D'un tratto nel folto bosco

Non c’era nessuno in tutto il paese che potesse insegnare ai bambini che la realtà non è soltanto quello che l’occhio vede e l’orecchio ode e la mano può toccare, bensì anche quel che sta nascosto alla vista e al tatto, e si svela ogni tanto, solo per un momento, a chi lo cerca con gli occhi della mente e a chi sa ascoltare e udire con le orecchie dell’animo e toccare con le dita del pensiero.
Amos Oz


giovedì 4 aprile 2013

Uscire dall'ipnosi collettiva - dott. med. Ryke Geer Hamer


Uscire dall'ipnosi collettiva dott. med. Ryke Geer Hamer

La saggezza del dubbio.

Capire e tenere conto del fatto che viviamo in uno stato d’ipnosi collettiva, diviene una premessa fondamentale quando si decide di lavorare avendo come riferimento le 5 Leggi Biologiche scoperte dal dr. Hamer. E questo vale in ugual modo sia per gli operatori quanto per la persona che si rivolge loro. E’ solo vivendo da “sonnambuli” sconnessi dal nostro sentire più profondo che possiamo restare a lungo in un problema ( fare cioè massa conflittuale) ed avere poi dei sintomi importanti quando il corpo ripara. E’ solo da sonnambuli che possiamo rimanere in balia del panico prodotto dalla diagnosi (anch’essa pura ipnosi). Ed è questo stesso stato ipnotico che ci allontana dalla lecita richiesta di sapere se ciò che ci viene detto e fatto nel campo della salute ha basi scientifiche o meno.
Si tratta quindi di svegliarsi, di scuoterci da questo torpore sonnambolico nel quale siamo caduti da anni e nel quale veniamo costantemente mantenuti dalla comunicazione di massa, una comunicazione gestita dal potere e perciò finalizzata unicamente al suo mantenimento. Un popolo può essere facilmente manipolato solo quando viene costantemente mantenuto in stato ipnotico. E la paura della malattia è uno degli strumenti più forti per ottenere tale obbiettivo.
Ma vediamo quali sono le premesse perché lo stato ipnotico possa essere prodotto.

Lo stato ipnotico è il nostro stato normale
La prima cosa da comprendere è che viviamo costantemente in “stato ipnotico” cioè con l’attenzione rivolta ai nostri pensieri, poiché è così che funziona la nostra mente: pochi attimi per captare informazioni dall’ambiente e, subito dopo, dentro la nostra mente, alla ricerca di un significato. E’ in questo modo che ogni singola parola acquista il suo significato specifico che altrimenti resterebbe un puro suono.

Mi spiego meglio
Da piccoli abbiamo imparato a conoscere il mondo e a muoverci in esso a partire dalla nostra esperienza sensoriale diretta: osservando, toccando, annusando, assaggiando un oggetto per poter capire cosa fosse e come usarlo…
Poi, per non dover ricominciare ogni volta daccapo, la natura ci ha organizzato in modo da tenere in memoria tali esperienze così da poter dare ogni volta un significato preciso sia alle parole che agli oggetti e sapere cosa farne di conseguenza. Per fare un esempio questo vuol dire che in qualsiasi parte del mondo mi trovi e qualsiasi forma abbia una sedia, so cos’è, a cosa serve e come usarla.

Le parole non sono neutre
Ogni parola ha quindi un significato che possiamo definire “funzionale” ma assume anche un significato “emotivo”, viene cioè accompagnata da un’emozione, proprio perché la posso interpretare solo a partire dalle mie memorie e cioè dalla mia storia personale. Parole come “mamma, mare, focolare o cancro” avranno una colorazione emotiva personale, che sarà quindi per ogni persona un po’ diversa.
Il primo fatto di cui tenere conto quindi è che le parole non sono neutre, mai.

