Rastrellare soldi per le grandi banche del nord, tedesche e francesi: servono essenzialemente a questo le misure “lacrime e sangue” inflitte dal regime di austerity instaurato dalla spietata tecnocrazia europea. E’ la stessa Banca d’Italia a fornire l’ennesima riprova del fatto che l’austerità non serve a migliorare le finanze pubbliche: il debito italiano è ulteriormente aumentato, superando i duemila miliardi di euro. Keynes lo diceva 70 anni fa: «Non c’è possibilità di equilibrare il bilancio eccetto che con l’aumentare il reddito nazionale». L’austerità fa aumentare e non diminuire il debito pubblico, ribadisce Davide Della Bona sul sito “MeMmt”. E i dati degli ultimi tre anni sono inequivocabili: ovunque si sia intrapresa la via dell’austerità il bilancio pubblico è inevitabilmente peggiorato, aggravando ulteriormente la crisi.
Non è “sbagliata” la cura, ma proprio la diagnosi: «Il debito pubblico e le finanze “allegre” degli Stati del sud, infatti, non c’entrano un bel niente con la genesi della crisi», sottolinea Della Bona. «Ci si è scagliati contro il debito pubblico come se fosse il peggiore di tutti i mali», quando invece il problema è altrove. «Un semplice sguardo ai dati lo dimostra: nei paesi colpiti in sequenza dalla crisi, il debito pubblico stava calando». Una situazione quindi non negativa, nonostante la disgrazia di avere un debito pubblico denominato in una moneta non-sovrana come l’euro, e quindi già di per sé “costosa”. Inoltre, il livello complessivo del debito pubblico nel 2007, prima della crisi dei mutui subprime negli Stati uniti, in alcuni casi era bassissimo. «In realtà – spiega Della Bona – ciò che stava aumentando a dismisura dall’anno di ingresso nella moneta unica fra i paesi del sud, i cosiddetti Piigs, era il livello del debito privato, in gran parte verso l’estero».
Se il problema è l’elevato debito del settore privato (famiglie e aziende), non c’è da stupirsi che i tanto invocati tagli alla spesa pubblica e i maggiori oneri fiscali richiesti ai cittadini, come l’Imu, facciano aggravare ulteriormente la situazione, ficcando l’economia in una spirale al ribasso senza uscita. «L’equazione è semplice: una minor spesa pubblica sommata a una maggiore tassazione provoca una diminuzione dei redditi, ossia meno soldi nelle tasche dei cittadini». Ora se ne rendono conto tutti: in gran parte, la tanto stigmatizzata spesa pubblica altro non è che il reddito di insegnanti, medici e infermieri, dipendenti statali e degli enti locali, fatturato dell’edilizia e delle imprese impegnate nelle opere pubbliche. Se i redditi calano, famiglie e aziende faranno fatica a ripagare i debiti contratti in passato: ed ecco che si entra in quella situazione che viene definita dagli economisti “deflazione da debiti”.
Ma attenzione: l’austerità non è frutto di incompetenza dei tecnocrati, bensì della pressione dei grandi creditori del nord Europa, intenzionati a riscuotere il più velocemente possibile gli insoluti. Basta controllare il circuito finanziario: «L’austerità in fondo serve a prendere denaro dalle tasche dei cittadini per trasferirlo nelle casse dello Stato». Da queste, i soldi vanno alle istituzioni europee create per “salvare” gli Stati in difficoltà, ieri il Fondo Salva-Stati e oggi il suo erede, il Meccanismo Europeo di Stabilità. Dal Mes, i fondi vengono poi trasferiti ai paesi in difficoltà, come Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e ora anche Cipro, consentendo loro di riparare i debiti contratti, per lo più privati e non pubblici. Chi sono i creditori beneficiati dalla manovra? «In primis, banche tedesche e francesi, che da un lato hanno acquistato i titoli di Stato dei paesi della periferia ma, dall’altro, hanno soprattutto prestato soldi a famiglie, aziende e banche del sud Europa, facendo così aumentare il debito privato verso l’estero di questi paesi».
I canali dell’indebitamento privato verso l’estero sono stati diversi. Uno di tipo puramente commerciale: il saldo fra esportazioni e importazioni era per molti paesi negativo, perché compravano più prodotti dall’estero di quanti gliene vendessero. L’altro canale, invece, di natura puramente finanziaria: obbligazioni nazionali acquistate da acquirenti esteri, raccolta bancaria all’estero, prestiti contratti dal settore bancario con banche estere (che poi diventavano spesso prestiti a famiglie e aziende nazionali) nonché pagamento di redditi, interessi e dividendi a non-residenti. «I due canali hanno poi finito per alimentarsi a vicenda: alcuni paesi infatti importavano i prodotti esteri con i soldi che l’estero gli prestava». Ovvio che il meccanismo fosse destinato a incepparsi, creando tensioni fra gli Stati debitori (Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo e Italia) e gli Stati creditori come Germania, Olanda e Finlandia.
«Ciò che va sottolineato, però – aggiunge Della Bona – è che la posizione di creditori netti per i paesi del nord sarebbe stata impossibile se i paesi del sud Europa non avessero accettato in qualche modo la condizione di debitori netti». Senza dimenticare che, in economia, la valutazione del “merito di credito” spetta al creditore e non al debitore: «Se presto i miei soldi a qualcuno che in caso di problemi difficilmente potrà ripagare il suo debito, non posso poi accusarlo di aver “vissuto al di sopra delle sue possibilità”». L’austerità è anche il frutto avvelenato di un’impostazione totalmente asimmetrica, tipica dell’ideologia mercantilista, che tende a valutare in maniera del tutto moralistica e unilaterale il rapporto fra debitori e creditori: chi esporta (il creditore) è “bravo”, mentre chi importa (il debitore) è “cattivo”. E, come tale, «deve accollarsi tutto l’onere di sanare lo squilibrio, anche a costo di imporre ai cittadini condizioni disumane». In realtà, conclude Della Bona, di morale non c’è proprio niente, dal momento che l’uno non potrebbe esistere senza l’altro: «Debitore e creditore sono le due facce della stessa medaglia».
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