Il pignoramento presso terzi della pensione può essere effettuato ormai integralmente, con estrema facilità, e non più nei limiti di un quinto, per come previsto invece dalla legge.
Dopo l’approvazione del decreto legge “Salva Italia” [1], i pensionati che subiscono un pignoramento della pensione (cosiddetto pignoramento presso terzi) rischiano di perdere tutta la rata mensile e non più solo un quinto come invece previsto dal codice di procedura civile [2]. Lo stesso pericolo riguarda i lavoratori dipendenti con il salario mensile.
Si tratta di un modo ormai di fatto legalizzato per superare il limite del “quinto pignorabile” imposto invece dal codice di procedura civile [3] e che, ad oggi, nonostante l’allarme da noi lanciato all’alba della nuova normativa (leggi l’articolo: “Pignoramento della pensione di anzianità sul conto corrente obbligatorio: storture del nuovo sistema”), non ha trovato ancora un correttivo nella legge.
L’obbligo del conto corrente
Come noto, la recente riforma emanata dal Governo nello scorso mese di dicembre 2012 [1] ha imposto all’Inps di versare le pensioni superiori a mille euro non più tramite le Poste (nelle mani del pensionato), ma in un conto corrente bancario o postale o anche su un libretto di risparmio (conseguenza dell’obbligo di tracciabilità dei pagamenti superiori a mille euro). Dunque, in tali casi, i pensionati sono obbligati ad aprire un conto corrente dove l’Inps fa automaticamente confluire le somme dovute mensilmente.
I riflessi sul pignoramento presso terzi
Tale previsione sovverte tutta la disciplina dei pignoramenti presso terzi. È noto, infatti, che la legge consente al creditore la possibilità di pignorare la pensione (o i redditi di lavoro subordinato) nella misura massima di 1/5: ma tale limite opera solo se il pignoramento viene effettuato alla fonte, cioè direttamente a chi deve erogare l’emolumento e procedere all’accantonamento delle quote pignorate (l’Ente di Previdenza o il datore di lavoro).
Invece, se il pignoramento viene effettuato in un momento successivo (anche un giorno dopo), presso la banca dove il pensionato o il lavoratore deposita le somme, tale limite non opera più e il creditore può pignorare tutti i risparmi che vi trova. Quindi, una volta che il denaro si è “confuso” (anche quando il conto contiene solo redditi dello stesso tipo, come solo la pensione o solo lo stipendio) è possibile pignorare non più solo il quinto, ma il 100% della pensione o del salario.
Differenze rispetto al precedente sistema
Questo era già possibile prima del decreto “Salva Italia”; ma se prima il pensionato poteva esigere i pagamenti a mano (alla Posta), oggi invece, con l’obbligo di versamento in conto, nessuno si può più sottrarre al rischio di un pignoramento integrale della pensione.
Il creditore infatti potrà, anziché notificare il pignoramento all’INPS, e accontentarsi di un quinto della mensilità, attendere pochi giorni che l’emolumento venga accreditato in banca e lì aggredirlo integralmente (e, se fortunato, prendere anche le precedenti mensilità, se non ancora prelevate).
Del resto, il pensionato non ha scelta: se non apre il conto corrente, l’Inps trattiene le somme dovute.
Non si discute sul fatto che i debiti vadano pagati, ma il discorso è un altro: se per garantire il minimo sostentamento del pensionato o del lavoratore, la legge prevede una misura massima per il pignoramento, non ha poi senso rendere questa stessa norma così facilmente aggirabile.
La previsione quindi del limite del quinto, a tutela della dignità dell’uomo, rischia di essere completamente svilita e superata per causa di una riforma che, invece, mirava solo a finalità fiscali (la tracciabilità dei pagamenti). Insomma, come al solito, per riparare ai problemi dell’evasione fiscale, a rimetterci è sempre il cittadino più povero.
Fonte: laleggepertutti.it
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