La memoria ha caratteristiche particolari:
1) Questa esperienza interiorizzata, che chiamiamo memoria, è come un film che proiettiamo dentro la nostra mente e che ha caratteristiche sensoriali, cioè è fatta di immagini, suoni, odori, sensazioni. E’ per questo che spesso ci confondiamo assumendola come realtà oggettiva, mentre invece si tratta di un semplice pensiero, un ricordo: non mostra una realtà oggettiva ma la mia percezione di quella che definisco realtà. 
Ad es. provate in questo istante a ripensare a qualcosa che avete vissuto: 
l’ultima furiosa litigata con qualcuno, l’istante in cui avete perduto una persona cara, quel giorno che siete caduti inciampando nel marciapiede… In un istante rivedrete immagini, riascolterete voci e rumori, risentirete odori e avrete l’impressione di riaccedere a tutto il bagaglio emotivo e alle sensazioni provate in quell’istante, come se steste vivendo qui ed ora quella stessa situazione. Eppure non sta accadendo nel qui e ora quel fatto, ma la percezione è quella. L’esperienza è come proiettare quel film e caderci dentro (tecnicamente: rivivi un ricordo in modo associato). Le persone abituate a vivere nel ri/sentimento capiranno al volo cosa intendiamo dire.
2) Poiché diamo un senso di realtà ai nostri pensieri (i ricordi e le convinzioni sono sempre pensieri) tendiamo, una volta organizzati, a non metterli più in discussione. Ciò significa però che tutto ciò che pensiamo e di cui siamo convinti in merito alle cose, a noi stessi e alle nostre possibilità nel mondo, non sono più delle semplici idee ma diventano delle nostre identità. La difficoltà nel metterle in discussione quindi diventa grande e profonda perché ciò che dovrei mettere in discussione non lo percepisco più come pensiero, come una convinzione, ma come “tutto me stesso”.
3) Non possiamo tenere in memoria l’intera realtà, ma solo una sua sintesi, una sorta di “mappa” di quella che definisco realtà.Perciò quando dovrò dare significato alle cose che accadono, non mi riferirò alla realtà, ma necessariamente alla mappa che ho costruito. Questa mappa cioè mi farà da riferimento, come una cartina stradale, per muovermi nella vita. Tale mappa sarà inevitabilmente una generalizzazione, conterrà delle cancellazioni e sarà organizzata da me in base al mio personalissimo filtro (alla mia storia personale). Se ad esempio vi dico che oggi “che sono andato al mare e che è stato bellissimo” nessuno di voi potrà davvero sapere cosa intendo, e in base a ciò che per ognuno di voi è “stare bene al mare” s’immaginerà qualcosa di diverso: un mare piatto come un olio oppure in tempesta oppure ancora che per me non era bello il mare ma la compagnia . Ogni singolo essere umano ha una mappa diversa, e sarà attraverso questa stessa mappa che filtrerà anche la sua comunicazione con l’altro. Spesso poi accade che in memoria trattengo e metto insieme solo quei pezzettini di percezione della realtà che sono tra loro sono simili e che confermano quella che è la mia convinzione. Focalizzerò solo su quelli, dimenticandomi (cioè cancellando) le eccezioni che metterebbero in dubbio ciò che mi sto raccontando. Vi facciamo un esempio molto semplice e comune di questa modalità: a tutti sarà capitato di cercare disperatamente qualcosa in casa, le chiavi della macchina, o gli occhiali. Sembrano spariti finché vi cade l’occhio sul tavolo e li vedete appoggiati lì in bella mostra. Ci sarete passati davanti un centinaio di volte ma non li avete visti, li avete “cancellati”. Cosa è successo? Cercando gli occhiali non stavate guardando “fuori” per osservare dove fossero, ma stavate guardando il vostro film interiore di dove dovevano essere… Per questo stesso meccanismo, se nella vita ho passato dei momenti difficili, potrò facilmente dire che “la mia vita è stata un inferno” dimenticando quegli spazi dove invece sono stato bene. Ed è per la stessa dinamica che potrò dire che “ho mal di schiena da anni” senza accorgermi che invece è solo in certi periodi che il male si presenta e nemmeno sempre con la stessa modalità né intensità.
4) La comunicazione con me stesso o l’altro, che attivo a partire dalla mia mappa, sarà anch’essa una sintesi… e non solo della realtà, ma addirittura del mio pensiero. La frase che formulerò avrà quindi delle parti di contenuto cancellate, altre generalizzate, altre deformate. Il vuoto comunicativo che inevitabilmente creo, sarà “riempito” dall’altro, e, ancora una volta, a partire dalle sue memorie, dal suo mondo interiore, dal suo personalissimo vissuto.
Questo significa due cose: prima di tutto che quando pensiamo di comunicare qualcosa, il più delle volte enunciamo solo dei titoli generici e sarà chi ci ascolta a scriverne il testo (quasi mai il nostro)
La seconda è che le parole non sono neutre MAI! Per dare loro significato mi rivolgerò alla mia mappa personale (alla mia storia e alle mie ferite) ed in base a questa mappa produrrò il comportamento conseguente. E’ in base alla percezione che abbiamo di chi siamo noi, cosa la realtà, e quali le nostre possibilità nel mondo che ci muoviamo nel mondo e produciamo comportamenti.
Se nella mia mappa ho la convinzione che di cancro si muore, prenderò per buono tutto quello che mi viene detto, mi lascerò fare il protocollo del caso senza discutere e percepirò ogni piccolo sintomo come segnale dell’inevitabile peggioramento. Se invece credo il contrario, mi prenderò il tempo ed avrò la forza per cercare altre spiegazioni, non darò nulla per scontato e mi aggancerò ad ogni segnale per sentire che sto migliorando.

