- di Carlo Musilli -

La perdita netta ha sfiorato i tre miliardi di euro e il contraccolpo ha trascinato nel baratro anche Eni, che – avendo in pancia il 43% delle azioni Saipem – ha lasciato sul campo il 4,7%. I due crolli (insieme all’ennesimo scivolone dello yo-yo Montepaschi, -9,5%) hanno fatto di Milano la peggiore fra le Borse europee (-3,36%).
“L’impatto per gli azionisti di Eni di quanto comunicato ieri da Saipem sarà nel 2013 di circa 200 milioni di euro, circa il 3% dell’ultimo utile annuale”, ha detto alla stampa il CFO del cane a se zampe, Massimo Mondazzi, che ha preso atto di “quanto dichiarato da Saipem, e cioè che la flessione sarà transitoria e si avrà una significativa ripresa già dal 2014″. Magra consolazione dopo un tracollo del genere.
Ma quale sassolino ha causato questa ennesima valanga finanziaria? In realtà, si tratta di un macigno: lunedì sera, a mercati chiusi, Saipem ha diffuso un “profit warning”, ovvero una comunicazione per annunciare che i suoi risultati saranno inferiori alle previsioni. In particolare, sono state riviste al ribasso le stime sugli utili del 2012 e quelle sui conti del 2013. Il motivo? Sembra che gli ordini abbiano rallentato nell’ultimo trimestre e che “le negoziazioni di nuovi contratti – ha ammesso la società – si concluderanno con esiti inferiori alle previsioni”. Tutto questo significa meno soldi da distribuire agli azionisti, che quindi hanno iniziato a liberarsi dei titoli.
Fin qui la storia sembra lineare, ma non lo è. I sospetti sono molti. A cominciare da quelli che circolano intorno al misterioso “investitore istituzionale” che lunedì ha venduto per intero la sua corposa partecipazione nel capitale di Saipem, pari al 2,2% (a quanto risulta dai registri, escludendo Eni, l’unico investitore ad avere più del 2% di Saipem è il fondo Fidelity, che però si è detto estraneo alla vicenda).
Guarda caso, la lungimirante (e strana) operazione è stata conclusa in fretta e furia poche ore prima del funesto “profit warning”. Un tempismo formidabile che ha consentito a questi geni della finanza di evitare una perdita mostruosa, piazzando ogni singolo titolo a 31 euro, 11 in più rispetto alla quotazione post-crollo. Fortuna, magia nera o inciucio? A stabilirlo sarà la Consob, che ha avviato un’indagine.

La vicenda è legata a uno scandalo esploso in Algeria intorno alla Sonatrach, compagnia petrolifera dello Stato nordafricano. Il presidente Mohamed Meziane e 15 dirigenti, accusati di corruzione e malversazione, sono stati costretti a dimettersi. Secondo la stampa algerina, il sospetto è che i manager abbiano intascato tangenti in cambio di appalti da concedere a tre società straniere, fra cui Saipem.
L’azienda italiana ha siglato con Sonatrach un contratto da 580 milioni di dollari per la realizzazione di un gasdotto lungo 350 chilometri, il GK3. Il progetto, tra l’altro, avrebbe dovuto assicurare l’approvvigionamento del futuro gasdotto Galsi, che collegherà l’Algeria all’Italia attraverso la Sardegna. L’accordo però sarebbe stato raggiunto “in condizioni poco chiare”, in cambio di “servizi” o “commissioni”. Per così dire, visto che si parla di appartamenti e ville tra Parigi e Algeri.
All’epoca, Tali si era difeso affermando di non essere coinvolto nell’indagine algerina. Peccato che martedì la Procura di Milano gli abbia inviato un avviso di garanzia.
Tratto da: Saipem, odore di scandalo | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2013/01/31/saipem-odore-di-scandalo/#ixzz2JZKU5un5
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!
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