Anna Lombroso per il Simplicissimus
Domani, Uman Foundation, la Fondazione che vuole farsi interprete di una scommessa insieme agli attori della good society, quella “di mettere in sicurezza il welfare minacciato”, lancia il suo programma. Alla presenza – diranno gli ignari e ingenui lettori, di Amartya Sen? – no, di Mario Monti.
E come poteva essere diversamente? Uman Foundation, nata nel 2012 si prefigge lo scopo di connettere l’Italia con la filantropia internazionale e promuovere un capitalismo più umano. Intende “superare il concetto tradizionale di beneficenza e sviluppare anche nel nostro Paese una nuova cultura del “giving”, promotrice di innovazione e sviluppo”. Per fare questo, UMAN Foundation promuove la connessione virtuosa tra due attori: i grandi protagonisti dell’impresa italiana e l’impresa sociale, italiana e globale, in grado di realizzare progetti “a impatto positivo”.
Il ruolo di UMAN Foundation, sarà quello di facilitare un legame positivo tra chi dispone di grandi risorse economiche e chi sa trasformarle in concreti progetti di impresa creativa e sociale nel nostro Paese e nei Paesi in via di sviluppo.
Tutto questo sarà possibile anche grazie alla relazione costante che UMAN Foundation , presieduta da Giovanna Melandri, intende praticare con la rete internazionale delle fondazioni filantropiche già da tempo protagoniste sulla scena globale.
Eh no accidenti non cederò alla tentazione facile di supporre che il primo banco di prova della Uman sarà il Kenya, in un intervento di cooperazione equa e solidale con la filantropia del Billionaire. Magari, sarebbe troppo facile. E sbagliato, perché una iniziativa del genere non si configura come l’hobby di ripiego di una rottamata che si converte alla beneficienza.
Magari, lo liquideremmo sbrigativamente come il patetico tentativo di restare in auge sia pure nel viale del tramonto della politica, per essere ammessa al tavolo dei bambini accanto a quello dei grandi dell’Aspen o del Bildberg.
Invece no, Uman è la liturgia della resa codarda ed entusiasta alla teologia del mercato da parte della frangia più pimpante, bionda e Wasp del Pd amerikano, quello che per citare il “chi siamo”, anzi la “mission”, della Fondazione, anzi della Foundation, vuole “promuovere un capitalismo più umano”…. “con una nuova cassetta degli attrezzi da scoprire e utilizzare, per innovare l’impresa sociale e per “socializzare” la finanza, come i Social Bonds e i Social Impact Investments”.
Ecco ci mancavano i future e i derivati filantropici, che Uman vuole mutuare dai vari Soros folgorati sulla via della crisi globale: “alcuni finanzieri “pentiti” – non molti, a dire il vero – dai recenti eccessi speculativi, stanno sperimentando, al fianco di grandi filantropi internazionali, nuove forme di “finanza sociale”. Imprese, banche, assicurazioni, ma anche privati cittadini e perfino grandi fondi pensione che cominciano a scommettere sulla finanza sociale, attraverso il Social Impact Investment”.
La Uman Foundation si è associata a questa rete con la convinzione che sia arrivato il momento di agganciare questo movimento mondiale anche in Italia insieme a persone che credono nel “nuovo orizzonte della finanza sociale, per indirizzare risorse private verso imprese sociali” che fanno parte del suo Consiglio, anzi del suo Advisory board: Giuliano Amato, Padre Giulio Albanese, Jacques Attali, Francesca Boldrini, Aldo Bonomi, Marta Dassù, Pamela Hartigan, Kerry Kennedy, Sebastiano Maffettone, Molly Melching, Samia Nkrumah, John Podesta, Andrea Riccardi, Bunker Roy,Ismail Serageldin, Muhammad Yunus, Stefano Zamagni.
Sarà il parterre, sarà il periglioso rapporto con la lingua italiana oltre che con il buon gusto, ma suggerirei di declinare Occupy Wall Street anche su scala nazionale, pensando a un Occupy Uman. E non solo perché sarebbe ora di smascherare definitivamente gente che si è appropriata del patrimonio culturale e ideale della sinistra per mettere in atto la più infame abiura impegnandosi alacremente a tenere in vita con qualche cerotto e qualche ricostituente compassionevole la forma più aberrante, degenerata e probabilmente suicida del capitalismo.
E non solo perché ne persegue l’obiettivo più antidemocratico: annientare la sovranità dello stato e i diritti dei cittadini, contribuendo a sostituire il welfare con modelli privatistici che ne annullano il carattere di bene comune.
E non solo perché si finge di avere a che fare con un mondo di impresa responsabile e consapevole, intenzionato a investire in sostenibilità, sicurezza e qualità e non con un branco di imbelli, da Pomigliano a Taranto, adusi a ramazzare aiuti di stato per scommettere nel gioco d’azzardo della finanza.
E non solo perché alla compassione, ma anche alla filantropia, dovrebbero e dovremmo preferire la solidarietà, l’uguaglianza e la ribellione nei confronti di chi le ha minate e abbattute come castelli di carte, forse di azioni.
Ma perché è urgente esternare il nostro sdegno, in modo esemplare, dimostrativo e concreto, far sapere la nostra riprovazione e il nostro disprezzo civile e politico per chi vuol prenderci per il naso con equilibrismi anglofoni e patacche nostrane, con business improbabili e il pourboire del sostegno pubblico alle fondazioni, con l’interesse privato e l’indifferenza per la nostra disperazione. Erano meglio le Dame di San Vincenzo, era meglio la carità pelosa della filantropia globale. Era meglio quando la sinistra non sapeva cosa faceva la destra, se la sinistra è diventata Uman.