Accade così che pensando di comunicare uno con l’altro, in realtà finiamo solo per suggestionarci a vicenda.
Se provassimo a far specificare il nostro interlocutore, cioè a chiedere davvero cosa intende dire senza dare per scontato di aver capito, ci potremmo accorgere che la maggior parte delle volte ciò che sta affermando è molto lontano da ciò che presupponevamo di aver capito.
E’ in questo modo che avvengono la maggior parte dei litigi di coppia, dove alla fine, non ci si ricorda nemmeno più da dove si era partiti: nessuno dei due era presente all’altro, ma ognuno rispondeva, reagiva, al proprio mondo interiore.
Inoltre specificando, sia chi ascolta ma anche la persona stessa che sta parlando si può accorgere, con sorpresa, che nel non detto c’è tanta informazione in più e che, spesso, contraddice proprio quell’affermazione che si stava dando per scontata.

Cosa succede quando confondiamo la realtà con la nostra percezione della realtà?
Qualsiasi parola pronunciamo, non definisce la realtà ma la mia percezione del come stanno le cose e in base a questa percezione, ne scaturirà inevitabilmente uno specifico comportamento che produrrà i risultati conseguenti: quelli e non altri. E’ in questo senso che possiamo dire che il pensiero crea la mia realtà.

La diagnosi è una etichetta ipnotica da convertire in processo in corso.
Cosa significano termini come tumore, sclerosi multipla, sindrome di x,y,z?
Non ci danno alcuna indicazione sul processonon descrivono nulla della realtà, non spiegano cosa stia accadendo realmente nel nostro corpo, e quindi non ci danno alcun elemento per sapere cosa fare. ,
La diagnosi assume una qualità oggettiva, quasi fosse una vera e propria entità, e invece di spiegare che tipo di processo sia in corso nel nostro corpo, diventa una parola ipnotica che porta con sé la prognosi. Cioè ricevendo una diagnosi, vi troverete all’istante ad allucinare “il come andrà a finire”. Tumore viene automaticamente tradotto in “tu muori”, sclerosi multipla diventa “sedia a rotelle” e le varie sindromi una sfiga rarissima e sconosciuta alla quale è impossibile fare fronte.
Questo perché attribuiamoa quella etichettaun significato in base a ciò che “ho preso per vero” in seguito alle informazioni ricevute.
E anche se vi dite: “no, io non finirò così!” il risultato non cambia. Questo perché la mente non registra la negazione, il “non” per la mente, non ha alcuna immagine di riferimento. Se per es. vi chiedo, di fare tutto il possibile per “non immaginare un albero” vi domando qualcosa d’impossibile: vedrete proprio un albero. Quello che serve per andare verso un’altra direzione, occorre avere una nuova immagine (mappa) di riferimento.
Provate ad immaginare come cambia subito la vostra emozione ( e di conseguente la vostra mappa di riferimento) se trasformiamo i termini utilizzati nell’etichetta in quello che sono, e cioè in processi in corso:
1) TUMORE: diventa una crescita che tra l’altro non è tutta uguale, ma che mi dice che sono in conflitto attivo (cioè ancora nel problema) se a rispondere sono tessuti diretti dal vecchio cervello (che crescono in conflitto attivo), o che ho già risolto il problema se sono tessuti diretti dal nuovo cervello (cicatrice). 
2) SCLEROSI MULTIPLA: se c’è presenza di un sintomo motorio, sappiamo che stiamo vivendo un conflitto motorio e, a seconda di dove appare il sintomo, posso sapere in relazione a chi o cosa
3) SINDROMI: a seconda del sintomo presentato, posso ricongiungerlo al suo tessuto specifico e , ancora una volta, avere delle indicazioni precise su cosa fare.

