frequenze (regalate da sempre). Da ieri, a questi
danni spaventosi, si aggiungono i 10 milioni di euro
di danni morali e materiali che lo Stato deve sborsare
per risarcire Francesco Di Stefano che per 10 anni ha
atteso invano le frequenze per trasmettere con
Europa7 dopo che nel 1999 aveva ottenuto, con
regolare concorso pubblico, la concessione. Così ha
deciso ieri a Strasburgo la Corte europea dei diritti
dell’uomo. Motivo: “Le autorità italiane non hanno
rispettato l’obbligo prescritto dalla Convenzione
europea dei diritti umani di mettere in atto un
quadro legislativo e amministrativo per garantire
l’effettivo pluralismo dei media”, calpestando il
diritto alla libertà d’espressione e d’informazione e la
tutela della proprietà. Avuta la licenza Europa 7
poteva “ragionevolmente aspettarsi” le frequenze
per mandare in onda i suoi programmi al massimo
entro due anni. Invece non poté farlo fino al 2009
(quando, fra l’altro, di frequenza ne ha avuta una
sola, per giunta sottratta alla Rai anziché a Mediaset)
perché “le autorità hanno interferito con i suoi
legittimi diritti, con la continua introduzione di leggi
che hanno via via esteso il periodo in cui le tv che
già trasmettevano potevano mantenere la titolarità di
più frequenze”. Un capitolo della sentenza, intitolato
“L’anomalia italiana”, spiega al mondo e soprattutto
all’Italia “quanto è pericoloso il monopolio televisivo
per una democrazia matura”. Nessuna scoperta
sensazionale: i lettori del Fatto l’anomalia italiana la
conoscono bene, leggendo un giornale nato proprio
per combatterla. Ma, con i loro tempi biblici, i
giudici europei sono arrivati molto prima della
nostra casta politica che, salvo rare eccezioni, di
quell’anomalia è stata artefice e complice. Dal
novembre '94, quando la Consulta stabilì che le reti
Fininvest dovevano scendere da tre a due, si sono
avvicendati tre governi Berlusconi, due Prodi, uno
D’Alema, uno Amato e due tecnici appoggiati l’uno
(Dini) da Lega e centrosinistra, l’altro (Monti) da Pdl,
Pd e Terzo Polo. Nel Paese dei finti liberali, nessuno
ha osato neppure sfiorare l’anomalia con leggi
antitrust e sul conflitto d’interessi. Dopo la sentenza
della Consulta, il centrosinistra che aveva vinto le
elezioni nel '96 – previa visita pastorale di D’Alema a
Mediaset, accolto dal Gabibbo e da Confalonieri –
regalò a Rete4, candidata allo spegnimento
sull’analogico e al passaggio sul satellite, una
proroga sine die con la legge Maccanico del '97.
Violante spiegò poi alla Camera che “era stato
garantito a Berlusconi e a Letta che non gli sarebbero
state toccate le tv”. E quando Europa7 vinse la
concessione e Rete4 la perse, il governo D’Alema
provvide a salvare la seconda con una proroga ad
aziendam. Pochi mesi dopo la Consulta tornò a
intimare lo spegnimento di una rete Mediaset entro
il 31 dicembre 2003 e a quel punto provvide
direttamente B. col decreto salva-Rete4 e la legge
Gasparri. Nel 2006 il centrosinistra tornò al governo
promettendo agli elettori di cancellare tutte le leggi
vergogna, poi naturalmente le lasciò tutte in vigore,
a partire dalla Gasparri. Ora un paese serio farebbe
pagare quei 10 milioni, e tutto il resto dei danni, ai
signori Berlusconi e D’Alema e a tutti i ministri delle
Comunicazioni degli ultimi 18 anni: Gambino,
Maccanico, Cardinale, Gasparri, Landolfi, Gentiloni,
Scajola, Romani, Passera. A quando una bella class
action?
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