Domani, Uman Foundation, la Fondazione che vuole farsi interprete di una scommessa insieme agli attori della good society, quella “di mettere in sicurezza il welfare minacciato”, lancia il suo programma. Alla presenza – diranno gli ignari e ingenui lettori, di Amartya Sen? – no, di Mario Monti.
E come poteva essere diversamente? Uman Foundation, nata nel 2012 si prefigge lo scopo di connettere l’Italia con la filantropia internazionale e promuovere un capitalismo più umano. Intende “superare il concetto tradizionale di beneficenza e sviluppare anche nel nostro Paese una nuova cultura del “giving”, promotrice di innovazione e sviluppo”. Per fare questo, UMAN Foundation promuove la connessione virtuosa tra due attori: i grandi protagonisti dell’impresa italiana e l’impresa sociale, italiana e globale, in grado di realizzare progetti “a impatto positivo”.
Il ruolo di UMAN Foundation, sarà quello di facilitare un legame positivo tra chi dispone di grandi risorse economiche e chi sa trasformarle in concreti progetti di impresa creativa e sociale nel nostro Paese e nei Paesi in via di sviluppo.
Tutto questo sarà possibile anche grazie alla relazione costante che UMAN Foundation , presieduta da Giovanna Melandri, intende praticare con la rete internazionale delle fondazioni filantropiche già da tempo protagoniste sulla scena globale.
Eh no accidenti non cederò alla tentazione facile di supporre che il primo banco di prova della Uman sarà il Kenya, in un intervento di cooperazione equa e solidale con la filantropia del Billionaire. Magari, sarebbe troppo facile. E sbagliato, perché una iniziativa del genere non si configura come l’hobby di ripiego di una rottamata che si converte alla beneficienza.
Magari, lo liquideremmo sbrigativamente come il patetico tentativo di restare in auge sia pure nel viale del tramonto della politica, per essere ammessa al tavolo dei bambini accanto a quello dei grandi dell’Aspen o del Bildberg.
Invece no, Uman è la liturgia della resa codarda ed entusiasta alla teologia del mercato da parte della frangia più pimpante, bionda e Wasp del Pd amerikano, quello che per citare il “chi siamo”, anzi la “mission”, della Fondazione, anzi della Foundation, vuole “promuovere un capitalismo più umano”…. “con una nuova cassetta degli attrezzi da scoprire e utilizzare, per innovare l’impresa sociale e per “socializzare” la finanza, come i Social Bonds e i Social Impact Investments”.
Ecco ci mancavano i future e i derivati filantropici, che Uman vuole mutuare dai vari Soros folgorati sulla via della crisi globale: “alcuni finanzieri “pentiti” – non molti, a dire il vero – dai recenti eccessi speculativi, stanno sperimentando, al fianco di grandi filantropi internazionali, nuove forme di “finanza sociale”. Imprese, banche, assicurazioni, ma anche privati cittadini e perfino grandi fondi pensione che cominciano a scommettere sulla finanza sociale, attraverso il Social Impact Investment”.
La Uman Foundation si è associata a questa rete con la convinzione che sia arrivato il momento di agganciare questo movimento mondiale anche in Italia insieme a persone che credono nel “nuovo orizzonte della finanza sociale, per indirizzare risorse private verso imprese sociali” che fanno parte del suo Consiglio, anzi del suo Advisory board: Giuliano Amato, Padre Giulio Albanese, Jacques Attali, Francesca Boldrini, Aldo Bonomi, Marta Dassù, Pamela Hartigan, Kerry Kennedy, Sebastiano Maffettone, Molly Melching, Samia Nkrumah, John Podesta, Andrea Riccardi, Bunker Roy,Ismail Serageldin, Muhammad Yunus, Stefano Zamagni.
Sarà il parterre, sarà il periglioso rapporto con la lingua italiana oltre che con il buon gusto, ma suggerirei di declinare Occupy Wall Street anche su scala nazionale, pensando a un Occupy Uman. E non solo perché sarebbe ora di smascherare definitivamente gente che si è appropriata del patrimonio culturale e ideale della sinistra per mettere in atto la più infame abiura impegnandosi alacremente a tenere in vita con qualche cerotto e qualche ricostituente compassionevole la forma più aberrante, degenerata e probabilmente suicida del capitalismo.
E non solo perché ne persegue l’obiettivo più antidemocratico: annientare la sovranità dello stato e i diritti dei cittadini, contribuendo a sostituire il welfare con modelli privatistici che ne annullano il carattere di bene comune.
E non solo perché si finge di avere a che fare con un mondo di impresa responsabile e consapevole, intenzionato a investire in sostenibilità, sicurezza e qualità e non con un branco di imbelli, da Pomigliano a Taranto, adusi a ramazzare aiuti di stato per scommettere nel gioco d’azzardo della finanza.
E non solo perché alla compassione, ma anche alla filantropia, dovrebbero e dovremmo preferire la solidarietà, l’uguaglianza e la ribellione nei confronti di chi le ha minate e abbattute come castelli di carte, forse di azioni.
Ma perché è urgente esternare il nostro sdegno, in modo esemplare, dimostrativo e concreto, far sapere la nostra riprovazione e il nostro disprezzo civile e politico per chi vuol prenderci per il naso con equilibrismi anglofoni e patacche nostrane, con business improbabili e il pourboire del sostegno pubblico alle fondazioni, con l’interesse privato e l’indifferenza per la nostra disperazione. Erano meglio le Dame di San Vincenzo, era meglio la carità pelosa della filantropia globale. Era meglio quando la sinistra non sapeva cosa faceva la destra, se la sinistra è diventata Uman.
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