Ricordate che l’immagine che vi guida nel comportamento è quella che prendete per vera.
Quindi quando ricevete un’etichetta, non fermatevi a quella, ma andate a ricercare il processo in corso nel tessuto dove si sta manifestando il sintomo. E per fare questo abbiamo come riferimento la terza legge biologica.

L’IPNOSI COLLETTIVA
Le suggestioni sono dovute dalle nostre esperienze personali ma anche alimentate a livello collettivo dalla comunicazione di massa.

Il significato che attribuiamo per esempio alla parola cancro, viene quotidianamente nutrito (cioè suggestionato) da una comunicazione di massa non specificata (cioè ipnosi). Quella parola contiene un mucchio di significati impliciti: puoi morire, per salvarti devi seguire cure che ti fanno soffrire, sei a rischio di metastasi, sei solo, nella tua vita niente sarà più come prima, e tanto tanto altro.

Due esempi.
1) – Dal cancro non si guarisce e se si guarisce si rimane comunque “a rischio” perché una cellula può ripartire anche dopo 10 anni.
2) – Dal tumore primario partono delle cellule che creano nuove colonie in altri organi, cioè metastasi, e quando sei “pieno dappertutto” non c’è più niente da fare.

Queste affermazioni (cioè parole) sono generiche e piene di cancellazioni. Una cancellazione tra le tante è per esempio la spiegazione scientifica di come fanno ad affermare una cosa simile. Tali affermazioni generiche però vengono colte come realtà, mentre in effetti, la producono. La persona poi facilmente darà ancora maggiore oggettività a tali affermazioni poiché magari è vero che ha conosciuto persone che sono morte dopo aver ricevuto una diagnosi di cancro o di metastasi.

L’effetto che osservo (cioè la persona che muore) finisce così col confermami automaticamente la premessa (l’affermazione) che però se viene specificata (verificata nelle sue premesse) non ha alcuna valenza scientifica.

Per la prima affermazione, per esempio, qualcuno dovrebbe poter spiegare (cioè verificare) come possa biologicamente “ripartire” una cellula tumorale dopo 5 o addirittura 30 anni.

Per quanto riguarda la seconda, il problema è lo stesso: qualcuno ci dovrebbe spiegare in cosa consistano e come migrano queste metastasi. Le cellule non migrano da un tessuto all’altro, ma si muovono trasportate dal sangue.
Il presupposto in medicina scolastica è che una cellula “tumorale” si sfaldi dal tumore primario, per esempio dal seno, venga quindi trasportata attraverso il sistema linfatico e venoso di ritorno (senza essere metabolizzata dal fegato) e una volta arrivata al cuore, riparta trasportata dal sangue arterioso, attraversi nuovamente tutto il corpo, per poi attaccarsi e fare una nuova colonia in un tessuto che magari è completamente diverso sia come origine embrionale, che come struttura e comportamento, come per esempio in una costola (osso).

Ciò vorrebbe dire che quella cellula deve anche decidere per tempo dove andrà a proliferare, in modo da mutare la sua struttura…fantascienza!

L’altro particolare trascurato dalla medicina ufficiale, anche perché non si da il tempo per verificarlo, è che quelle cellule che proliferano nell’osso, alla fine del processo saranno cellule di callo osseo (?!?)

Inoltre se fosse vero che il corpo si auto infetta attraverso il sangue (poiché è così che “migrerebbero” le cellule tumorali, dovrebbero sospendere all’istante le trasfusioni di sangue.

…Sono tutti stati ipnotici che possono essere confusi e mantenuti come se fossero realtà solo per la nostra non “presenza” ed abitudine alla delega.















Uscire dall'ipnosi collettiva dott. med. Ryke Geer Hamer

La saggezza del dubbio.

Capire e tenere conto del fatto che viviamo in uno stato d’ipnosi collettiva, diviene una premessa fondamentale quando si decide di lavorare avendo come riferimento le 5 Leggi Biologiche scoperte dal dr. Hamer. E questo vale in ugual modo sia per gli operatori quanto per la persona che si rivolge loro. E’ solo vivendo da “sonnambuli” sconnessi dal nostro sentire più profondo che possiamo restare a lungo in un problema ( fare cioè massa conflittuale) ed avere poi dei sintomi importanti quando il corpo ripara. E’ solo da sonnambuli che possiamo rimanere in balia del panico prodotto dalla diagnosi (anch’essa pura ipnosi). Ed è questo stesso stato ipnotico che ci allontana dalla lecita richiesta di sapere se ciò che ci viene detto e fatto nel campo della salute ha basi scientifiche o meno.
Si tratta quindi di svegliarsi, di scuoterci da questo torpore sonnambolico nel quale siamo caduti da anni e nel quale veniamo costantemente mantenuti dalla comunicazione di massa, una comunicazione gestita dal potere e perciò finalizzata unicamente al suo mantenimento. Un popolo può essere facilmente manipolato solo quando viene costantemente mantenuto in stato ipnotico. E la paura della malattia è uno degli strumenti più forti per ottenere tale obbiettivo.
Ma vediamo quali sono le premesse perché lo stato ipnotico possa essere prodotto.

Lo stato ipnotico è il nostro stato normale
La prima cosa da comprendere è che viviamo costantemente in “stato ipnotico” cioè con l’attenzione rivolta ai nostri pensieri, poiché è così che funziona la nostra mente: pochi attimi per captare informazioni dall’ambiente e, subito dopo, dentro la nostra mente, alla ricerca di un significato. E’ in questo modo che ogni singola parola acquista il suo significato specifico che altrimenti resterebbe un puro suono.

Mi spiego meglio
Da piccoli abbiamo imparato a conoscere il mondo e a muoverci in esso a partire dalla nostra esperienza sensoriale diretta: osservando, toccando, annusando, assaggiando un oggetto per poter capire cosa fosse e come usarlo…
Poi, per non dover ricominciare ogni volta daccapo, la natura ci ha organizzato in modo da tenere in memoria tali esperienze così da poter dare ogni volta un significato preciso sia alle parole che agli oggetti e sapere cosa farne di conseguenza. Per fare un esempio questo vuol dire che in qualsiasi parte del mondo mi trovi e qualsiasi forma abbia una sedia, so cos’è, a cosa serve e come usarla.

Le parole non sono neutre
Ogni parola ha quindi un significato che possiamo definire “funzionale” ma assume anche un significato “emotivo”, viene cioè accompagnata da un’emozione, proprio perché la posso interpretare solo a partire dalle mie memorie e cioè dalla mia storia personale. Parole come “mamma, mare, focolare o cancro” avranno una colorazione emotiva personale, che sarà quindi per ogni persona un po’ diversa.
Il primo fatto di cui tenere conto quindi è che le parole non sono neutre, mai.

La memoria ha caratteristiche particolari:
1) Questa esperienza interiorizzata, che chiamiamo memoria, è come un film che proiettiamo dentro la nostra mente e che ha caratteristiche sensoriali, cioè è fatta di immagini, suoni, odori, sensazioni. E’ per questo che spesso ci confondiamo assumendola come realtà oggettiva, mentre invece si tratta di un semplice pensiero, un ricordo: non mostra una realtà oggettiva ma la mia percezione di quella che definisco realtà.
Ad es. provate in questo istante a ripensare a qualcosa che avete vissuto:
l’ultima furiosa litigata con qualcuno, l’istante in cui avete perduto una persona cara, quel giorno che siete caduti inciampando nel marciapiede… In un istante rivedrete immagini, riascolterete voci e rumori, risentirete odori e avrete l’impressione di riaccedere a tutto il bagaglio emotivo e alle sensazioni provate in quell’istante, come se steste vivendo qui ed ora quella stessa situazione. Eppure non sta accadendo nel qui e ora quel fatto, ma la percezione è quella. L’esperienza è come proiettare quel film e caderci dentro (tecnicamente: rivivi un ricordo in modo associato). Le persone abituate a vivere nel ri/sentimento capiranno al volo cosa intendiamo dire.
2) Poiché diamo un senso di realtà ai nostri pensieri (i ricordi e le convinzioni sono sempre pensieri) tendiamo, una volta organizzati, a non metterli più in discussione. Ciò significa però che tutto ciò che pensiamo e di cui siamo convinti in merito alle cose, a noi stessi e alle nostre possibilità nel mondo, non sono più delle semplici idee ma diventano delle nostre identità. La difficoltà nel metterle in discussione quindi diventa grande e profonda perché ciò che dovrei mettere in discussione non lo percepisco più come pensiero, come una convinzione, ma come “tutto me stesso”.
3) Non possiamo tenere in memoria l’intera realtà, ma solo una sua sintesi, una sorta di “mappa” di quella che definisco realtà.Perciò quando dovrò dare significato alle cose che accadono, non mi riferirò alla realtà, ma necessariamente alla mappa che ho costruito. Questa mappa cioè mi farà da riferimento, come una cartina stradale, per muovermi nella vita. Tale mappa sarà inevitabilmente una generalizzazione, conterrà delle cancellazioni e sarà organizzata da me in base al mio personalissimo filtro (alla mia storia personale). Se ad esempio vi dico che oggi “che sono andato al mare e che è stato bellissimo” nessuno di voi potrà davvero sapere cosa intendo, e in base a ciò che per ognuno di voi è “stare bene al mare” s’immaginerà qualcosa di diverso: un mare piatto come un olio oppure in tempesta oppure ancora che per me non era bello il mare ma la compagnia . Ogni singolo essere umano ha una mappa diversa, e sarà attraverso questa stessa mappa che filtrerà anche la sua comunicazione con l’altro. Spesso poi accade che in memoria trattengo e metto insieme solo quei pezzettini di percezione della realtà che sono tra loro sono simili e che confermano quella che è la mia convinzione. Focalizzerò solo su quelli, dimenticandomi (cioè cancellando) le eccezioni che metterebbero in dubbio ciò che mi sto raccontando. Vi facciamo un esempio molto semplice e comune di questa modalità: a tutti sarà capitato di cercare disperatamente qualcosa in casa, le chiavi della macchina, o gli occhiali. Sembrano spariti finché vi cade l’occhio sul tavolo e li vedete appoggiati lì in bella mostra. Ci sarete passati davanti un centinaio di volte ma non li avete visti, li avete “cancellati”. Cosa è successo? Cercando gli occhiali non stavate guardando “fuori” per osservare dove fossero, ma stavate guardando il vostro film interiore di dove dovevano essere… Per questo stesso meccanismo, se nella vita ho passato dei momenti difficili, potrò facilmente dire che “la mia vita è stata un inferno” dimenticando quegli spazi dove invece sono stato bene. Ed è per la stessa dinamica che potrò dire che “ho mal di schiena da anni” senza accorgermi che invece è solo in certi periodi che il male si presenta e nemmeno sempre con la stessa modalità né intensità.
4) La comunicazione con me stesso o l’altro, che attivo a partire dalla mia mappa, sarà anch’essa una sintesi… e non solo della realtà, ma addirittura del mio pensiero. La frase che formulerò avrà quindi delle parti di contenuto cancellate, altre generalizzate, altre deformate. Il vuoto comunicativo che inevitabilmente creo, sarà “riempito” dall’altro, e, ancora una volta, a partire dalle sue memorie, dal suo mondo interiore, dal suo personalissimo vissuto.
Questo significa due cose: prima di tutto che quando pensiamo di comunicare qualcosa, il più delle volte enunciamo solo dei titoli generici e sarà chi ci ascolta a scriverne il testo (quasi mai il nostro)
La seconda è che le parole non sono neutre MAI! Per dare loro significato mi rivolgerò alla mia mappa personale (alla mia storia e alle mie ferite) ed in base a questa mappa produrrò il comportamento conseguente. E’ in base alla percezione che abbiamo di chi siamo noi, cosa la realtà, e quali le nostre possibilità nel mondo che ci muoviamo nel mondo e produciamo comportamenti.
Se nella mia mappa ho la convinzione che di cancro si muore, prenderò per buono tutto quello che mi viene detto, mi lascerò fare il protocollo del caso senza discutere e percepirò ogni piccolo sintomo come segnale dell’inevitabile peggioramento. Se invece credo il contrario, mi prenderò il tempo ed avrò la forza per cercare altre spiegazioni, non darò nulla per scontato e mi aggancerò ad ogni segnale per sentire che sto migliorando.

Accade così che pensando di comunicare uno con l’altro, in realtà finiamo solo per suggestionarci a vicenda.
Se provassimo a far specificare il nostro interlocutore, cioè a chiedere davvero cosa intende dire senza dare per scontato di aver capito, ci potremmo accorgere che la maggior parte delle volte ciò che sta affermando è molto lontano da ciò che presupponevamo di aver capito.
E’ in questo modo che avvengono la maggior parte dei litigi di coppia, dove alla fine, non ci si ricorda nemmeno più da dove si era partiti: nessuno dei due era presente all’altro, ma ognuno rispondeva, reagiva, al proprio mondo interiore.
Inoltre specificando, sia chi ascolta ma anche la persona stessa che sta parlando si può accorgere, con sorpresa, che nel non detto c’è tanta informazione in più e che, spesso, contraddice proprio quell’affermazione che si stava dando per scontata.

Cosa succede quando confondiamo la realtà con la nostra percezione della realtà?
Qualsiasi parola pronunciamo, non definisce la realtà ma la mia percezione del come stanno le cose e in base a questa percezione, ne scaturirà inevitabilmente uno specifico comportamento che produrrà i risultati conseguenti: quelli e non altri. E’ in questo senso che possiamo dire che il pensiero crea la mia realtà.

La diagnosi è una etichetta ipnotica da convertire in processo in corso.
Cosa significano termini come tumore, sclerosi multipla, sindrome di x,y,z?
Non ci danno alcuna indicazione sul processonon descrivono nulla della realtà, non spiegano cosa stia accadendo realmente nel nostro corpo, e quindi non ci danno alcun elemento per sapere cosa fare. ,
La diagnosi assume una qualità oggettiva, quasi fosse una vera e propria entità, e invece di spiegare che tipo di processo sia in corso nel nostro corpo, diventa una parola ipnotica che porta con sé la prognosi. Cioè ricevendo una diagnosi, vi troverete all’istante ad allucinare “il come andrà a finire”. Tumore viene automaticamente tradotto in “tu muori”, sclerosi multipla diventa “sedia a rotelle” e le varie sindromi una sfiga rarissima e sconosciuta alla quale è impossibile fare fronte.
Questo perché attribuiamoa quella etichettaun significato in base a ciò che “ho preso per vero” in seguito alle informazioni ricevute.
E anche se vi dite: “no, io non finirò così!” il risultato non cambia. Questo perché la mente non registra la negazione, il “non” per la mente, non ha alcuna immagine di riferimento. Se per es. vi chiedo, di fare tutto il possibile per “non immaginare un albero” vi domando qualcosa d’impossibile: vedrete proprio un albero. Quello che serve per andare verso un’altra direzione, occorre avere una nuova immagine (mappa) di riferimento.
Provate ad immaginare come cambia subito la vostra emozione ( e di conseguente la vostra mappa di riferimento) se trasformiamo i termini utilizzati nell’etichetta in quello che sono, e cioè in processi in corso:
1) TUMORE: diventa una crescita che tra l’altro non è tutta uguale, ma che mi dice che sono in conflitto attivo (cioè ancora nel problema) se a rispondere sono tessuti diretti dal vecchio cervello (che crescono in conflitto attivo), o che ho già risolto il problema se sono tessuti diretti dal nuovo cervello (cicatrice).
2) SCLEROSI MULTIPLA: se c’è presenza di un sintomo motorio, sappiamo che stiamo vivendo un conflitto motorio e, a seconda di dove appare il sintomo, posso sapere in relazione a chi o cosa
3) SINDROMI: a seconda del sintomo presentato, posso ricongiungerlo al suo tessuto specifico e , ancora una volta, avere delle indicazioni precise su cosa fare.

Ricordate che l’immagine che vi guida nel comportamento è quella che prendete per vera.
Quindi quando ricevete un’etichetta, non fermatevi a quella, ma andate a ricercare il processo in corso nel tessuto dove si sta manifestando il sintomo. E per fare questo abbiamo come riferimento la terza legge biologica.

L’IPNOSI COLLETTIVA
Le suggestioni sono dovute dalle nostre esperienze personali ma anche alimentate a livello collettivo dalla comunicazione di massa.

Il significato che attribuiamo per esempio alla parola cancro, viene quotidianamente nutrito (cioè suggestionato) da una comunicazione di massa non specificata (cioè ipnosi). Quella parola contiene un mucchio di significati impliciti: puoi morire, per salvarti devi seguire cure che ti fanno soffrire, sei a rischio di metastasi, sei solo, nella tua vita niente sarà più come prima, e tanto tanto altro.

Due esempi.
1) – Dal cancro non si guarisce e se si guarisce si rimane comunque “a rischio” perché una cellula può ripartire anche dopo 10 anni.
2) – Dal tumore primario partono delle cellule che creano nuove colonie in altri organi, cioè metastasi, e quando sei “pieno dappertutto” non c’è più niente da fare.

Queste affermazioni (cioè parole) sono generiche e piene di cancellazioni. Una cancellazione tra le tante è per esempio la spiegazione scientifica di come fanno ad affermare una cosa simile. Tali affermazioni generiche però vengono colte come realtà, mentre in effetti, la producono. La persona poi facilmente darà ancora maggiore oggettività a tali affermazioni poiché magari è vero che ha conosciuto persone che sono morte dopo aver ricevuto una diagnosi di cancro o di metastasi.

L’effetto che osservo (cioè la persona che muore) finisce così col confermami automaticamente la premessa (l’affermazione) che però se viene specificata (verificata nelle sue premesse) non ha alcuna valenza scientifica.

Per la prima affermazione, per esempio, qualcuno dovrebbe poter spiegare (cioè verificare) come possa biologicamente “ripartire” una cellula tumorale dopo 5 o addirittura 30 anni.

Per quanto riguarda la seconda, il problema è lo stesso: qualcuno ci dovrebbe spiegare in cosa consistano e come migrano queste metastasi. Le cellule non migrano da un tessuto all’altro, ma si muovono trasportate dal sangue.
Il presupposto in medicina scolastica è che una cellula “tumorale” si sfaldi dal tumore primario, per esempio dal seno, venga quindi trasportata attraverso il sistema linfatico e venoso di ritorno (senza essere metabolizzata dal fegato) e una volta arrivata al cuore, riparta trasportata dal sangue arterioso, attraversi nuovamente tutto il corpo, per poi attaccarsi e fare una nuova colonia in un tessuto che magari è completamente diverso sia come origine embrionale, che come struttura e comportamento, come per esempio in una costola (osso).

Ciò vorrebbe dire che quella cellula deve anche decidere per tempo dove andrà a proliferare, in modo da mutare la sua struttura…fantascienza!

L’altro particolare trascurato dalla medicina ufficiale, anche perché non si da il tempo per verificarlo, è che quelle cellule che proliferano nell’osso, alla fine del processo saranno cellule di callo osseo (?!?)

Inoltre se fosse vero che il corpo si auto infetta attraverso il sangue (poiché è così che “migrerebbero” le cellule tumorali, dovrebbero sospendere all’istante le trasfusioni di sangue.

…Sono tutti stati ipnotici che possono essere confusi e mantenuti come se fossero realtà solo per la nostra non “presenza” ed abitudine alla delega.

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